Così comincia questa storia.
«Desidera?» chiese l’uomo all’entrata del cancello.
«Buongiorno» rispose Alex scendendo dalla macchina, «Mi chiamo Alexandre Sommers, abito non lontano da qui, nella casa alla fine della strada sterrata» disse presentandosi.
«La conosco. La casa intendo» rispose l’uomo.
«Beh ecco... ho bisogno di miele, anzi di tutto quello che può vendermi» lo informò.
«Mi dispiace, ma non posso» fu la ferma risposta dell’uomo.
«La prego, glielo pagherò bene» insistette Alex, colto alla sprovvista da quel rifiuto.
«Ho detto che non posso darglielo, non che non glielo avrei venduto» ribadì quello, scuotendo il capo incredulo.
«Accidenti, ma qual è il suo problema? Questo miele c’è o no?» sbottò Alexandre, che non capiva il gioco di parole.
«Ieri notte... una catastrofe» iniziò l’apicoltore.
Alexandre cominciava a perdere la pazienza. La perdeva anche quando, per la centesima volta su richiesta della piccola, le raccontava com’erano andate le cose, quel giorno.
«Di cosa parla, quale catastrofe? Non ci siamo accorti di nulla, mia moglie e io. Ci sono stati dei morti?» chiese con palese preoccupazione.
«Le Api!» esclamò l’uomo annuendo.
«Le Api?» replicò lui. Chiedendosi subito dopo da che parte avrebbe dovuto colpirlo. Sul viso o sul posteriore, per riuscire a ottenere una spiegazione razionale da quell’individuo? Fece un profondo respiro per riacquistare la calma, quando quello, scosso da chissà cosa, forse aveva il dono di leggere il pensiero, cominciò a piangere, senza che nessuno lo avesse toccato. Poi tirò su con il naso e cominciò.
«Nel pomeriggio avevo notato una certa agitazione, sa... io la sento nell’aria» vantandosi delle sue abilità sensoriali.
«Certo, certo» lo assecondò Alex, corrugando visibilmente la fronte, in una smorfia scettica.
«Ieri sera, prima di andare a dormire, ero passato a controllare i miei alveari. Sembrava tutto tranquillo».
«L’agitazione era passata?» interpretando le parole di quel soggetto.
«NO!» urlò l’uomo, «Bisogna essere degli esperti per capire che qualcosa non va, anche se sembra che va» e fece una pausa.
Alexandre stava pregando affinché un fulmine a ciel sereno, nonostante il sole brillasse alto in quella mattina di gennaio, colpisse in pieno quel pazzoide di un apicoltore.
«Così, ho fatto finta di andarmene. E, invece, mi sono nascosto dietro una grossa quercia. Ah!Ah!Ah!» proseguì l’uomo, sghignazzando.
Alex era ammutolito. Che cosa aveva fatto di male per meritare quel tizio?
«Nel momento in cui hanno creduto di essere sole, le ho fregate» l’apicoltore fece un’altra pausa.
Cosa mai, poteva essere successo? Pensò Alexandre. «Chi?» chiese poi.
«Le Api guardiane» sentenziò l’uomo, rifacendo un’ennesima pausa.
Le pause proprio non le sopportava più. Alexandre fece un gesto d’incitamento, affinché l’uomo continuasse il suo rac-conto.
«Vede, le Api guardiane si erano sistemate all’entrata dell’arnia, con le mandibole aperte, le ali pronte a spiccare il volo e le armi in pugno» mimò la scena neanche fosse un incallito attore di teatro.
«Da quando le api fanno uso di armi?» si lasciò sfuggire Alex, nascondendo a fatica una risatina.
«Mio caro signore, si vede lontano un miglio che lei di api non capisce niente. Sono un esperto io, sa, nel riconoscere i tipi come lei» affermò l’apicoltore palesemente indignato dall’inesperienza del suo interlocutore sull’argomento in questione.
Era vero, Alexandre di apicoltura non ne capiva molto, ma mentalmente stava diventando esperto in calci nel sedere.
«Per armi intendo il loro pungiglione e, mi creda, quelle avevano tutta l’aria di essere pronte a subire un attacco e a morire, pur di difendere la propria Regina. Ancora nascosto, aspettai. Non mi crederà quando le dirò cosa successe di lì a poco. Saranno state le nove di sera, il cielo era buio, ma non abbastanza da non vedere dove i miei piedi andavano. Potevo ancora distinguere gli alveari, sa... Quando a un tratto, sento un ronzio in lontananza diventare sempre più forte, mi giro e cosa vedo?» gli occhi come due palle da biliardo.
«Che cosa vide?» lo incitò Alexandre, ancora una volta.
«Tanti di quegli sciami di api, che quella parte di cielo era diventata nera come la pece» proseguì l’uomo, ora immerso nel racconto, «Li vidi dirigersi verso i miei alveari, e capii che stava per accadere qualcosa di veramente brutto. Non è così frequente, sa, che una comunità di api ne attacchi un’altra. Per farlo devono esserci dei buoni motivi. O sono api degenerate, che in vecchiaia si dedicano al saccheggio di altri alveari, spesso per lo scarso raccolto, oppure siamo alla presenza di una vera e propria faida tra clan diversi. Fatto sta, che i corpicini delle mie api cadevano a terra. Morti. A centinaia. E io non potevo farci niente. La parte più tragica arrivò quando ne ebbi la certezza» accompagnando le parole con un sospiro. Pausa.
«La certezza di cosa?» volle sapere Alexandre, al colmo dell’impazienza.
«Che la guerra era iniziata. Deve sapere, lei che ignora queste cose, che noi apicoltori segniamo con una vernice speciale la Regina Madre dell’alveare, in modo da tenerla sempre sotto controllo. La mia l’avevo, appunto, colorata di giallo, un pallino sulla testa s’intende, visibile anche al buio. Nel bel mezzo di quel caos, eccola lì, l’avevo intercettata. Scortata dalle sue guardie cercava una via d’uscita. Non per codardia, s’intende, salvaguardare la regina è importantissimo per la comunità delle api, sa. Mentre assistevo al fatto, con la coda dell’occhio, mi resi conto che dalla parte opposta un gruppo di api esploratrici segnalava la strada libera ad altre guardie che, in tutto quel caos, riuscirono ad allontanarsi portandosi via qualcosa.
Mentre queste ultime si distanziavano, purtroppo, la mia Ape Regina soccombeva sotto il raggomitolamento. Capisce, lei non cercava di fuggire, voleva attirare l’attenzione su di sé, così che altre potessero mettersi in salvo» e pianse come un bambino.
«Cos’è il raggomitolamento?» e, subito dopo averlo chiesto, se ne pentì. Il rischio di rimanere bloccato per il resto della mattinata stava diventando reale.
«Lei proprio non sa niente, caro il mio signore. Il raggomitolamento è una tecnica con la quale altre api si ammassano sulla Regina sino a soffocarla. Povera la mia Susy, come farò senza di lei?» piagnucolò l’uomo.
«Chi è questa Susy, adesso?». No! Alexandre l’aveva rifatto.
«Chiamavo così la mia reginella, sa» e ricominciò a singhiozzare, mentre le mani cercavano freneticamente, un fazzoletto nelle tasche dei pantaloni, senza trovarlo, «Troppe, quelle assassine, troppe. Le mie api non avrebbero mai potuto farcela contro tutti quegli sciami. Un vero e proprio attentato: organizzate, ecco com’erano. Chissà da quanto tramavano!» soffiandosi, poi, il naso rumorosamente nella stoffa ingiallita della camicia, che pendeva fuori dai calzoni.
La scena non piacque particolarmente ad Alexandre, che rimase alquanto inorridito dal gesto. Cercò una via di fuga per allontanarsi. Suo malgrado, aveva esaurito le buone maniere. Non aveva più tempo da perdere.
«Non vuol sapere perché non posso darle il miele?» lo redarguì l’apicoltore, bloccandolo con la mano usata per soffiarsi il naso.
«Certamente, sono qui apposta» mentì lui, colto in flagrante, in procinto di risalire in auto, mentre lo sguardo cadeva schifato all’altezza della presa delle dita dell’uomo, sul suo braccio.
«Sempre nascosto dietro la quercia, continuavo a veder soccombere le mie piccoline. Nessuno si era accorto ancora di me, poteva diventare pericoloso, sa? Lo sciame che aveva at¬taccato i miei alveari, non sembrava ancora soddisfatto. Anche dopo aver ucciso la regina cercava ancora qualcosa, ma cosa? E fu in quel momento che mi videro dietro l’albero. Mi creda. Non avrei mai pensato che all’età di sessant’anni potessi correre a quella velocità. Gambe in spalla, mi rifugiai nel casolare dove, appunto, conservavo i miei barattoli di pregiato miele. Lo sa lei, che non sa niente sulle Api, che il mio era il miele più buono di tutta la regione? La mia Susy, buona anima, mi forniva del più squisito nettare che lei abbia mai assaggiato, in tutta la sua vita. Avevamo vinto un’infinità di premi, lei e io, sa?» si vantò l’uomo.
Alexandre era veramente sfinito, se non usciva al più presto da quella situazione, la sua piccola Emma sarebbe potuta morire di fame. Doveva resistere ancora un po’ e, forse, quell’uomo lo avreb¬be finalmente lasciato libero di andarsene. Si fece coraggio e chiese all’apicoltore di proseguire.
«Come le dicevo, sospirai di sollievo quando entrai nel casolare, pensando che la mia vita non fosse più in pericolo. E quelle cosa vanno a fare? Radunatesi tutte, vicino la porta d’ingresso, le sentii fare leva su di essa, fino al punto di buttarla giù con un gran tonfo. “È finita!” pensai “Neanche il tempo di salutare mia moglie”. Rimasi impietrito, aspettando l’inevitabile. Già vedevo la mia fine... migliaia di punture di Api sul corpo, mi sarei gonfiato così tanto che chiunque avrebbe faticato a riconoscermi. Mi stupirono ancora una volta: non ero io il loro bersaglio, bensì i miei barattoli, colmi di miele fresco. Fu una distruzione di massa, si avventarono a gruppi di centinaia sugli scaffali, li vidi staccarsi dal muro uno dopo l’altro, non ne rimase in piedi neanche uno e, inutile a dirsi, la produzione di miele era andata persa. Com’erano venute, se ne andarono, lasciandomi solo, in un mare di vetro appiccicaticcio. Ecco perché non posso venderglielo, non ne ho più» concluse ingenuamente l’uomo.
Cosa? Più di un’ora di racconto solo per informarlo che non aveva più miele? Alexandre non poteva crederci. Era sì, dispiaciuto per il danno subito da quell’uomo, più che altro era dispiaciuto per la tragica morte di quegli esserini indifesi, ma non era quello il momento giusto per fargli da consulente psichiatrico. Il tempo stringeva e la bambina doveva pur mangiare qualcosa.
«Comunque, se proprio le serve tanto, può comprarlo all’emporio del paese: il signor Morel ne ha acquistato una gran partita la settimana scorsa» lo informò finalmente l’apicoltore.Questo era veramente troppo, si sarebbe meritato un bel calcione, uno di quelli che aveva circolato nei suoi pensieri, durante tutto il tempo del racconto. Alexandre se ne andò, senza neanche salutarlo.
Sandra Rotondo