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venerdì 23 gennaio 2015

"Troppo fiera, troppo fragile-Il romanzo della Callas", recensione di Chiara Minutillo





Tutti la conosciamo come la Divina. Ma quanto in realtà era Terrena Maria Callas? Nelle sue lettere e nei suoi diari, la cantante lirica forse più famosa del mondo, descrisse la sua infanzia da bambina bruttina, grassottella e in perenne competizione con la sorella Jackie; parlò del suo amore per la musica, della sua scalata verso il successo, il matrimonio con il Commendator Meneghini e la relazione con Aristotele Onassis. "Brutta ma vincente" era il suo motto. E per essere sempre vincente, la Callas non poteva che essere Terrena: capricciosa, orgogliosa, testarda, pretenziosa. Soltanto quando cantava era in grado di trasformarsi: "davanti al piano diventava una dea, non apparteneva più al mondo umano e volava in altra dimensioni, che solo i suoi occhi erano in grado di scorgere". Grazie alla sua determinazione Maria Callas raggiunse presto il successo, prima ad Atene, poi in Italia, in America e in Francia. "Traviata", "Norma", "Macbeth", "Lucia di Lammermoor", la Callas continuò a conquistare tutte le opere, una dopo l'altra. Erano soprattutto le prime due, Traviata e Norma, i suoi cavalli di battaglia. Ma il desiderio di gloria e di fama, la consapevolezza di essere una delle cantanti liriche più ambite e di non avere rivali che le tenessero testa, la portarono alla rovina, come lei stessa ammise molto tempo prima: "il destino mi ha posto cosi in alto, che la caduta sarà terribile".
Per quanto sia partita un po' scettica, per via dell'autore che ha dato vita al libro, sono rimasta piacevolmente colpita dalla fluidità del racconto. Basandosi su testimonianze dirette e sulla raccolta di lettere e diari della Divina Callas, Signorini racconta la vita e la carriera della cantante, fino alla sua morte, presentandola mentre toglie ogni traccia di stereotipo. Maria Callas diventa, nel romanzo, anzi, si presenta, come la donna che realmente era quando non si trovava sul palco: narcisista, egoista, determinata, disposta a tutto pur di raggiungere quel successo per il quale aveva tanto faticato. La sua voce era (ed è) ciò che incantava tutti, facendo dimenticare i suoi difetti. Forse, umanamente parlando, Maria Callas non era quel mito a cui tutti pensavamo. Ma per la sua voce, per ciò che ha saputo donare con la sua musica, lei rimarrà sempre la Divina. Chi la sentiva nei vari teatri in cui si esibiva rimaneva estasiato, colpito nei sentimenti. A lei erano riservati 30 minuti di applauso dopo ogni atto. Sono indescrivibili i brividi che corrono lungo la schiena, la pelle d'oca che suscita sentirla cantare nell'atto finale de "La Traviata", quando in fin di morte e distrutta dalla tisi, Violetta recita il suo amore ad Alfredo, o ancora in "Aida", al momento di essere murata viva con il suo amato, o nel modo incredibile in cui riesce a far rivivere la scena della pazzia in "Lucia di Lammermoor" e in "Macbeth". Ciò che evocava con la sua voce la rese la Divina. Ciò che decise di 
intraprendere nella sua vita la rese la Terrena. Ma una cosa positiva, Maria Callas l'aveva: manteneva sempre le sue promesse. Aveva promesso (per ripicca, più che altro) a sua madre che sarebbe diventata qualcuno, la stella della lirica, che il suo nome greco sarebbe uscito dalla Grecia per diffondersi in tutto il mondo. Come sempre, Maria Callas mantenne la sua promessa.

Chiara Minutillo

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