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martedì 30 giugno 2015

“Lucide Visioni” di Silvia Lorusso



Emily Dickinson - Per tutti gli estimatori, come me, riporto alcuni passaggi tratti dalla mia conferenza: “Lucide Visioni” inerenti alla sua poetica. 
Sull’Amore: Emily Dickinson sognava l’amore. Lo sognava, lo coglieva, lo trasformava. Talvolta, addirittura, lo anelava:
Se tu fossi malato -potrei mostrarti
che so tollerare lunghi giorni
senza la tua attenzione
senza nemmeno un piccolo segno
che mi rassicuri –

se tu fossi uno straniero
in una terra inospitale –
e mia, la porta a cui ti sei fermato
per una breve sosta – premio fuggitivo –
non di più-

fossi tu accusato – e io il tribunale
e i giudici ti avessero condannato –
non mi toccherebbe la tua sorte-
solo vorrei dividere l’infamia-

fossi tu il padrone della piccola casa
e mi permettessi di essere una donna per i lavori più umili-
mi faresti contenta-
non c’è servitù che vorrei affrontare
per te-
morire - o vivere –
morire: era non averti conosciuto –
vivere: l’amore –

Ma per Emily lo sconfinamento fino all’altro è cosa impossibile e i modi verbali dell’assenza – gli imperativi e i condizionali che ne contraddistinguono la poesia amorosa, ricadono su se stessi in una spirale tesa all’inattuabile. Un avvicinarsi… senza mai raggiungersi, come mani che si cercano, senza mai trovarsi.
Dedita all’ascolto interiore, è spesso nell’osservazione della natura, che questa poetessa intreccia sentimenti ed emozioni. Il suo sguardo, educato all’allucinazione dall’isolamento domestico…già pensate alle condizioni in cui viveva questa poetessa nata nel 1830 ad Amherst, nel Massachusetts. Famiglia borghese discendente da coloni puritani, trasferitisi in America, con tutto ciò che ne consegue, mi riferisco al tipo di mentalità, all’educazione e rispetto alla religione.
Dunque… nella solitudine data dall’isolamento domestico, la Dickinson trova nell’osservazione della natura, uno spettacolo di cui individuarne il montaggio e le finalità.
Ciò che non è visibile, è divinato, ciò che non è percepibile è drammatizzato. 
E’ come se avesse una seconda vista, molto vicina all’infantile e all’onirica, i contorni esatti dell’oggetto – animale, fiore, albero, vengono così elaborati, e filtrati attraverso una lente di grande sensibilità poetica, trasformando ciò che è dato naturale in un principio visionario.

Hai nel tuo cuore un ruscello
dove alitano umili fiori,
scendono a bere timidi 
uccelli e treman l’ombre?

Così quieto fluisce che a tutti
ne è occulta l’esistenza.
Eppure tu la tua goccia di vita
Ogni giorno vi attingi.
Sorveglia allora il tuo ruscello a marzo,
quando ogni fiume è in piena,
e la neve precipita dai colli
e i ponti spesso franano.

Ed in seguito, forse nell’agosto,
quando ogni prato è oppresso dall’arsura,
bada che questo ruscello di vita 
non si prosciughi in un meriggio ardente!

sabato 27 giugno 2015

“ I vostri figli hanno bisogno di voi-Perché i genitori oggi contano più che mai”, recensione di L. Sghettini


Voglio condividere con voi una manciata di riflessioni sulla lettura di un saggio interessantissimo fatta in momento delicato della mia vita e grazie al quale è germogliato in me il seme della speranza per un cambiamento sociale che ritengo fondamentale.
Credo che il suo titolo benché molto esplicito susciterà in voi grande curiosità
“ I vostri figli hanno bisogno di voi-Perché i genitori oggi contano più che mai”.
Si tratta di un libro scritto da due esperti osservatori della società giovanile, il Dottor Gabor Matè, medico impegnato nel sociale ed il Dottor Gordon Neufeld psicologo clinico, entrambi di origini canadesi e conoscitori della società americana.
Potrei parlarvi delle recensioni favorevoli ricevute da questo libro ad opera del National Post od altri giornali internazionali; potrei parlarvi del curriculum di questi due autori entrambi professionisti affermati; potrei parlarvi del fatto che hanno per la prima volta definito un fenomeno giovanile oramai diffuso come “orientamento ai coetanei” ed invece voglio “limitarmi” a raccontarvi quanto abbia contato per me come mamma e donna in alcuni momenti difficili nei quali stavo imparando il mestiere più complicato al mondo.
Oggi si racconta poco della maternità e di quanto sia difficile intraprendere questa “avventura” in un' epoca storica dove la solitudine che a volte ne scaturisce viene completamente nascosta od ignorata.
Nella nostra società i valori di riferimento condivisi sono oramai l'affermazione professionale, il raggiungimento di una conseguente cospicua remunerazione ed il culto di un fisico sempre giovane Quale peso può avere in un panorama del genere il ruolo di una madre che ha come obiettivo naturale quello di nutrire e proteggere la propria creatura?
La donna nell'istante in cui la sua vita subisce il mutamento più profondo, divenire madre, viene il più delle volte esclusa dalla scala dei valori sociali.
Questo saggio, attraverso una analisi veritiera e profonda delle relazioni familiari e sociali nella società americana, non tanto distante dalla nostra, sveglia le coscienze facendo affiorare una consapevolezza, la presenza dei genitori in tutte le fasi di crescita dei figli costituisce oggi più che mai l'investimento più redditizio che si possa loro donare per il futuro.
Inseguire falsi miti delegando ad altri l'educazione dei figli può comportare danni seri alla crescita dei ragazzi, mentre avere la forza, oltre che il piacere, di stare loro vicini con amore incondizionato garantisce il sostegno di cui hanno bisogno per formarsi come individui e come persone.
Vi auguro una buona lettura.
Liliana Sghettini

mercoledì 29 aprile 2015

"VIRGINIA WOOLF" di Adele Cavalli



Virginia Woolf


lei e il marito Leonard stanno chiacchierando seduti sulla panchina di legno vicino allo stagno nel loro giardino.
E' una bella giornata di fine estate ed ora rientrano nel salotto dipinto di verde e bevono il tè.
Da ogni finestra, squarci di giardino fiorito e pieno di colori.
Leonard ritorna fuori per gli ultimi lavori della giornata e Virginia , seduta sulla sua 'pallida poltrona' inizia a scrivere il Diario: 

“Monk's House mi è sembrata inaspettatamente molto graziosa: il grande giglio alla finestra ora ha quattro fiori. Sono sbocciati durante la notte.
E quindi ho avuto una consolazione di ordine estetico che ha attenuato la delusione di non aver ricevuto lettere, nemmeno una... 

Questa è l'ultima giornata d'agosto e come quasi tutte le altre, straordinariamente bella.

Ogni giorno è bello e caldo tanto da poter star seduti fuori; ma anche pieno di nuvole vaganti; con quell'alterno affievolirsi e levarsi della luce che mi incanta talmente sulle colline; la paragono sempre alla luce sotto una coppa d'alabastro.

Le nuvole – se potessi descriverle lo farei: ieri una aveva i capelli al vento, i capelli molto fini e bianchi di un vecchio... 
...il sole, dietro la casa, rende verde l'erba...

Questa è stata la più bella, e non soltanto la più bella, estate del mondo...
Comincerò a mettere radici, a partecipare.
E se guadagno qualcosa aggiungerò un altro piano alla casa.”

Dalla mia pagina facebook di ' Scrittrici in giardino'

giovedì 23 aprile 2015

"Virginia Woolf" di Adele Cavalli.



Ritorno a Monk's House e mi fermo nel salotto dipinto di verde di Virginia Woolf.

Non c'è nessuno, lei è appena uscita con il cane per una passeggiata, lo fa tutti giorni, è un' abitudine a cui mai rinuncerebbe.
Lì fuori c'è il silenzio che ama, c'è il verde intorno colorato dai fiori “con tutti gli alberi così saldi e dritti... e l'aria è piena di incresapature...
E' dolce e aromatica e i cespugli di verbena e di artemisia cedono a chi passa una foglia da spezzare e da odorare...”
Il fiume, giù in fondo, scorre tranquillo con solo un leggero sciacquio che accompagna i pensieri.
Mi siedo in questa stanza che è piena di lei e la immagino: ”seduta accanto al fuoco in una sera autunnale che allunga le mani lunghe, sottili, bellissime, verso la fiamma per riscaldarle. Lei aveva sempre “ bisogno di calore... donava molto calore, ma lo voleva in cambio...”
Poi la vedo alzarsi e andare verso la porta d'ingresso e lì come tutte le volte quando sta in piedi contro la porta “fa una specie di esse curva con il suo corpo snello.”
La sua è “una eleganza istintiva, una naturale compostezza ed i suoi movimenti lentissimi e teneri...” ed ora che è ferma “fa quel suo gesto particolare: sposta dalla fronte un ricciolo isolato di capelli - ha i capelli molto lunghi- con la mano rivolta in dentro”.
E poi inizia a parlare con quella sua voce: “ una voce come un vecchio velluto rosso di una profondità straordinaria...”

Virginia è sempre uguale.
Non cambia mai i suoi modi, con gli adulti e con i bambini.
Parla ai bambini “ come se fossero adulti, suoi coetanei...
I modi gentili e lo spirito, l'umorismo, la vivacità e l'immensa curiosità”.
Per lei, “ al mondo niente era noioso... e ride sempre tantissimo.”
La sua è sempre stata “una casa allegra...

Ed io lo sento ed ora riapro gli occhi, guardo di nuovo intormo a me, riassetto il centro-tavola con cui ho giocato con le dita, avvicino la sedia, spengo la lampada e me ne vado, potrebbe tornare da lì a poco, è l'ora del tè con Leonard.

Per il mio scritto mi sono riferita a: 'Diari di Virginia Woolf' ed a'Virginia Woolf tra i suoi contemporanei' Editrice Alinea , un ricordo di lei, fatto da Nigel Nicolson, figlio di Vita Sackville West.

dalla pagina facebook di Scrittrici in giardino

mercoledì 22 aprile 2015

LA VALCHIRIA di Maria Pace.


Valchiria! E’ un nome che evoca oggi, soprattutto nell’immaginario maschile, la figura di un’avvenente ragazza di origine nordica.
Le Valchirie appartengono proprio alle leggende ed alla mitologia nordica; della Scandinavia, per la precisione.
Erano davvero bellissime: corpo statuario e lunghissimi capelli biondi. Bellissime, vergini e guerriere.

Le Valchirie erano inviate da Odino, Re degli Dei, nei luoghi dove infuriava la battaglia ad accendere i combattimenti ed a scegliere i guerrieri destinati ad una morte gloriosa: gli Einherii.

Dai cambi di battaglia, le Vergini-guerriere, dalle corazze di cuoio e gli elmi piumati, guidavano gli spiriti dei valorosi caduti in battaglia fino al Walhalla, la dimora di Odino, in Asgard.

Il termine Walkyrie trae la sua origine da wal, che significa battaglia e da kryan, che vuol dire scegliere.

Terminata la battaglia, le Valchirie guidavano gli spiriti dei valorosi guerrieri attraverso la Selva-d’Oro di Glasor e li conducevano fino al cospetto di Odino, nel Walhalla.

Qui, per fortificarsi e rendersi invincibili, i Guerrieri si cibavano del verro Sadhrimmnir (maschio di maiale dalle carni illimitate) e si dissetavano con idromele della capra Heidrun.
Ogni giorno, sotto la guida delle Valchirie, i Guerrieri si esercitavano in diversi tornei per essere pronti alla grande battaglia finale, dura e senza quartiere, che dovevano affrontare quando sarebbe giunta la fine del mondo.

Lo stesso Odino partecipava a quelle tenzoni in sella al suo cavallo, Sleipnir e con la sua grande lancia Gungnir.

Di numero non ben definito, i nomi di queste Vergini-guerriere erano di carattere assolutamente guerresco:Gun, Hild,Hrend,…

Più noto, certamente, il nome di Brunilde, ma solo perché nato dal genio di R. Wagner che per la sua splendida opera “Le Valchirie” compose musica e libretto, ispirandosi alla mitologia del popolo dei Nibelunghi.

martedì 21 aprile 2015

"Marguerite Yourcenar" di Adele Cavalli.



A Petite Plaisance, nella casa di legno dipinta di bianco, si alza molto presto al mattino e fa colazione nella grande cucina piena di ceramiche variopinte e pentole appese al muro, e il cane la segue in ogni suo movimento.

Poi si avvolge nello scialle ed escono insieme.

Cammina fino a raggiungere il sentiero che l' accompagna nel bosco, là in fondo dove si sente il rumore delle frasche agitate dal vento che si fa sempre più forte.
E poi il suo sguardo si ferma a seguire la corsa di uno scoiattolo ascoltando il rumore del mare e respirandone il profumo, l'aria salmastra che l'avvolge, l'aria:
“... questa bella straniera senza la quale non puoi vivere... segno ermetico dell'aria, triangolo vuoto che punta verso l'alto. Nei giorni calmi la piramide verde si sostiene nell'aria in perfetto equilibrio. Nei giorni ventosi, i rami agitati abbozzano l'inizio di un volo.“

Quando torna a casa le piace curare il giardino, strappa le erbacce e rastrella il prato, piccoli gesti quotidiani che ama ripetere.
Poi rientra e, nello studio, controlla la posta. Si siede al posto di sempre e scrive, abbassando la lampada sulla scrivania, quando la luce del giorno si affievolisce.

È qui a Petite Plaisance che finisce ‘Memorie di Adriano’.

Adele Cavalli

Dalla pagina facebook dedicata a ' Scrittrici in giardino'

mercoledì 15 aprile 2015

"Storia di Sibilla Aleramo" di Adele Cavalli.


Il filo sottile si ferma vicino ad una donna ‘senza nome nè terra‘ errabunda, come a lei piace definirsi, con la smania continua di partire, passando da una stanza d'affitto all'altra, da una pensione, quando c'erano i soldi, ad un'altra, in città sempre diverse, sola o ospitata da amici.
Nei suoi bagagli porta con sè carte, scritti, fotografie, suppellettili varie, tutto quello che ha e che possa fare di ogni luogo la sua casa.
“…Ho una stanzuccia di tre metri per quattro, dal soffitto basso, sotto il tetto, non importa. Sul tavolino la mia cartella di cuoio, il Buddha dai riflessi d'oro, qualche altro oggetto minuto che brilla, creano qui come in qualsiasi altra dimora la mia atmosfera. Sono essi la mia casa. Il ritrattino in una sola cornice, di mia madre e di mio padre, giovani, bellissimi. E quello di mio figlio, quand'era bambino.”
Avrà una casa solo dopo i cinquant'anni, in via Margutta, una soffitta molto bohemienne.
Rina Faccio, questo il vero nome, di Sibilla Aleramo, nasce in Piemonte, ad Alessandria nel 1876, poi i suoi si trasferiscono, prima a Milano e successivamente nelle Marche.
Figlia maggiore, dopo di lei due sorelle ed un fratello, in una famiglia benestante: il padre dirige la propria azienda, è uomo molto autoritario e affascinante: 
”…L'amore per mio padre mi dominava unico. Per lui avevo un'adorazione illimitata… era lui che mi rappresentava la bellezza della vita... accanto a lui mi sentivo lieve come al di sopra di tutto… ero disposta a credere che mio padre avesse sempre ragione…anche quando prorompeva in una di quelle crisi di collera che ci facevano tremare tutti e mi piombavano in uno stato d'angoscia, rapido, ma indicibile.” 
La madre è una donna fragile e debole che subisce il marito.
Per il bene dei figli e solo per loro, sopporta un matrimonio difficile ed i tradimenti continui del marito che le impone un'amante alla luce del sole, esibita pubblicamente nella piccola comunità in cui vivono. Soggetta a crisi depressive tenta il suicidio, viene salvata, ma non riesce più a vivere in una realtà che non può accettare, troppo umiliante tutto, per lei, e così viene ricoverata in un manicomio.
Rina studia e scrive, solo per sè, poesie e pensieri, ed aiuta il padre nell'azienda, le piace questa occupazione.
E proprio qui, nella stanza dell'azienda in cui lavora, una sera, ancora adolescente, viene violentata da un operaio della fabbrica. E' costretta ad un matrimonio riparatore. 
“Il primo grande dolore che avevo provato mi era venuto da mio padre, dalla scoperta della debolezza d'un uomo che m'era parso un dio. Io avevo bisogno di ammirare innanzi di amare. Accettando l'unione con un essere che m'aveva oppressa e gettata a terra, piccola e senza difesa, avevo creduto di ubbidire alla natura, al mio destino di donna che m'imponesse di riconoscere la mia impotenza a camminar sola”.
Lei ha solo 16 anni. 
Rimane incinta, ha un aborto, poi, in seguito, avrà il figlio che tanto amerà, Walter:“Quando, alla luce incerta di un alba piovosa di aprile, posi per la prima volta le labbra sulla testina di mio figlio, mi parve che la vita, per la prima volta assumesse ai ‘miei occhi un aspetto celestiale…io stringevo tra le mie braccia la mia creatura viva, viva, viva!...ella era tutta me stessa.”
E' il figlio che le dà la forza necessaria per cercare di dimenticare la violenza subita che l'ha segnata interiormente, facendo l'ultimo tentativo di cercare disperatamente di amare quell'uomo che è stata costretta a sposare, un uomo gretto, violento che cercherà in tutti i modi di schiacciarla e soffocarla, portandola alla fine, dopo un tentativo di suicidio, alla decisione più difficile da prendere, per una donna, tra mille pene, dolori e rimorsi, quella di lasciare la propria famiglia abbandonando il figlio tanto amato, per cercare di salvarsi. 
Ora non possiede più nulla, solo se stessa.
Non ha niente, corregge bozze per riviste e traduce volumi, vivendo con poco. Inizia a scrivere articoli di costume e articoli sulla questione femminile e inizia anche a scrivere il suo primo romanzo: 'Una donna'. 
Un romanzo autobiografico, la sua vita, dagli anni dell'infanzia fino alla maturità, ricca testimonianza della condizione femminile.
'Una donna 'è considerato il primo libro femminista apparso e pubblicato in Italia con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo. Grande è, fin da subito, il successo ottenuto, siamo nel 1906. 
Negli anni '70 non c'era gruppo femminista che non avesse tenuto tra le mani, letto e commentato questo libro pieno di forza in cui non si parla, con grande coraggio, solo della vita di una donna, ma di tutte le donne, del testimone che viene passato inesorabilmente da madre in figlia, di generazione in generazione.
Il destino di Rina era segnato così come quello della madre e della madre della madre, destini di donne identici, tutti imprigionati, giorno dopo giorno, dal matrimonio senza amore, dalla gelosia, dai tradimenti, dalla violenza fisica e psicologica, dalle continue umiliazioni subite passivamente solo ed esclusivamente per il bene dei figli.
La donna è considerata una 'minorata a vita'.
Spera di ottenere l'affidamento del figlio, ed inizia la sua battaglia, ma tocca con mano quello che nel suo piccolo ambiente familiare e sociale aveva da sola verificato: le donne non hanno alcun diritto perché la donna come soggetto non esiste. 
Scrive, su fogli, piccoli taccuini in continuazione, ”una somma enorme di vita”, partecipa attivamente alla vita sociale, attiva sempre, partecipa nel 1908 al primo Congresso femminile nazionale. All'inizio degli anni venti sottoscrive un manifesto di intellettuali antifascisti, pur non prendendo mai una posizione decisa contro il regime, a cui si rivolgerà più avanti, in un momento di grande indigenza, per ottenere un aiuto economico.
Durante la seconda guerra mondiale matura la sua coscienza antifascista iscrivendosi al partito comunista a cui andrà come lascito testamentario, alla sua morte, tutto il carteggio delle sue numerose opere. 
Ha molti amori che vive intensamente, l'amore fu la ragione della sua esistenza, e per questo viene giudicata e criticata aspramente. “Sibilla, lavatoio sessuale della letteratura italiana.”
Sono le parole di Prezzolini, per lei, donna intelligente, giovane, bella e, cosa preoccupante per i tempi, libera, da schemi e pregiudizi, completamente.
Rivedrà il figlio solo trent' anni dopo averlo lasciato, lui stesso si era più volto rifiutato di incontrarsi con lei, solo nel 1933 ci fu l'incontro tra i due: incontro che lasciò Sibilla delusa e amareggiata. 
Più tardi, una seconda occasione nel 1947 .
L'ultima volta che si incontrarono fu al capezzale della madre morente, Sibilla aveva 84 anni, vicino al suo letto d'ospedale l'amico Palmiro Togliatti che le faceva visita ogni giorno. Sibilla, quel giorno, l'ultimo della sua lunga e intensa vita, alzò gli occhi ed incontrò quelli del figlio e poi morì. Era il 1960.
Eugenio Montale alla sua morte scrive: “Sopravvissuta a tante tempeste portava ancora in sé, e imponeva agli altri, quella fermezza e quel segno di dignità che erano stati la vera sua forza e il suo segreto”.
Adele Cavalli

domenica 15 marzo 2015

"Vogueabolario" di Giovanna Errore.



SINOSSI.
Chi sono stati i più grandi maestri del drappeggio nella storia? Che lavoro fa il fashion stylist? Perché la giacca Chanel ha assunto un ruolo così centrale nei nostri guardaroba? Chi sono state le prime donne ad indossare le zeppe? Cosa vuol dire colour blocking? Quali sono le borse di culto che tutte le donne amano e desiderano? Chi ha inventato le paillettes? Attraverso più di 70 temi, questo piccolo volume cerca di rispondere a queste e tante altre domande, studiando con leggerezza e curiosità la storia della moda, i suoi riferimenti culturali e artistici, i suoi più grandi protagonisti e i messaggi che si celano dietro ogni capo o accessorio.

Giovanna Errore (Agrigento, 17/03/1992). Laureata in Mediazione Linguistica all’Università di Palermo e in procinto di frequentare un master in Comunicazione e Giornalismo di Moda a Roma presso Eidos Communication. Da luglio 2013 gestisce il blog sbirilla.blogspot.it, in cui racconta di moda e creatività con un occhio di riguardo verso stilisti e designer emergenti. Ha pubblicato un reportage su Cosmopolitan Italia (febbraio 2014) e due articoli su Vogue.it (agosto e dicembre 2014). Appassionata di lingue, viaggi, scrittura, moda, giornalismo, letteratura.

STRALCIO.

Pizzo

Parliamo adesso di un elemento così complesso ed affascinante nella storia della moda che il timore di non riuscire a raccontarvi tutto-ma-proprio-tutto mi assale. Ma il pizzo è anche questo: mistero, magia, seduzione, femminilità, tradizione, bellezza. Forse è per questo che ho avuto difficoltà nel trovare la sua vera origine. Circolano tantissime storie, vi racconto quelle che mi hanno colpita di più.

Si dice che sia nato intorno alla metà del ‘500 a Venezia e nelle Fiandre in due categorie diverse: ad ago e a tombolo. Ma non voglio dilungarmi sulle caratteristiche tecniche della tessitura quanto sulle storie ad esse legate. Il pizzo ad ago deriva dagli esperimenti di intraprendenti ricamatrici veneziane che togliendo delicatamente i fili dalle tele e ricamando il tessuto restante “a festone” scoprono affascinanti disegni e li rendono pura arte. Una storia più romantica è quella legata al pizzo a tombolo, nato nelle Fiandre secondo una leggenda religioso-fiabesca. Eccola: una bellissima ragazza per salvare il padre molto malato fece voto di castità alla Madonna, rinunciando al giovane artista di cui era innamorata. Dopo la guarigione del padre, la ragazza si recò dal fidanzato a raccontargli del voto, e mentre entrambi piangevano per l’amara sorte del loro amore, sul grembiule di lei cadde una ragnatela che riproduceva un intreccio bellissimo. La giovane ricamò lo stesso disegno al telaio e quando il lavoro fu pronto le apparve la Madonna sciogliendola dal voto e permettendo così che sposasse il suo amato. 

Ma anche le ricamatrici russe rivendicano l’invenzione del pizzo, per cui scoprire con esattezza quale sia la sua nascita è praticamente impossibile. Quel che è certo è che la sua diffusione in Italia, in Francia e in tutta Europa è così inarrestabile da produrre un aumento dei prezzi e costringere i vari governanti ad impedirne o regolamentarne l’acquisto. A vederci più lungo degli altri però è Napoleone. Si sa, se un tessuto o un capo d’abbigliamento è proibito, possederlo significa far parte di un’elite e così il pizzo diventa obbligatorio per presentarsi a corte. Diventa uno status symbol e il suo successo esplode. Un’altra piccola leggenda curiosa racconta che l’imperatore francese avesse acquistato una quantità infinita di abiti in pizzo per la moglie Giuseppina, salvo poi lasciarla prima che la fornitura arrivasse a corte. La nuova moglie Maria Luigia d’Austria al suo arrivo in Francia si ritrova quindi con un marito con manie di grandezza, la corona di imperatrice sul capo e un guardaroba preziosissimo, da far modificare però per eliminare le iniziali della moglie precedente!

Comunque sia, dall’800 in poi il pizzo diventa prerogativa femminile, gli uomini non lo usano più per decorare i propri abiti e lo lasciano in mano alle signore. Da allora nulla ha più superato questo tessuto per raffinatezza, eleganza, preziosità. È simbolo della tradizione, basti pensare alle ricamatrici di cui abbiamo parlato o alle nonne che realizzano a mano i corredi per le nipotine. È simbolo di purezza, infatti diventa un must nella moda sposa e lo rimane nel corso dei decenni. È simbolo di femminilità e sensualità grazie alle trasparenze che mostrano ma non troppo. E non manca mai nelle collezioni dei grandi stilisti, nessuno escluso. 

Dolce e Gabbana ne hanno fatto il tessuto ideale con cui vestire la propria donna siciliana, passionale, legata alla famiglia, devota e timorata di Dio ma anche seducente, maliziosa, sempre elegante e raffinata. Jean Paul Gaultier ne esalta l’anima trasgressiva usandolo su abiti provocanti e corsetti. Valentino, Marchesa, Chanel lo usano per abiti da sera eleganti e senza tempo. Emilio Pucci, Ermanno Scervino, Salvatore Ferragamo ne fanno inserti preziosi per ingentilire i capi più casual. E anche le catene e i brand lowcost lo distribuiscono a piene mani su jeans, maglie, felpe, perfino accessori come borse e scarpe. 

Il pizzo è la quintessenza della femminilità, e sono sicura che non ci sia bisogno di chiedervi se il vostro guardaroba ne contenga una buona dose!
Giovanna Errore




giovedì 5 febbraio 2015

"Talenti di donna" di G. Gaetano e M. Allo, recensione di Rosaria Andrisani.



Talenti di donna nasce da un progetto di Gloria Gaetano, che si avvale della collaborazione di Maria Allo. Siamo di fronte a un libro molto particolare, una intelligente e costruttiva discussione sull’universo femminile, in rapporto alla scrittura, alla cultura in generale, all’arte in ogni sua manifestazione, al cammino intellettuale e al ruolo sociale che la donna ha avuto nei secoli, sino a oggi.

Nell’introduzione, Gloria Gaetano afferma che “Le scrittrici, per riuscire ad esprimere tutto il loro mondo, sono costrette ad utilizzare il linguaggio della tradizione, la lingua codificata dal maschio; non vi si riconoscono e cercano allora di adattarla alle proprie esigenze dando attenzione alle singole parole, creando neologismi, caricandola di espressività”. Si parte, dunque, da una certa marginalità, sebbene ingiustificata, che la donna ha avuto, da sempre, nella società e, in particolare, nella cultura, intesa in senso lato, ponendo attenzione alla letteratura femminile; “Per questo, studiare la produzione letteraria femminile significava risalire alle autrici. Il come (lo scarto estetico) e il perché (la ragione etica delle motivazioni e degli obiettivi) delle scritture, non poteva che essere indagato successivamente, quando si fosse capita meglio la prospettiva da cui guardare”.

Lo studio illustrato da Talenti di donna è complesso e ci induce, anzitutto, al confronto tra la scrittura femminile e quella maschile, rendendo evidenti sostanziali differenze; “È questo il grande “scarto” compiuto dalla scrittura femminile: il mondo e i suoi valori, le abitudini, i comportamenti, le mentalità vengono tutte ribaltate”. Ciò si riferisce, naturalmente, a ogni tipo di espressione artistica, culturale dove la donna può avere un ruolo fondamentale, grazie alle sue doti, alla sua indole e al suo talento.

Talento di donne ci presenta il percorso intellettuale e la personalità di note scrittrici tra cui Virginia Woolf, Doris Lessing, Natalia Ginzburg, Dacia Maraini e artiste come Mary Stevenson Cassatt e Camille Claudel; il loro ruolo nella società ci fa capire che la donna ha sempre avuto il coraggio di esprimere le sue idee, di creare un sapere del quale è, consapevolmente, soggetto attivo, esprimendo un punto di vista, spesso taciuto a causa delle circostanze, ma sempre espressione di libertà e creazione, di necessità di comunicazione, di solidarietà, di uguaglianza.

Rosaria Andrisani
tratto da 

lunedì 12 gennaio 2015

'Donne che amano troppo'' di Emma Fenu.

''Donne che amano troppo'', quando si tenta di lenire la paura dell'abbandono con un tentativo, esasperato, di controllo Donne che amano troppo, amore, donne, libri, Robin Norwood libreriamo.it

Sono cresciuta nella convinzione che l’amore non fosse mai troppo.

A volte troppo poco, certo.

Ma, in sostanza, incommensurabile, come quello di un Dio Padre e di una Dea Madre, di cui i genitori sono lo specchio tangibile e il modello da imitare.


La misura dell’amore è amare senza misura”.
Sant’Agostino


Non a caso, se pur inconsapevolmente, da adulta, destinai i tre anni del mio Dottorato di Ricerca all’analisi della figura di Maria Maddalena, la quale, secondo l’ibrido creato da Papa Gregorio Magno, è la prostituta che ha ottenuto il perdono da Gesù Cristo in virtù del suo “aver molto amato”, divenendo, perfino per i monaci maschi, esempio di devozione.

La mia tesi era farcita di citazioni intertestuali, come molti dei miei scritti, del resto, e si concludeva con una, che riassumeva non soltanto lo studio antropologico, iconografico e teologico al quale mi ero dedicata, ma, soprattutto, il mio percorso di Donna, prima ancora che di ricercatrice:


Sono nata non per odiare, ma per amare”.
Antigone, Sofocle


Eppure "amare troppo" si può. E’ un errore che spesso si tinge di rosa, connaturato con l’essenza femminile che, talvolta, colma i vuoti dell'anima con infauste accoglienze.

“Amare troppo”, dunque, si può, ma, talvolta, non si deve.

Non si deve, se ciò implica la giustificazione di un compagno inadeguato e il conseguente desiderio di redimerlo e guarirlo dai tormenti dell’anima, mettendo a repentaglio la propria salute e calpestando la propria autostima.

Non si deve, se non si tratta di un sentimento positivo, ma di una malata ossessione, che tenta di lenire la paura dell’abbandono con un tentativo, esasperato, di controllo.

Non si deve, se non si è capaci di accettare che la prima relazione costruttiva deve essere instaurata con se stesse, quale premessa essenziale affinché si possa, in seguito, essere compagne felici ed equilibrate.

In occasione dell’approssimarsi del 25 Novembre, giornata designata per la lotta contro la violenza sulle donne, in merito alla quale ho già accennato nello scorso intervento, vi invito a rileggere un libro, “Donne che amano troppo”, edito negli anni ’70 dalla psicologa americana Robin Norwood, eppure tutt'oggi ricco di interessanti spunti di riflessione sulle dinamiche psicologiche che si possono originare nelle menti delle vittime di relazioni logoranti.

Donne che amano troppo sviluppano relazioni in cui il loro ruolo è quello di comprendere, incoraggiare e migliorare il partner; questo produce risultati contrari a quelli sperati: invece di diventare grato e leale, devoto e dipendente, il partner diventa sempre più ribelle, risentito e critico nei confronti della compagna. […] Il suo insuccesso è totale: se non si riesce a farsi amare neppure da un uomo così misero e inadeguato, come può sperare di conquistare l'amore di un uomo migliore e più adatto a lei?”.

Emma Fenu

domenica 28 dicembre 2014

"Guarire il proprio corpo partendo dalla psiche: i libri di Laura Bertelè", a cura di Emanuela Zanardini


“Non tutti i mali vengono per nuocere”: si potrebbe riassumere con questo celebre detto il messaggio profondo trasmesso dai libri di Laura Bertelè, medico specialista in terapia fisica e riabilitazione ed iscritta all’albo degli psicologi. Dalla sua trentennale esperienza sul campo, a contatto con le influenze che la vita di ciascuno possono avere sulle loro malattie, ne sono nati i testi Ascolta e guarisci il tuo corpo. Scopri il tuo percorso di auto guarigione e Il linguaggio emozionale del corpo. Viaggio verso la guarigione.

Il primo libro si fonda sulla consapevolezza che “l’uomo non è solo corpo, nella sua meravigliosa complessità è un tutt’uno: è corpo, mente, psiche, emozioni”, perché “non si guarisce, anche da un semplice mal di schiena, se non si cambia quello che nella nostra vita non è in sintonia con il nostro io spirituale”. Sono sempre di più le persone che accusano disturbi di natura psicosomatica, e capita sovente che dopo anni di cure con farmaci si guarisca invece quando a cambiare è qualcosa nella nostra vita e/o nella nostra psiche. Ascolta e guarisci il tuo corpo è la descrizione di un metodo frutto di anni di studi e di esperienza che ci spiega come la sofferenza fisica di una persona spesso non sia che il campanello d’allarme di un malessere più profondo.

Il linguaggio emozionale del corpo. Viaggio verso la guarigione, si compone invece di tre parti ricche di testimonianze della stessa autrice, oltre che dei pazienti. “Un vero e proprio attraversamento della malattia che ha inizio dall’ascolto del proprio corpo – si legge sulla copertina – . Se dolore e malattia sono segni della sofferenza del nostro essere, l’aiuto di un medico che sappia ascoltare può diventare fondamentale per decodificare i nostri “reali” disagi e ritrovare la sintonia fra corpo, cuore e mente”.

Laura Bertelè è riconosciuta a livello internazionale come ideatrice del metodo che porta il suo nome, basato sui principi della fisioterapista francese Françoise Mézières di cui lei stessa è stata allieva e collaboratrice. Oggi è Presidente – presso la Fondazione Apostolo di Merate (Lecco) – del Centro di rieducazione posturale e neuromotorio Gino Rigamonti, dove lavora applicando il proprio metodo integrato con altre tecniche. Tiene inoltre corsi di formazione per medici, psicologi, terapisti della riabilitazione e psicomotricisti.

Emanuela Zanardini