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martedì 31 marzo 2015

"SE UN CUORE RIPOSA" di Saby Silvestro

SE UN CUORE RIPOSA

se un cuore riposa
lascialo riposare
nell'aria tersa della mattina in fiore
quando uno scoiattolo felpato
ti attraversa la strada
e quasi non fai in tempo a scorgerlo
tanto e'veloce e morbido...
Ma se un cuore lacrima
lascialo soffrire
stagli vicino teneramente
sappi perche'soffre cosi'
ed abbi compassione
semplice
estrema
pulita
perche'mai nessuno puo'esprimere
a parole
il dolore del cuore ferito
dolore antico
di distacco di lacerazione
forse di abbandono...
attento,passante della vita,
che hai a che fare con un cuore in dolore,
sappi che hai un compito difficile,
strano,a volte incomprensibile...
quello di aiutare un cuore nel dolore,
di raccogliere sofferenze
come fossero fragole
di non stupirti di qualsiasi abisso
tanto tu,passante della vita
non ci cadrai...
avrai il compito di donare
senza ritegno
di accarezzare gli occhi velati
dal profondo...
come farai...
chi puo'dirtelo,chi puo'aiutarti?...
solo il tuo cuore...

SABY SILVESTRO

Presentazioni.


Cara Emma,
io sono una curiosa di natura, fin da piccola.
Così, dopo aver letto alcuni tuoi articoli, ti ho inviato la richiesta di amicizia su facebook, non per farmi gli affari tuoi, ma perché mi affascina conoscere la vita quotidiana di chi leggo.
So che sei una donna passionale ed ironica e, oltre alla letteratura e all'arte, ti piace lavorare a maglia, arredare e vestirti in stile vintage, farti fotografare e viaggiare.
Sei anche molto attenta alle problematiche femminili, per questo il titolo della tua rubrica di posta non mi stupisce affatto.
Però un dubbio mi è rimasto. Di cosa ti occuperai, esattamente? Di problemi di cuore? In tal caso io sarò un’assidua corrispondente!
Sarasempreinnamorata

Carissima Sara,
scelgo la tua, come prima lettera a cui rispondere, perché, oltre ad essere condotta in modo simpatico e schietto, mi offre l’opportunità di raccontarmi, se pur in parte.
I mille volti di Emma li scoprirete strada facendo, lungo i sentieri, più o meno pervi, di tale avventura. 
Ho voluto diventare vostra interlocutrice non per elargire verità assolute, che non possiedo, ma per confrontarmi con chiunque, uomo o donna che sia, in merito a tematiche che sono oggetto di mio interesse da anni, sia in qualità di ricercatrice, ma, soprattutto, di persona.
Compiere studi di genere, ossia relativi al mondo femminile, nel mio caso inerenti a Arte e Letteratura, fa sorgere domande che esulano dal circoscritto campo d’indagine, per abbracciare storie e percorsi che conducono fino ai nostri giorni, nel tentativo, caparbio, di sfatare pregiudizi millenari, di dare voce a chi è stata condannata al silenzio e di indignarsi davanti all'ingiustizia che è figlia del maschilismo.
Ma non solo di tali temi potrete scrivermi.
Aspetto che mi si narri di amore (sì, cara Sara, come tralasciare il motore del mondo!), di amicizia, di lavoro, di sogni. Vi invito a farlo come preferite, con le lacrime o con il sorriso.
Alla prossima lettera,
Emma

LE RAGAZZE DEL 20' SECOLO di Marilena Viola.



Noi, le ragazze del 20'secolo,
figlie di un Dio minore,
all'ombra di padri e fratelli
abbiamo acceso da sole le nostre vite.
Bisogno e coscienza ci hanno rese api operaie;
abbiamo tessuto in silenzio le tele per tenere salde le trame.
Noi,spose bambine, nei campi con l'aratro ed il bue,
abbiamo nei solchi versato le speranze del nostro futuro.
Noi, donne soldato, accanto a fratelli feriti
a deporre corpi marciti, dilaniati dal fuoco.
Noi a cullare bambini nei tunnel delle paure,
a rattoppare calzini,ad inghiottire amari bocconi.
Noi,finalmente"liberate", al passaggio di jeep made in USA
abbiamo sbandierato vessilli e ballato il rock per le strade.
L'astinenza ci ha rese più astute, la fame ci ha spinto a mangiare,
a sapere, a scoprire, a studiare,
a conoscere le cose ignorate.
Abbiamo conquistato l'alloro,
che ci ha incoronato regine
del nostro regno e del nostro sapere,
in ogni campo fino allora vietato.
Molte si sono fermate, stanche, per via.
Hanno chiesto a noialtre di salire
sul cavallo del secolo futuro per chiedere ad altre di proseguire.

M.Viola
(3/4/2010)

lunedì 30 marzo 2015

"ABBANDONAMI" di Nadezhda Slavova




Abbandonami.
Non sono più vita
senza emozioni
Abbandonami.
Lascia che io provi
la sofferenza struggente
dell’ennesima assenza.
Quel dolore che urta i sensi,
atterra, sotterra, resuscita e uccide
ancora.
Abbandonami.
Fammi sentire i tuoi passi allontanarsi,
quando cala la sera,
quando il buio addosso
sarà l’unico a parlarmi,
quando un cero acceso
sarà la maledizione del mio sguardo.
Abbandonami.
Io, da tempo,
non abito in questa dimora,
io, da tempo,
sono dentro di te.


(Nadezhda Slavova)

"ULTIMO TRENO DELL'INFERNO" di Vitore Gudaj



Ultimo treno dell' inferno.

Per te cara che aspetti ultimo treno
il cielo grigio della mia anima non
promette
Anime saziate di paura leccano le ferite
Dentro di me ti cerco per dirti aspetta ancora
La dove vuoi finire tremano ancora le mie gambe
scopia il mio cuore
Arrivo da te scivolando come le lacrime
tanto stanco
aspettami con la voglia di gioire
perché gioire si beve anche ultima goccia
Frena la tua voglia maledetta che ti mente
parti quando mi vedrai vicino a te
Dalla finestra di un mondo affamata di pace come te
Biglietto non serve anime come te
cercano materassi profumati giardini fioriti
Passi miei gli ho scambiati con la dolce note
inferno disgustoso mi sputa in faccia
nel suo palco sono stato un macello
Giorni freddi sulla mia pelle
Amaro la mia saliva
bollente la mia lingua
la mia bocca un mare profondo
Io vorrei dirti che aspetta ancora
Accendo la mia giornata
Spengo la mia maledetta voglia
suonano le campane
sento la voce di un mondo che mi chiama
Mangiare una fetta di pace
Bere un bicchiere di gioia
Le mie ferite non gli sento più .


Vitore Gudaj

"Vogueabolario" di Giovanna Errore.


Oliviero Toscani per Vogue Italia, maggio 1971


STRALCIO

RIGHE

La stampa tipicamente estiva e casual, immancabile nel nostro guardaroba, non è sempre stata in voga come oggi. Anzi, tutt’altro. Si legge nelLevitico, uno dei libri dell’Antico Testamento: «Non indosserai veste tessuta di due». Un’interpretazione troppo letterale e decisamente forzata del passo convince la religiosissima società medievale che le righe vadano bandite dall’abbigliamento della gente perbene. Le “leggi suntuarie” specificano infatti colori, tessuti, fantasie, modelli che possono essere indossati o meno da alcun strati della società. Vestono a righe le prostitute, i giullari, i galeotti, i boia.
Nei secoli successivi la classica riga bianca e blu viene adottata come divisa ufficiale dei marinai, per due motivi: permette di nascondere le macchie di sporco e di avvistare facilmente un uomo in mare. Nel 1858 in Francia una legge stabilisce anche il numero di righe cioè 21, una per ogni vittoria militare di Napoleone.
È durante la belle epoque, e poi soprattutto con la rivoluzione dei costumi operata da Coco Chanel che le righe diventano un fenomeno di costume, stampa semplice ma estremamente chic e anche simbolo dell’eleganza essenziale dei francesi. Non è un caso, infatti, che il maggior produttore di maglieria alla marinara sia il francesissimo marchio Petit Bateau. Come sempre sono le grandi figure dell’ambiente artistico-culturale a trasformare un dettaglio in mania: Pablo Picasso, la stessa Coco Chanel e poi James Dean, Brigitte Bradot, Audrey Hepburn.
Anche le righe multicolor vivono negli stessi anni un grandissimo successo: sono protagoniste dell’abito da sera Vionnet nel 1923 e delle zeppe Ferragamo nel 1938. Questo tipo particolare di righe coloratissime, sia orizzontali che verticali, viene chiamato baiadera, un termine che viene dal portoghese e significa “ballerina”, poiché gli abiti delle danze tradizionali portoghesi sono ricchi di righe multicolor. Negli anni ’60 la casa di moda italiana Missoni farà delle righe colorate il proprio biglietto da visita.

Nel 1962 Yves Saint Laurent manda in passerella la sua prima collezione di alta moda dopo essersi allontanato dalla maison Dior, e la fa ruotare tutta intorno allo stile marinaresco, così il classico accostamento di bianco, blu e rosso torna alla ribalta. Alcuni anni dopo, all’inizio degli anni ’80 è l’eclettico Jean Paul Gaultier ad adottare questo stile, sia per le sue collezioni che per il suo abbigliamento. Quindi insomma, se quando indossate una maglia alla marinara vi sentite un po’ degli avanzi di galera … sappiate che siete in buona compagnia!
Giovanna Errore

"Con la testa nel forno e i piedi nel frigo" di Lolo Gramma



STRALCIO

"Perché l'ho fatto? Bè... questa sembra essere la domanda preferita dalla maggioranza. Dai, ammettiamolo. Ogni volta in cui qualcuno di noi fa qualcosa di apparentemente illogico, la mente umana non riesce, proprio non ce la fa a esimersi da un potenziale giudizio e, intimamente deve farlo, deve puntare il dito. E tutto inizia da quel quesito, si, quello che sembra tanto innocente da non dover fare del male a nessuno. Anche gli infanti lo fanno continuamente. Loro domandano incessantemente: perché? L'interrogativo corretto, tuttavia, sarebbe: cos'avrei potuto fare altrimenti. A chi domanda, a chi non comprende, ma anche a chi con filantropico amore mi si avvicina vorrei gridare di lasciar perdere. Non ricordatevi di me. Persino io ho dimenticato."

"Primavera delle donne" di Domizia Moramarco



Questa poesia non ha né rime né metro.
Questa poesia è il canto delle donne
che fino ad ora hanno danzato in punta di piedi sul loro cuore
e, trasformate in sirene, sono riemerse dalle acque
dopo secoli di storia.
Tentatrice, seduttrice, arpia
strega, meretrice, ribelle
di tanto in tanto la donna si trasforma.
Ai piedi del Crocifisso
o circondata da rovi in fiamme
ai confini di ogni piramide sociale
o relegata in anguste prigioni
non ha mai perso le sue battaglie:
levando lo sguardo al cielo
e chinando il capo sulla terra ha sparso
briciole di sofferenza che come semi
dopo aver lottato contro il gelo
sono germogliate nelle viscere più profonde dell'anima
preparandosi a fiorire.
E come un vulcano silenzioso si è fatta
magma sotterraneo
bollore incandescente
lapilli rilucenti.
Boato nella notte
temporale nell'aurora
luce infuocata al tramonto.
Parole sussurrate al buio
nella notte delle violenze
lanciate al vento
come petali di rose
a profumare il domani
delle figlie che verranno.
Nascosti sotto veli asfissianti
prigionieri dietro barriere di ingiuste idee
rapiti dentro i bunker di malsani legami
i loro occhi non hanno mai smesso di brillare.
Come lama sottile
il desiderio di libertà
ha squarciato i limiti delle pesanti cortine
dentro le quali erano state avvolte
tagliato le bende di sudari insanguinati
che avvolgevano i loro esili corpi
Aprendo il palmo delle loro mani
con la pelle incisa da profonde ferite
e scorticata dalle insopportabili fatiche quotidiane
hanno impugnato le lance del loro orgoglio
scagliandole lontano oltre gli aridi deserti,
i silenziosi ghiacciai,
le inaridite steppe.
Come lupe affamate hanno
divorato
masticato e vomitato
le prede del passato.
Aprendo i cancelli delle loro gabbie
hanno gettato le chiavi
e cercato nuove dimore.
Padrone dei loro destini
camminano a passi sicuri
calpestando con eleganza tappeti di infamia.
E quando una donna rinasce anche lei
espellendo dal ventre
la creatura che ha cullato con il pensiero
è ricoperta di una nuova e rilucente placenta.
Stringendo a sé quel figlio che
le ricorda la condanna inflittale
dall'origine del mondo, impara ad amare
nella consapevolezza che un giorno tutto quell'amore
sarà solo un pugno di sabbia fra le dita
ma ricoprirà il mondo del suo ricordo.
E quando una donna non si lascia più impiccare
indomita a un cappio troppo stretto
si ripete incessante nel tempo il viaggio alla conquista del mondo:
il suo.


Domizia Moramarco

"Il Coraggio Di Guardare Negli Occhi" di Mirella Morelli

Quando il camice comincia a darmi noia vuol dire che è ora di una pausa. Tolgo gli occhiali, stropiccio gli occhi, fisso la lastra sul diafanoscopio battendo le ciglia: “mammografia negativa” annoto, poi mi giro sorridente verso la paziente che, stesa sul lettino, mi osserva con sguardo ansioso. Spruzzo un po' di gel sul suo seno e mentre effettuo l'esame le parlo con tono rassicurante. Se ne va, salutandomi amichevolmente “Dottoressa, in sala d'attesa c'è...” e il tuffo al cuore ce l'ho ancor prima di sentirne pronunciare il nome; mi volto, so che ho la faccia atterrita perché Gemma, la segretaria, mi lancia un'occhiataccia: “E' qui da mezz'ora, mi ha detto, ma non aveva il coraggio di avvisarci” Ed io non ho la forza di parlarci: ecco, è l' incontro di due paure. “Dottore, è il tuo mestiere! Non è la prima volta e non sarà, ahimé, l'ultima!” Sì, Gemma quando ci si mette è un piccolo cerbero. Ci fissiamo. La sua faccia è grintosa, ma il suo sguardo è dolce: sa quanto me che è terribile dire ad una paziente in ansia: “Purtroppo l'esito del prelievo microistologico dice che è un maledetto B5, carcinoma mammario, e che lei adesso dovrà....”. Si, Gemma lo sa quanto me, lavora con me da anni in questo ospedale. Ed è angosciata come me, ma deve aiutarmi. Siamo amiche, lo sa. “Stai qui con me” le dico, lisciandomi il camice che adesso sento come una camicia di forza. “Si.” mi risponde, semplicemente. Poi apre la porta per far entrare la donna. Che, entrando, cerca subito i miei occhi e quello è il momento peggiore, DEVO avere il coraggio di guardarla negli occhi, subito!, e sostenere il suo sguardo perché senta in me la donna oltre che il medico...e ci fissiamo, sostenendoci a vicenda in un abbraccio di sguardi. Ma io aspetto a sorriderle, perché non posso ingenerare illusioni per poi annullargliele appena due secondi dopo...e così il suo sorriso si spegne, e quello è il momento in cui DEVE nascere il mio: “Si sieda, Patrizia”, le ordino con voce ferma, e poi le siedo di fronte. Ha capito. A questo punto le reazioni non sono mai uguali, e lì entra in gioco la mia sensibilità di donna, prima ancora che di medico: “Patrizia, l'esito purtroppo conferma i nostri dubbi e...” Non mi lascia finire: inizia a piangere. Ci sono donne che negano, rifiutano le tue parole, ti danno dell'incompetente e dicono sfacciatamente che consulteranno qualcuno “più bravo di me!”; ci sono donne che ammutoliscono, sbiancano, non ne senti più la voce finché vanno via e tu non riesci a penetrare la barriera del loro dolore neanche con la tenerezza; ci sono donne che iniziano subito a piangere e ti guardano terrorizzate...Patrizia è una di quelle donne che, nello spavento, piange. E che grazie a Dio chiede aiuto: “Che devo fare, dottoressa, me lo dica lei...ora che devo fare?!” singhiozza. Le prendo le mani ghiacciate, sono gelide anche le mie, ma chi è quello stupido che ha detto che un medico deve imparare ad essere distante?! “Ascoltami, cara, ho già parlato coi nostri chirurghi. Questo tumore non è dei peggiori, devi essere forte e combattiva ed ascoltare quello che sto per dirti, perché ce la puoi fare, anzi: sono certa che ce la farai! Se vuoi affidarti a noi, ti dico che...” poi la mia voce, tranquillizzante ma categorica, le spiega passo passo quel che accadrà nei suoi giorni futuri, quel che sarà il suo piccolo calvario. E lei annuisce. Ascolta, annuisce e tira su col naso. Poi di nuovo: annuisce, tira su col naso, cerca il mio sguardo come ad aggrapparvisi. E il mio sguardo c'è, è lì per lei. Gemma la accompagna, e lei va incontro ad un uomo che l'aspettava in piedi vicino alla porta. Quando rientra io sono di nuovo senza occhiali: “Sono stanca” le dico. “Non dire stupidate, dottora –mi dice con dolcezza- hai ancora dieci mammografie da fare, stamattina!” e mi fa l'occhiolino. “No, voglio andare a casa!” piagnucolo come una bimba. Gemma ride, una risatina dolce e furba insieme: “Pausa caffè! Questo è il momento, andiamo!” e prendendomi sottobraccio mi trascina fuori dalla Senologia, percorriamo un corridoio ospedaliero e siamo nel bar. Mi sento un automa guidata dalle sue braccia. Il bar è affollato ma quella confusione mi ci vuole: sa di vita. E l'aroma del caffè è piacevole, sale dalle mie narici fino al cervello: finalmente sorrido, assaporando. Gemma sta sorridendo a sua volta, tazzina in mano, in silenzio. Due donne vicino a noi parlottano fra loro, poi alzano volutamente la voce: “Se lavorassero un po' di più, questi medici, invece di essere sempre nei bar con un caffè in mano!” Il mio sguardo si oscura, pur rimanendo agganciato a quello di Gemma. Finiamo il caffè. Usciamo dal bar in silenzio e percorriamo il corridoio a ritroso verso la Senologia. D'un tratto una pacca forte sul sedere mi fa sobbalzare e Gemma ride, sfregandosi la mano: “Spìcciati, lavativa, forza!” mi burla. “...piccola delinquente!” l'apostrofo ridendo a mia volta, e approfitto che sia bassa come uno hobbit restituendole la pacca, ma sulla testa; sorridenti arriviamo in sala d'attesa ed entrambe torniamo al proprio lavoro. Con una piccola fitta penso a Patrizia... Ma poi metto gli occhiali, fisso il monitor per guardare la lista...Liscio il camice, cerco di sentirlo meno stretto. Dunque, chiamiamo la prossima...

Mirella Morelli

"La collina dei Conigli" recensione di Chiara Minutillo.



"Raccogli le tue forze e rialzati,
fai tesoro di ogni briciola di grinta che ti resta 
e usala per "andare". 
Non fermarti a metà strada.
Non c'è tempo da perdere.
Non c'è un secondo da sprecare.
Solo chi trova il coraggio di seguire le proprie emozioni,
per quanto folle sembri, 
potrà sentirsi libero!"
(Anton Vanligt, Mai Troppo Folle)

Moscardo si fida ciecamente del piccolo Quintillio e dei suoi presentimenti. Sfuggendo al controllo dell'Ausla, avverte quindi i suoi compagni del pericolo che incombe su di loro. Raccolto un piccolo gruppo di amici, Moscardo guida se stesso e gli altri fuggitivi in un viaggio, a dir poco epico, alla ricerca di un futuro migliore e, soprattutto, della libertà di cui non hanno mai goduto. Vagabondando attraverso le colline del Berkshire, Moscardo e i suoi amici superano con successo e con ingegno gli ostacoli posti sul loro cammino. "Una cosa può essere la verità e, insieme, essere una follia senza speranza" è il pensiero che rimbalza continuamente tra le pagine del libro. Quelle stesse pagine in cui ritroviamo non solo un popolo di conigli in fuga, ma un gruppo di lagomorfi che presentano caratteristiche simili a quelle degli esseri umani. L'istinto è solo accennato. Si parla di intelligenza, arguzia, furbizia, ingegno. Un romanzo che in realtà è una grande metafora della nostra vita, della nostra personale ricerca della libertà, che può essere raggiunta solo attraverso il rispetto di altri grandi valori come l'umiltà e l'altruismo. Un romanzo che invita noi esseri umani, i lettori, i destinatari di questo racconto, a riflettere sulle nostre azioni, sul nostro egoismo che ci spinge a pensare di avere diritto di fare ogni cosa senza tenere conto di quanto le nostre scelte sbagliate possano influire su altri e, un giorno, rivoltarsi anche contro di noi.
"Quanto male c'è al mondo.
"È dagli uomini che viene. Tutti gli altri elil fanno quello che devono fare. Vivono su questa terra e hanno bisogno di nutrirsi. Gli uomini invece non sono contenti finché non hanno rovinato la terra e distrutto gli animali."
Chiara Minutillo

"Il seminato" di Luana Natalizi.

Ho camminato sul sentiero seguendo incessantemente la strada
Cosi la vita mi ha spettinato,
mentre guardavo in basso.
Piccolo segreto, sei un vento di maestrale.

Allora ho alzato la testa con timore,
ma la paura stonava 
con l’orizzonte nitido e assolato
e ora attendo il futuro senza pensarlo.

Lascio il seminato per la prima volta 
E mi abbandono in questa realtà 
che non osavo sognare.
Piccolo segreto verrai svelato.

Luana Natalizi

"Respiro che moltiplica" di Nina Allasub

Respiro che moltiplica.

Potrei camminare per strada
volare
con te
dimentica di venti scuri
che attanagliano il petto.
Sei con me
poesia
sorella
anima delle cose misteriose,
raggio di rosa
dal profumo ridente.
Tu che appari leggera
come brezza al sole,
tu che mi hai donato
occhi nuovi,
annidata nei miei tessuti
impigliata nel pertugio
più antico dell'anima.
Nelle notti di buio
hai dischiuso un giardino fiorito
trattienilo!
tienilo per me!
Quando più nulla
nessuno
neppure il mio cane
mi terrà per mano
tu
tienimi fresca la fronte
per riconoscerti.
Nina Allasub

domenica 29 marzo 2015

"Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò" di Emma Fenu


Secondo certi negromanti, gli specchi sarebbero delle voragini senza fondo, che inghiottono, per non consumarle mai, le luci del passato (e forse anche del futuro)”.
Elsa Morante

Come il racconto che lo precede, anche “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” è una giostra onirica, a tratti malinconica, di simbologie e allegorie ben forgiate, di poemetti paradossali, di proverbi strampalati e di tranelli linguistici, questi ultimi quasi impossibili da tradurre dall’inglese. 
Non più le carte da gioco, ma gli scacchi accompagnano, stavolta, l’eroina nella fase finale del percorso iniziatico che, come dal buio della caverna platonica, la condurrà ad essere Adulta, e Donna, nella lucida consapevolezza di sé e dell’effetto straniante che la realtà, talvolta, provoca in ciascuno.
Nel mondo oltre lo specchio, infatti, vige la coincidentia oppositorum. Ogni logica e ogni legge fenomenica è sovvertita: ciò che è vicino è lontano, e viceversa; si corre ma non ci sposta di un millimetro; il passato non sempre precede l’oggi.

Alice rise: È inutile che ci provi, disse; non si può credere a una cosa impossibile.
Oserei dire che non ti sei allenata molto, ribatté la Regina. Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione”.

Emblema arcano ed arcaico, la cui presenza è reiterata in atavici testi e fiabe, lo specchio risponde ad una molteplice gamma di significati nascosti, accumulatisi nello svolgersi delle epoche: da accesso alla sacra gnosi, a icona della vanitas, a luogo di presenze demoniache fino a oggetto metaforico del tema del doppio, oggetto di studio di Rank e Freud. 
E' proprio questo continuo refluire di simboli che rende Alice un classico immortale. In essa si ritrovano, come scoppiettanti in uno stregonesco calderone, le domande, destinate a restare inattese per essa stessa essenza, sulla cui risposta ci si interroga da secoli: il senso della vita e la verità delle cose.

La barca sotto il bel cielo arridente,
nel tramonto d’estate,
avanza silenziosa, lentamente.
A bordo tre bambine accoccolate,
con i visetti intenti,
ascoltan la mia fiaba, estasiate.
[…] Il tempo fugge via senza ritorno.
E la favola che essi ascolteranno
non sarà mai finita
finché il mondo di Alice sogneranno.
E non è forse un sogno la vita?”.

Emma Fenu

"Alice nel Paese delle Meraviglie" di Emma Fenu.

"Chi sei? disse il Bruco. Non era un bel principio di conversazione. 
Alice rispose con qualche timidezza: Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte".
Alice nel Paese delle Meraviglie, Lewis Carroll



Pur essendo stata scritta da Lewis Carroll nel 1865, la fiaba continua ad affascinare, seducendo per l'ambientazione fantastica e atemporale e irretendo per l'irreale polisemia dei celebri dialoghi. Non possiamo, dunque, non riflettere in merito ai profondi significati in essa celati: tutti noi siamo alla ricerca della nostra identità, confusi fra ciò che siamo e ciò che dovremo essere, tesi fra il desiderio di obbedire e, al contempo, di infrangere regole e convenzioni. Tutti noi abbiamo inseguito sogni di libertà adolescenziali, abbiamo dischiuso mille porte, cimentandoci con enigmi e pericoli, e ci siamo fatti "tagliare la testa", per rinascere ancora e ancora, consapevoli che la vita è evoluzione e talvolta sfugge ai dettami della ragione. 
Emma Fenu

"Lasciate che i bambini si sporchino le mani" di M. L. Caputo


Lasciate che i vostri bambini si sporchino le mani e insegnate loro a lavarle, dopo. Lasciate che i vostri bambini usino pastelli a cera, colori a mano, matite e pennarelli: lasciate che le loro manine si tingano di gioia. Lasciate che l'arcobaleno, i fiori, il mare, le nuvole transitino sulle loro dita. Non temete che si sporchino, basta poco: un grembiule improvvisato con una vecchia camicia del papà, fogli a rullo. E se le case, le cose, il cielo e le nuvole transitano anche sulle pareti? Niente di che! In genere le nostre case sono tinteggiate di bianco, basta tenere sempre una piccola latta di pittura lavabile...Io rincorrevo le nuvole, il fumo dei comignoli, i prati che spesso le mie bimbe lasciavano...scappare dai fogli su un perimetro intero di una stanza...La domenica mi trasformavo in imbianchino...Può capitare e non è una tragedia. Lasciate che i bambini conoscano la gioia della creatività: non abbiate paura di due macchie o di apparire genitori senza regole...Un bambino felice e consapevolmente seguito sarò autodisciplinato. Un bambino mortificato nelle gioie dell'espressione diventerà arido e non apprezzerà neanche le bellezze dei colori della natura e non maturerà la fantasia, che è la madre dell'organizzazione e della razionalità!


Il goal di Pedro e Juanita

Comunque sia il colore del tuo cielo
Comunque sia il colore del tuo mare
Qualunque sia il colore delle mura della tua casa
Qualunque sia il tuo gioco
Qualunque sia il colore della tua pelle
Qualunque sia il colore dei tuoi occhi
Comunque siano i tuoi vestiti
Laceri Allegri Colorati a Righe
Comunque siano le tue manine 
Sporche di sabbia o di cioccolato
Pulite e profumate
Aprile sempre Bambino
Non elemosinare quel che
Ti spetta di diritto
Un Tetto l’Affetto il Rispetto

Comunque siano le tue manine 
Sporche di sabbia o di cioccolato
Pulite e profumate
Aprile sempre Bambino
Cattura nella tua porta il goleante 
mondo pallone sull’erboso
prato della Tua Vita

©Maria Luisa Caputo
Roma 3 ottobre 2003 ore 18:25

IL CANTO DEL FIUME di Mirella Morelli.

Sul lato di una montagna scorreva un tortuoso ruscelletto.
Era un ruscelletto limpido e minuscolo come tutti i ruscelli alla sorgente: ma era così insicuro e così vergognoso che cercava in ogni modo di passare inosservato.
Era talmente timido che, per il breve tratto che percorreva al sole, aveva scelto con cura il percorso dove le sue acque potessero scorrere senza il minimo rumore; invece di raccoglierle, incanalandole nel suo letto, con gentilezza le lasciava scorrere in tanti rivoletti fino a sparire nelle fenditure di una roccia: la terra le inghiottiva e lì, nel buio, si sentiva al sicuro.
Scorreva tranquillo schivando massi e precipizi, osservando i piccoli grandi spazi della montagna e facendo il pieno di sole prima di sprofondare nel mistero della terra. Aveva imparato a gustare il piacere della solitudine e quello ancor più rassicurante della noncuranza altrui.
Qualche volta indugiava ad osservare il volo delle aquile; talvolta si sorprendeva a seguire il dondolio di una nube; altre volte lo incuriosiva il salto di uno stambecco...Aveva comunque e sempre modo di godere della presenza altrui senza l’ imbarazzo di dover partecipare.
Grande fu la sorpresa, quindi, quando un mattino udì una voce:
<<Ti osservo da non poco…>>
Era uno stambecco.
Il ruscelletto gettò intorno veloci sguardi allarmati, cercando qualcuno a cui quella voce potesse essere diretta: ma ahimè, gli occhi irridenti dello stambecco fissavano proprio i suoi silenziosi rigagnoli.
<<Dico a te: sei carino, così piccolo e per niente appariscente. Avevo sete, e ti ho trovato. Posso berti appena appena?>>.
Ma il ruscello lo fissava sgomento, mentre i suoi rivoli tremavano dalla frenesia di sparire nella roccia.
<<Bere è solo un gesto di vita! Rassomiglia a un bacio, non ad un morso...>> e lo stambecco rise prima di immergere il muso nel tremolio delle sue acque.
Quindi quegli occhi divennero fondi:
<<Verrò a berti un poco ogni giorno>> sussurrò. Ma per il ruscello suonò come una minaccia e perse la tranquillità: ad ogni ombra, sussultava; ad ogni rumore di zoccoli sulle rocce, fremeva. Scorreva freneticamente, nel desiderio impossibile di annullare una volta per tutte se stesso, scomparendo per intero nella terra. Ma più veloce scompariva, più velocemente altro di sé appariva a monte, finché capì che non avrebbe potuto nascondersi.
Quando lo stambecco tornò, era ormai rassegnato alla sua venuta: non protestò mentre beveva avidamente le sue acque, non disse nulla. E lo stambecco non parve sorprendersene.
Quando ancora tornò, quello restò a lungo col muso immerso in lui e poi sorrise:
<<Le tue acque sono le più fresche della montagna e tu neanche lo sai>> gli disse, ma il ruscello non rispose.
<<Le tue acque sono le più limpide della montagna e tu neanche lo sai>> aggiunse il giorno dopo, prima di andar via.
<<Le tua acque sono le più frizzanti della montagna e tu nemmeno lo sai>> sottolineò con foga un altro giorno…E andava via ogni volta indispettito dal suo testardo silenzio.
<<Saresti un fiume magnifico se soltanto tu ti dessi un po’ da fare>> infine commentò, confessando i suoi pensieri:
<<Arriveresti a valle in tutto il tuo splendore: i boschi si specchierebbero in te; pesci di ogni specie guizzerebbero, giocando e spruzzando; erba e fiori colorati ti ornerebbero i fianchi…sassi enormi ti lascerebbero cadere con magiche cascate…Ma da tutto questo tu riappariresti, calmo e vincitore, un po’ più in là.>>
Lo stambecco fece una calcolata pausa, fissandolo con fermezza, quindi sussurrò:
<<E nello slancio della corsa, soprattutto…oh, lo so: avrebbe finalmente fine questo tuo terribile silenzio! Le tue acque canterebbero. E il tuo canto sarebbe quello di un fiume!>>
Il piccolo ruscello lo ascoltava tremando. Guardava lo spicchio di cielo tra le vette, il nido dell’ aquila, le note fenditure in cui scivolava scomparendo ogni volta con un brivido di piacere: tutto lì sembrava fatto apposta per lui e pertanto gli dava serenità. Ma lo stambecco intanto parlava, parlava…
<<Farò di te un grande fiume! Perché è questo che tu vuoi, son certo. Ti mancano la forza e la grinta, ma se ti do una mano me ne sarai grato, lo so. Non temere, piccolo ruscello: ci sono io, ora, ad aver cura di te. Rilassati!>> e saltellando sulle rocce sparì.
Quindi andò dal Vento e dalla Pioggia, proprio lì sulle vette più impervie, proprio lì dove è la loro casa, e parlò tanto e con tanto ardore che Pioggia e Vento si convinsero. E Pioggia e Vento parlarono col Sole, convincendolo a sua volta. E il Sole, ammiccante, parlò alla Terra, la quale sorrise schiudendosi ad esso finché erba e fiori cominciarono a generarsi nel suo grembo. E infine il Vento si levò, chiamando a raccolta le Nubi, e la Pioggia scrosciò, e lo stambecco tornò:
<<Ci saranno ghiacciai e nevi che ti alimenteranno tutto l’ anno. Vedi, la pioggia è iniziata. Rilassati, io ti aspetterò a valle. Mi sarai grato, son certo!>>.
Lentamente il ruscello sentì giungere nuova energia: le sue acque aumentavano continuamente senza che egli fosse più in grado di controllarle: i rigagnoli ingrandivano, sfuggendogli. In un vortice vide le fenditure della roccia saettargli di fianco, ma invano cercò di raggiungerle: un letto che sembrava preparato apposta lo accolse, lo raccolse, lo incanalò, lo imprigionò. E davvero c’era, sulla strada, tutto quanto lo stambecco aveva predetto: nel tumultuoso suo scivolare vide erba e fiori ornare le sue rive, e quando fu ben largo vide boschi specchiarsi nelle sue acque profonde. Certamente anche i pesci sarebbero venuti...Così come promesso, sassi lisci ed enormi rocce ne presero le carezze o gli opposero resistenza.
E infine vide il dirupo avvicinarsi inesorabilmente: dopo di quello forse ne avrebbe incontrati altri -oh lo strazio di non conoscere tutto il cammino da compiere! Ed ogni volta, a monte, le sue acque avrebbero vissuto la stessa incertezza…In fondo a quello sconosciuto percorso lo stambecco lo attendeva, sicuro di sé...
Il dirupo era lì ed egli dovette affrontarlo, non sapendo di creare una meravigliosa cascata. E nel momento in cui cadeva si rese conto che era ormai molto distante dalla vetta. Provò a volgere lo sguardo indietro: dov’era la sorgente? Dov’era il ruscelletto? E i rigagnoli? E le fenditure?....
<<Bravo!>> lo stambecco esultava e saltava ed esultava:
<<Bravissimo! Guardati ora: sei diventato un magnifico, enorme fiume!>>.
Da un masso all’altro, lungo le sue sponde, lo stambecco applaudiva: 
<<Me ne sei grato, son certo! Non senti, ora, il rumore del tuo scorrere? Imparerai a perfezione il suono delle tue acque fino a farlo diventare un gioioso canto man mano che avanzi!>> 
e lo stambecco osservava la sua opera:
<<Sei un fiume. E dunque dimentica di essere stato uno stentato ruscello!>>
Già, era proprio un fiume, Per quanto si voltasse indietro non c’era più traccia del ruscello timido, silenzioso e poco appariscente, Era un fiume, ora. Sì, era proprio un fiume....Una strana malinconia sembrò impadronirsi di lui.
E d’improvviso le sue acque divennero più placide, il suo letto si appianò poco a poco, e sopra i ciottoli levigati il rumore delle acque si attenuò, si ricompose, si fece melodia……ed il fiume cantò. Così piano e così quieto che ascoltandolo ad occhi chiusi, stesi sulle sue sponde, si sarebbe detto ch’era un pianto.

Mirella Morelli

"BASSA MAREA" di Carmen Lasigaraia



BASSA MAREA

Dove l’azzurro è fondo
immaginasti
stelle marine e perle,
fiori fluttuanti
all’ onda delle lune,
foreste di coralli,
pesci multicolori e oltre,
nell’abisso inarrivabile,
Sirene ammaliatrici
dalla pelle azzurrina
e la musica –perfetta- del Silenzio


…. Ora lo vedi:
un povero fondale calpestato
conchiglie rotte e – vuoto- un riccio.

CARMEN LASIGARAIA

"QUANDO L'AMORE E' SOLO UN DONO" di Nadezhda Slavova



Quando l'amore è solo un dono///

E ti bacio,
lasciandomi assorbire
dal tuo respiro
come uno specchio d’acqua
in piena estate.
E ti amo,sospesa nel nulla,
leggera come un sussurro,
come una piuma,
come la libertà
che l’anima rasserena.
E ti stringo forte,
come se fosse l’ultima volta,
come un addio sofferto,
come la paura avvolge
l’essere solo
e non vede l’alba
se non nello sguardo amato,
quando l’amore non è altro che
un dono,
un vortice,
un volo.


(Nadezhda Slavova)

"IERI,OGGI,DOMANI" di Sandra Rotondo

Ieri, oggi, domani
Ieri, leggevo le pagine della tua vita.
Oggi, ho comprato un diario.
Domani, scriverò la mia.

(cit. Sandra Rotondo)

"UN PO' DI ME" DI Gerardina Rainone



Un po' di me

Maledetta bambina
che alberga ancora in me,
dirige le emozioni
scolpisce le passioni,
del corpo di donna non si cura
ancor stima non fa della paura,
fa scorrere fulgida la vita
come sortilegio di sorrisi tra le dita.

GERARDINA RAINONE

VERTIGINE di Chiara Minutillo.

Donne si raccontano

Percorsi un lungo tratto di strada, passando attraverso viuzze che si perdevano nel tempo e vicoli senza fine, delimitati da case di pietra rivestite di edera e ginestre. Da un lato dell’insenatura, le vecchie mura erano quasi completamente diroccate. Dall’altro lato, invece, erano ancora intatte. Discesi la scalinata che correva lungo il fianco della rupe, fuori dalla muraglia, arrivando al mare. Da lì, con un po’ di attenzione, mi arrampicai su piccoli gradini, la maggior parte dei quali erano naturalmente scavati nella roccia, fino ad una scogliera vicina. Il cielo grigio sopra di me si specchiava nel mare agitato. Riuscivo a sentire solo il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli e gli stridii dei gabbiani che volavano in cerca di cibo. Mi sedetti sulla roccia, guardando giù. Quattro o forse cinque metri sotto di me si trovava una seconda scogliera, ricoperta di arbusti verdi. Più in basso ancora il mare. Provai una strana sensazione di vertigine che mi percorse la spina dorsale, tanto profondamente quanto rapidamente come una scarica elettrica. Non era paura di essere lì sopra. Non era paura di cadere. Era lo stupore di lasciarsi andare, di scivolare giù e poi dondolare su un’altalena legata alle nuvole, sospesa su quella distesa infinita di acqua tanto dolce, tanto invitante, tanto avvolgente. Era l’impressione di sentirmi immortale, di andare alla deriva senza annegare, di vivere senza respirare. Era il timore di non provare più paura. Era l’emozione di sentirsi parte di tutto e di niente allo stesso tempo, di essere dimenticata dal tempo che scorreva inesorabilmente intorno a me, ma non dentro di me. Era la consapevolezza di gettarsi in caduta libera su una superficie che non sapevo come mi avrebbe accolta. Era l’idea di sentirsi qualcuno. Tutto appariva così piccolo da lì che mi sembrava di poter contenere nel palmo della mano le mura, la strada lastricata e le persone che vi camminavano. Tutte sensazioni di cui presi coscienza solo per un istante, placandosi poi per lasciare il posto a fugaci pensieri. L’altezza mi faceva paura, il fatto di non poter governare le mie azioni, di non poter tornare indietro dopo un passo falso mi metteva soggezione. Per la prima volta sentii, invece, la vertigine come qualcosa di positivo, di inebriante. Qualcosa di cui non potevo fare a meno. Sentivo le onde chiamarmi, schiantandosi con ancora più violenza, mentre il vento aumentava di intensità e piccole gocce di pioggia cominciavano a ticchettare debolmente sulla pietra accanto a me. Chiusi gli occhi per qualche secondo, giusto il tempo che serviva per esprimere il desiderio di essere parte di quel mare che tanto amavo. Amavo il suo profumo, la sua musica, i suoi colori. Amavo sentirlo, ascoltarlo, percepirlo. Riaprendo gli occhi notai piccoli lampi che illuminavano il cielo, creando bagliori di luce nell’acqua sottostante. Non avrei voluto andarmene, abbandonare il mio posto privilegiato su quella rupe, da cui potevo godere di uno spettacolo ogni volta diverso. Non sopportavo di lasciare l’unico posto che mi rilassava pur facendomi sentire totalmente impotente, ma quello era forse il momento adatto. Il tempo giusto per lasciarmi tutto alle spalle. Tutto, tranne quelle onde e il loro richiamo, a cui sarei tornata sempre, come un rifugio, come una torre da cui guardare giù e oltre l’orizzonte per provare la scossa che mi faceva sentire viva. La vertigine che mi faceva amare la vita.
Chiara Minutillo

SETE DI CARTA di Renée Roux

Questa carta ha il tuo sapore.
Vive di una vita breve,
si perde nelle parole
ed esplora colori,
sapori, odori.
Si abbevera di un soffio,
vive di parole scritte e
fa rivivere noi
come anime segrete
incise su un foglio senza fine.
Amiamo la nostra complicità
ma ci rifuggiamo nei dubbi e nei chissà.
Viviamo una vita senza farfalle e
sopperiamo ai colori senza linfa.
Oh, non amarmi se devi fermarti alle parole!
Non essere come quella linea nera che
immobile segue il suo flusso
senza prestare ascolto.
Sii te anche nella carta, non vivere di stenti
se non puoi tenermi.
Tienimi di vita,
abbraccia la mia linfa e dai colore alle farfalle.
Non vivere quello che non siamo,
vivi quello che non facciamo.
Sii aperto al cambiamento e
non minare chi nell'intento
ha voluto e non ha potuto.
Ti respiro sulla carta,
nel soffio di una mano sfiorata,
nella punta che spinge senza fatica le parole
che non scorrono.
Ti vedo là dentro,
ti vedo in fondo sulla pagina.
Per questo ho sete ma non ma
non sarò mai saziata!
Le lettere sono come linfa,
la carta sboccia in un fiore e
i colori di cui mi abbevero sono farfalle animate
che gironzolano intorno al mio cuore!
Ma ciò non basta a tenere a bada la sua bramosia.
Egli è severo con me,
si agita e si altera, e tu giri le spalle a quelle farfalle
che deboli come la carta
perdono senso e colore e
si finiscono nelle parole.

Renée Roux

sabato 28 marzo 2015

"L'ARRIVO" di Rosaria Andrisani



L'arrivo

Corro senza sosta
mangio l'affanno di una strada che non finisce.
Ma l'arrivo sarà conquista.
Se sarà

Rosaria Andrisani

"FREDDO MARMO" di Altea Alaryssa Gardini



FREDDO MARMO

Freddo marmo
gradini
Piedi scalzi, i miei.
Sangue,
nelle mani
un cuore
ancora sangue.
L'altare
vestale oscura
I suoi occhi,
il suo sorriso
le sue mani.....
Fuoco di ghiaccio
Urla di fiamma

ALTEA ALARYSSA GARDINI

"IL VUOTO" di Gerardina Rainone

Il vuoto
muto come pioggia sottile
lasciasti la domanda
a colmare il vuoto.
Lei ti aveva già aspettato,
ti aveva troppo amato.
Un dubbio ti fermò
lei però non ti ascoltò.

GERARDINA RAINONE

"UN BENE ARDENTE" di Nina Allasub



UN BENE ARDENTE.

I colori della terra
assecondano l'altitudine che varia,
un alternarsi d'arcobaleni
su occhi liquidi e tranquilli
che pascolano tra i profumi d'erba selvatica
e silenzi.
Quanta armonia in questa valle!
sazia di ruscelli
e boccioli in fiore.
Mi vien voglia di gridare a tutti
venite!
è qui ciò che vi manca.
Potete bussare
piangere sottovoce
guardare..
perché questo è il luogo
questa è la sponda dove i cuori
avanzano,
qui è il sorso
la vostra infanzia
qui le minuzie che
vestono grandezza.
Venite!
Qui è il bene ardente!

NINA ALLASUB

"T'amo" di Renée Roux

T'amo.

T'amo di quel male di cui mi vuoi nutrire.
T'amo del dolore da cui sono afflitta.
T'amo del dispiacere che vuoi darmi.
T'amo del male che si è attaccato addosso a me.
T'amo e t'amerò sempre. T'amo, perché. T'amo, anche se.
T'amo nonostante farà male,
nonostante sarai una prova difficile da superare,
nonostante.
T'amo perché.
Voglio vivere di T'amo. È per questo che T’amo.
Non mi arrenderò.
Ti vincerò.
E vittoriosa, continuerò ad amare.
E vivrò.
Finché potrò.
Renée Roux

DITA DI DONNA di M. Francesca Consiglio.

Donne si raccontano

Dita di donna

Mai con dita sottili toccò della madre la grazia,
nutrì d’illusioni un cuor fatto per esser rapito
dal salvator che impavido ne uccidesse ogni disgrazia
portando in dono l’inganno di un amore infinito.

Fu con schiocco di troppe dita che fu fatta serva
nel reame grottesco in cui si sentì amata,
spogliata d’ogni dignità, senza rispetto o riserva,
cullò tra le sue braccia quell'esistenza rubata .

Con dita intorpidite resse in mano quel copione
e con esso s’ingiallì anche il verde d’ogni speranza
finché usurata dalle troppe violenze di quell'istrione
guardò dentro se stessa provando gran ripugnanza.

D’un dolore insopportabile bruciò ogni sua ferita
che riuscì a sanare solo la sua forza di donna.
Con dita sicure cominciò a dirigere la sua vita
in una nuova casa dove fu se stessa portante colonna.

M.Francesca Consiglio

"Pinna danzante" di Maria Francesca Consiglio.



Che ne sai della disperazione che non ti sfiora la bocca? Cavalco frustando la passione, io amazzone congenita senza seni. Cavalco sull’onda degli incubi orfani che non voglio abbandonare. La mia tavola da surf è uno squalo a pancia in su che mi tiene l’equilibrio con i denti conficcati sotto al piede timone. Dipingiamo le acque con il sangue amaro che perdo volentieri. Lo squalo mi gioca consapevole che non camminerò più la riva, ride e mi maciulla i sogni. Ride che son bastarda e nessuno mi riconoscerà i resti del suo pasto. Bramo visceralmente di scartar la sua crudeltà come i cioccolatini che la nonna sistematicamente mette in mostra nella vetrina del salotto, pensati per chi possiede come unico senso la vista. Ogni altra percezione è congedata, neonata in pensione; ha bandito persino il suo stesso udito e non sente la nipote che le recita il bene confezionato come il biglietto natalizio. Mi distacco dal corpo, io Pegaso con le redini, corvo “colombino” che ti racconta la bugia del domani che s’abbronza di sorrisi senza crema solare. Io che alzo gli occhi al cielo come un cieco gravando sul collo da civetta sbronza: il mio cielo è sempre nero. Nero occhi di squalo. Nero è il buco di quello spazio nel quale esploderò come un pianeta albergatore di demonietti incestuosi, felice di purificarsi perendo nell’ultimo spettacolo destinato all’occhio di chi crede ancor nelle stelle, orbo romantico che attende l’amor che non lo guardi sul volto massacrato da Cupido, orrido anche alla vista temeraria del santo. Precipiterò e l’anima mi si fonderà nei frammenti infuocati a cercar ristoro per le carni brucianti nell’acque sottostanti; ed è qui che lo squalo attenderà di finirmi la speranza. Io, mosaico d’astri decadenti, lo guarderò negli occhi che sono lo specchio oscuro della mia anima. Buio che mi colori il nero con saliva di seppia pretendendo ch’io riesca a distinguerti per ucciderti e liberarti dalla mia chioma d’inchiostro e pece. Buio che colori l’acqua mentre lo squalo m’accarezza le braccia con le pinne e mi sventra l’arte. Affondo col passo d’una ballerina da carillon; piroettando su me stessa dentro al vortice rido mentre zampilla l’ultimo rosso passione.

© Maria Francesca Consiglio Writer - all rights reserved.

ANA di Nina Allasub

Ana...
Era notte.. la mia prima notte di lavoro. Dovevo farmi coraggio, da sola in un bosco. .ma perché coraggio?...non sono certo una paurosa, io non temo nessuno! mi sono corazzata nel breve arco della mia vita. Una corazza dura che avvolge il mio giovane corpo, dove nessun fendente può penetrare e se dovesse superare questo strato di carne che riveste le mie ossa non riuscirebbe a superare la mia anima.. ormai dura rivestita di diamante. "Ti pagherò bene!" mi aveva detto il vecchio boscaiolo Andrei, al bar del paese. Il mio paese svettava su una grande montagna circondata da boschi fitti, nevicava per mesi ma le case erano sempre calde , scaldate da capienti camini accesi tutto il giorno , perché la legna era l' unico bene che possedevamo. Andrei , boscaiolo da sempre , aveva una piccola baita nei suoi possedimenti, immersa in un fitto bosco di faggi , dove viveva ormai da molti anni tagliando legna e trattando con i compratori che venivano dai paesi vicini e anche dall'estero. Da mesi cercava qualcuno che lo sostituisse la notte, che vigilasse sul suo bene, perché voleva stare in città a valle, vicino a sua moglie Adina colpita da una malattia degenerativa. Andrei mi chiese di prendere il suo posto. Un lavoro adatto più ad un boscaiolo che ad una donna giovane ed inesperta. Ma. .da quando si era sparsa in paese la voce su ciò che mi era capitato un mese prima, tutti mi temevano. .Ero diventata una leggenda!. Come mai ? dovete sapere che dopo l'ennesima lite con mio marito Auriel, ho avuto il coraggio di prenderlo per il colletto e dargliele di santa ragione lasciandolo ferito e piangente nella piazza del paese, tra le risate dei presenti.. Una scena da saloon! Grazie a Dio sono una donna alta e robusta e mi sono potuta difendere! Eravamo sposati da solo un mese. .lui mi piaceva anche se non era uno stinco di santo. .beveva.. rubacchiava. .piccoli furti, niente di grave! "cosa sarà mai!-pensavo - meglio vivere con lui che stare in campagna con mia madre e il suo compagno , a sfacchinare senza sentire un grazie , ma solo bestemmie e parolacce". La convivenza divenne un inferno.. Auriel rientrava la sera ubriaco e diventava violento ..Una notte sono fuggita e mi sono rifugiata dalla vicina ma.. lui decise di farmela pagare. Stavo aspettando l'autobus nella piazza del paese , per tornare dai miei, quando lo vidi arrivare livido in volto.. non ho avuto neppure il tempo di ragionare, ho solo pensato d'istinto :"ora o mai più! mi devo difendere..!" il resto lo sapete...lo ridussi a polpette.. Mi sentii subito forte, inattaccabile.. Decisi cosi di accettare di fare il guardiano notturno in montagna, sola con due grossi cani .Ah! .la mia prima notte! dovevo tendere l'orecchio ad ogni piccolo rumore, aguzzare la vista e riconoscere ombre e fruscii. .i cani erano i miei occhi, il mio udito, il mio olfatto.. s'accorgevano di tutto. .Mi bastarono pochi giorni per imparare a vivere nel silenzio totale del bosco .aspettavo di sorseggiare il caffè alle prime luci del giorno per poi riposarmi .Il caffè del mattino aveva sapore di vita, di rugiada.. nevicava e la neve dolcemente si adagiava spianando soffice ogni asperità e rivestendo, aiutata dal gelo della notte, gli spogli rami dei faggi con mille cristalli di ghiaccio trasparente. Che meraviglia! Provavo una sensazione di incontrollabile vitalità che mi faceva scoppiare il cuore. Anche il turbinio dei raggi rifratti del sole della prima mattina, erano magici.. un contrasto di portentosa bellezza con certi turchesi dei cieli freddi d’inverno.. Bisognava essere lì dentro, “affogati” dalla neve e dalla fatica per capire, per comprendere un’emozione che non è solo ottica ma anche esaltante per lo spirito seppure venata di malinconica solitudine. Avevo imparato ad amare quell'incanto, non l'ho mai dimenticato. Le giornate scorrevano veloci, dormivo fino a tardi, al risveglio accendevo la radio e mi preparavo per la notte. Non era semplice..quasi ogni ora, con una grossa torcia ispezionavo il cortile dove era accatastata la legna, il silenzio era cosi penetrante che anche il più piccolo rumore pareva un boato. Adrien mi aveva lasciato un fucile da caccia e mi aveva insegnato ad usarlo ."Tienilo sempre vicino, potrebbe servirti..!"La sera che arrivarono, a notte fonda, avevo appena finito il mio giro d'ispezione, non mi resi conto che un grosso camioncino s 'era fermato nella strada antistante la baita.I cani non avevano abbaiato..uscii per vedere.. mi ritrovai stretta in una morsa che mi impediva di respirare.Il buio era fitto, due uomini che non conoscevo mi dissero:" Non urlare se vuoi rimanere in vita!", il terzo che mi aveva immobilizzato, mi colpi con una gomitata alla schiena.Che dolore! avevo quasi la nausea..Mi legarono le braccia dietro la schiena e mi chiusero la bocca con un fazzoletto stretto sulla nuca facendolo passare tra i denti. Avevo il cuore a mille..ma non riuscivo a pensare, speravo soltanto che tutto finisse presto. I tre caricarono il camioncino facendo rotolare i tronchi dalla catasta sul cassone, tanti..ma cosi velocemente da farmi pensare che fossero molto esperti. A lavoro finito, mi vennero vicino:"Bevi un sorso -mi dissero -te lo sei meritata!" Avevano in mano una bottiglia, e dopo aver sorseggiato tutti quanti, mi costrinsero a bere..era repellente e bruciava in bocca. Poi iniziarono ridacchiando a palparmi, a fare apprezzamenti volgari, contemporaneamente mi strapparono i vestiti di dosso, avevo dei pantaloni e un grosso maglione di lana, ricordo il rumore dei pantaloni squarciati mentre cercavo di trattenerli sul mio corpo....le mani erano tante ed era tutto inutile..mi sono trovata con i pantaloni alle ginocchia, il maglione sollevato fino al collo.Ero completamente nuda, mentre il mio corpo veniva profanato. Svenni, mezzo nuda sulla neve..non so per quanto tempo, presumo molto, perché mi ritrovai slegata, intirizzita dal freddo e dallo shock. Erano andati via, dopo aver trafugato un carico di legna e aver avvelenato i cani. Bastardi! non riuscivo ad alzarmi, mi sentivo sporca, di quella sporcizia impossibile da lavare..non riuscivo neppure a piangere..mi chiedevo il perché di tutto questo...Adrien s'infuriò, ma non per me, s'infuriò per la perdita subita."Ti avevo lasciato il fucile, dovevi usarlo, sparare! sparare!, invece come un'allocca ti sei fatta derubare..è chiaro che poi hanno anche abusato di te!" Gli mollai un ceffone con tutta la rabbia che avevo in corpo e mi allontanai piangendo, veloce sulla neve.
Nina Allasub

venerdì 27 marzo 2015

AUTUNNO di Franca Adelaide.

Donne si raccontano
AUTUNNO 

Sento l'angoscia delle siepi sfiorite
e il sospiro trepido
della madre che non aspetta più nessuno:
dall'orizzonte arrossato
non tornano più le speranze
e il sole cancella nomi dal raggio della vita.
Ritornano solo divise ingiallite di soldati
sconosciuti: insieme agli eroi sono morti, combattendo.
Dallo squallore della terra bruciata si alza un canto,
si solleva sulle ali dei pini. Le madri:
tengono strette nel palmo le foglie dell'autunno.
E' la pace del tramonto.
Franca Adelaide

VOID di Blondbutterfly Blue

VOID

Quello che ferisce di più non è che i fili della nostra storia si siano dipanati,
né che le fiamme del desiderio si siano affievolite.
A far male è il silenzio che si insinua fra i pensieri,
la distanza in cui mi hai relegato, mio malgrado,
l’indifferenza che lacera più di mille parole dette con rabbia.
Resta questo spazio sconfinato, fatto esclusivamente di nulla, di attese senza confini,
sospensione dell’essere.
Non sento più vibrare le corde della passione,
dell’emozione,
del desiderio.
Il cuore giace
come un paziente narcotizzato in attesa
nel fluire immobile del vuoto….
Blondbutterfly Blue

Eva Contro Eva di Eva Brit Bosi.

Donne si raccontano.

Eva Contro Eva
Amo ascoltare
Odio parlare,
Mettermi dietro le quinte
In un angolo imbucato
mai in prima linea.
Prima sempre gli altri
E solo dopo, io.
Poi mi urto e vorrei quel posto in prima fila
Aver pensato prima a me.
Ogni tanto spaccherei lo specchio,
vedere il mio volto in mille pezzi.
Ma come in una canzone
La vera perfezione è l’imperfezione.
Ho accettato di essere unica tra tutte.
Far pace col cervello
Quando i pensieri cozzano e alla lunga fanno male.
Mi dicono che sono dolce
E non vanno oltre,
si fermano al primo approccio
meglio per loro.
Troverebbero tanti fili annodati,
alcuni li ho sciolti, altri li ho tirati ancora più stretti,
forse dovrei tagliarne i nodi,
e ripartire.
Bisogna essere se stessi
L’ho anche tatuato
Ma spesso me ne dimentico.
Piccole vittorie
Grandi sconfitte
O viceversa.
Fortemente fragile
Fragilmente forte
Mille contraddizioni
In un unico io
Eva contro Eva

"Chiara e Marco" di Liliana Sghettini

Donne si raccontano

Chiara e Marco

Quel giorno era davvero speciale, di quelli che non dimentichi facilmente!
Aveva un appuntamento con lui, non poteva crederci, aveva accettato il suo invito, tanto restio, taciturno, sfuggente ad ogni tentativo di approccio!
Era riuscita a strappargli un “si” e l'emozione le faceva galoppare il cuore, mancava poco all'incontro ed il respiro già si faceva corto, come quando hai le farfalle nello stomaco ed i brividi ti pervadono il corpo arricciando la pelle.
Aveva ceduto finalmente, era dall'inizio dell'anno scolastico che Chiara cercava di rubargli uno sguardo, ma lui sfuggiva, quel giorno invece lo aveva inchiodato al muro, complice la Prof. di matematica che come al solito intratteneva un gruppetto di annoiati compagni a suon di sproloqui sulla sua giovinezza pronunciando per l'ennesima volta le solite frasi.
Chiara aveva tirato via Marco per un braccio, assorto e fintamente concentrato al discorso della Prof., trascinandolo dietro l'angolo del lungo corridoio vicino al distributore automatico che sputava patatine ad ogni suono allegro della campanella e mettendolo con le spalle al muro aveva detto ansimando “E' uscito l'ultimo film di fantascienza, quello che aspettavi! Ti ho sentito, sai siete davanti a me, ne parli da giorni con Rob, non è per spiarti.......”
Marco rimase in silenzio, ma arrossì, come se la carambola di eventi lo avesse piacevolmente rapito ed emozionato, non potendo mentire.
Era successo tutto così rapidamente, dalla sua pancia l'emozione era salita al suo cuore e poi al suo fresco viso di adolescente illuminandolo di rosso, rosso peperone!
Sembrò invece una eternità per lei, ma finalmente dopo una manciata di secondi, lui rispose semplicemente “Si ok!”.
Chiara non poteva crederci, il suo cuore era esploso in un istante azionando una mitraglietta di parole sconclusionate fino a quando, per fortuna, la campanella della fine ricreazione l'aveva risvegliata e disse “Allora giovedì, alle 18, davanti al Cinema Centrale”.
Marco annuì con la testa e tirandosi fuori dall'imbarazzo le voltò le spalle e si diresse verso la loro classe.
Lei pensò subito “Ma come se ne va via così?!, Avremmo potuto farlo insieme, rientrare in classe, forse si è incazzato o si vergogna non vuole che ci vedano rientrare nella mitica sezione E......boh !”
Insomma, lui sbrigativo in un “si” inaspettato, strappato dopo mesi, lei presa dal turbinio dei pensieri incerta dopo tanta attesa, quanto sono diversi i ragazzi e le ragazze!
Marco lento nel suo cedere ad un'emozione procrastinando il momento buono, Chiara decisa nell'iniziativa, stile o la va o la spacca, ma ansiosa da non crederci più a quell'incontro, come fosse un miraggio, un sogno che svanisce appena lo sfiori con un dito!
Il fatidico giorno era arrivato, dopo il pranzo con i genitori, consumato in silenzio e con bocconi da uccellino, si stese sul suo letto guardando il soffitto e contando le pecorelle che correvano in un cielo immaginario e la separavano da quell'incontro!
Un attimo di lucidità e sentì la sveglia che suonava, come una sirena antiatomica, rimbombandole nelle orecchie e meno male che l'aveva messa, altrimenti avrebbe perso quell'occasione, il momento di raggiungere il suo Marco!
Liliana Sghettini

"Qualcuno da amare" di Viola Aleramo.

Donne si raccontano

Qualcuno da amare

Ieri pomeriggio mentre passeggiavo su un lungomare costeggiato da alberi e sassi giganteschi
riflettevo sul fatto che In passato, Ogni volta che finiva una relazione ,in seguito al senso di vuoto percepito
cercavo subito qualcuno che potesse sostituire la persona che se n'era andata e che a sua volta avrebbe potuto ricolmare quel vuoto.
Qualcuno da amare ancora e da cui essere riamata affinche quella voragine nera
al centro di me non mi inghiottisse .
E cosi capitava che mi invaghivo di questo e poi di quello.
E cosi all'infinito...
L'importante era non stare sola con me stessa e
non percepire l'abisso di quel vuoto ,che poi alla fine nessuno riusciva a colmare veramente
Perchè nessuno all'infuori di noi ha il potere di farlo..questo è il punto!
Chissà perchè non ce lo insegnano fin da piccoli .
Quanta sofferenza ci risparmierebbe l'acquisizione
di questa preziosa verità!
Ci trasmettono invece l'idea che amare significhi trovare qualcuno con cui fidanzarsi e poi sposarsi.
.e con cui vivere per sempre felici e contenti
Come nelle favole.
Sul perche poi omettano accuratamente di dirci che il primo Qualcuno da amare siamo noi
.e che senza questo amore ogni altro è impossibile da realizzare
per il semplice fatto che non si può condividere qualcosa che non si possiede,
ci sarebbe da riflettere a lungo.
Così ,
immersa in questa riflessione ho pensato che anche oggi, finita la mia ennesima relazione,
sarebbe stato bello come in passato
incontrare di nuovo
qualcuno...

Qualcuno che rendesse la mia sofferenza piu leggera.
e le mie giornate piu allegre
Qualcuno che mi sorridesse con tenerezza
e mi parlasse con dolcezza
Qualcuno su cui poter contare sempre e comunque
Qualcuno che avesse il coraggio di saper andare oltre i miei sbagli e le mie cadute
Qualcuno capace di perdonarmi perche in grado di Sentirmi
di Sentirmi davvero
Qualcuno insomma a cui poter dedicare le bellissime strofe della canzone di Mia Martini:
Tu
tu che sei diverso almeno tu nell'universo.
.un punto sei che non ruota mai intorno a me
un sole
che splende per me.. per me
soltanto
come un diamante in mezzo al cielo...

E cosi le ho canticchiate..non c'era nessuno intorno a me
A parte il mare gli scogli
e alcuni gabbiani...
Ed Allora le ho ricanticchiate ancora e ancora...pensando che sarebbe stato
bellissimo incontrare qualcuno cosi...
Fino a che ho capito che l'unico qualcuno in grado di potermi amare in quel modo
lo conoscevo già ,
ma non avevo mai fatto caso a lui.
Educata come tanti all'idea che l'amore non possa che giungerci da fuori,
lo aspettavo appunto sotto le spoglie di un Principe Azzurro
che prima o poi avrei visto sbucare da un brumoso sentiero sul suo baldo cavallo bianco.
Non accorgendomi che su quel cavallo avrei potuto salirci da sola ,
.impavidamente
Senza bisogno di qualcuno ,
oltre me,
che mi aiutasse
o invitasse a farlo!

Viola Aleramo

"All'imbrunire" di Fabiola D'Amico.

Donne si raccontano.

All'imbrunire.

All’imbrunire, Camille si avvicinò all’ampia vetrata e osservò intensamente il mare burrascoso. Il suo cuore rumoreggiava nel petto con la stessa intensità delle onde selvagge. 
“Respira, Camille!” s’impose sentendo il panico crescere sempre di più. 
Non doveva lasciarsi vincere dal dolore e dalla paura. Nonostante l’ammonimento, sentì l’aria farsi pesante. D’istinto, aprì la portafinestra e lasciò che il vento le investisse i capelli, il viso.
S’incamminò lungo la passarella e si diresse a piedi nudi verso il mare. Sarebbe stato così semplice fermare l’agonia che da giorni la soffocava. Sarebbe bastato camminare fino all’acqua, lasciarsi sommergere dalle onde e poi farsi trasportare lontano, sempre di più fino a morire.
Semplice, forse indolore e veloce.
Arrivò sino al bagno asciuga. L’acqua gelida dell’oceano la sfiorò. 
Le onde sembravano così invitanti. Confortanti. L’avrebbero abbracciata, cullata. Aveva bisogno che qualcuno si prendesse cura di lei. Le lacrime le annebbiarono la vista, rigarono il volto e il sale del mare si mescolò a quello del suo corpo. Mosse un altro passo verso l’oceano. Nelle orecchie le onde tuonavano, tacendo il rumore del cuore.
L’acqua l’artigliò. Si abbandonò alla forza della natura. 
Chiuse gli occhi e pensò che da lì a poco non avrebbe più avuto paura.
L’onda la sommerse, la trascinò, la lasciò. Doveva spingersi più avanti o il coraggio di farla finita l’avrebbe abbandonata.
Ma era davvero la cosa giusta? Si chiese in uno sprazzo di lucidità. 
Era sola, abbandonata. I sogni di una vita infranti. Tradita e messa alla berlina dal solo uomo che avesse mai amato. 
Si alzò e fece due passi avanti. Le onde arrivarono e la colpirono.
La voce di mamma si alzò tra il rumore che la circondava. 
“Camille!” 
“Sto arrivando, mamma. Ho così tanto bisogno di te. Mi manchi” sussurrò al vento.
“No, piccola. Devi reagire. Non si vive per gli altri ma per se stessi. Se non ami Camille come puoi pretendere che qualcuno lo faccia?”
Si arrestò. Scosse la testa fradicia.
Non c’era nessuno intorno a lei. “Camille! Devi credere in te stessa. Non siamo ciò che gli altri vogliono. Siamo ciò che noi vogliamo”.
“Non ce la faccio, mamma! Che senso ha la mia vita senza di lui? Senza di te?” gridò con rabbia.
“Io sono con te. Io ti amo e voglio che tu viva per il sorriso che sai donare al panettiere, per la gentilezza con cui aiuti chi ha meno di te. Non si ha bisogno di un uomo per vivere quando dentro di sé c’è l’amore che tu possiedi”.
Un’onda gigantesca la spinse. Si lasciò trascinare. Annaspò nell’acqua. Era la fine. Lo era davvero. Ma forse no. Doveva solo desiderare di vivere.
Fabiola D'Amico

BASSA MAREA di Carmen Lasigaraia

Donne si raccontano

BASSA MAREA

Dove l’azzurro è fondo
immaginasti
stelle marine e perle,
fiori fluttuanti
all’ onda delle lune,
foreste di coralli,
pesci multicolori e oltre,
nell’abisso inarrivabile,
Sirene ammaliatrici
dalla pelle azzurrina
e la musica –perfetta- del Silenzio

…. Ora lo vedi:
un povero fondale calpestato
conchiglie rotte e – vuoto- un riccio.
Carmen Lasigaraia

LA SCONOSCIUTA di Carlesca Le Sorelle

DONNE SI RACCONTANO 

LA SCONOSCIUTA

Lo sbuffo del treno e la condensa di vapore riempì l’aria cristallizzandola in attimi umidi.
Mi fermai e chiusi gli occhi. Volevo conservare quegli attimi. Per sempre.
Di lì a pochi momenti, sarei salita su quel treno e sarei andata in un’altra città, per ricominciare.
Ancora una volta.
Com’era difficile, ora. Lo avevo fatto per così tanto tempo, per quanti anni? Dieci, dodici? Non ricordavo più. Ogni volta era sempre più difficile, ogni volta andarmene era più difficile.
C’erano di mezzo le persone che conoscevo e che avevo conosciuto e una parte di me era cambiata, avevo condiviso qualcosa con loro e con loro avevo trascorso dei momenti, che ora aggredivano un delirante rimorso.
Sentivo una parte di me refrattaria alla partenza, a quell’ennesima fuga fatta di addii, di promesse e di improbabili ritorni.
Loro non sapevano chi fossi, né da dove venissi. Ero stata per loro una perfetta sconosciuta che aveva risieduto nella loro città e pian piano conosciuto una parte di essi al parco, in lavanderia, allo studio medico, al bar, alle poste, al supermercato.
La loro iniziale diffidenza era stata sostituita da una graduale cordialità con momenti di amicizia senza scopi reconditi. Forse qualcuno, due o tre di loro, all’inizio mi avevano visto come una facile preda pronta a cadere nella solita trappola della “fanciulla in cerca d’amore", ma feci desistere le loro ardite passioni dicendo che ero già sposata. Una mezza verità, in fondo. Ero sposata indissolubilmente con il mio lavoro e con la mia professione.
Loro non sapevano chi fossi. Né cosa facessi. Alle loro domande rispondevo con finta noncuranza e tagliavo corto.
Ero brava a fingere e a dire bugie. Costruivo interi castelli di sabbia con l’espressione più candida del mondo. Mi pagavano per questo.
Non immaginavano con chi avevano a che fare. Parlavano con un mostro che portava la gonna e non lo sapevano.
Un mostro capace di uccidere a comando e su commissione, senza mezzi termini e pentimenti. Un mostro che non conosceva pietà e misericordia. La mia parcella era scritta col sangue di poveri cristi che i miei committenti si premunivano di estirpare in ogni modo e con ogni mezzo.
Io ero l’ubbidiente manovale che faceva il lavoro sporco, mentre gli altri si divertivano ai party o nelle cosce di qualcuno.
Non ho mai avuto una vita mia e né l’avrò mai. Non ho documenti, né possedimenti. Non ho macchine, né gioielli.
Ma so quando è tempo di andare via, quando il cerchio si stringe. Ed ora il nodo era più stretto.
Adesso, su quel treno sentivo i graffi di quella vita negata che mi alitava sul collo. Ero stordita, avvilita, esausta.
Volevo soltanto fuggire per non arrivare mai. Da nessuna parte. Perdermi all’infinito.
Il treno si avviò ed i miei pensieri si mescolarono alla condensa del vapore che allargandosi avviluppava persone e luoghi, in una morsa invisibile.
Prima di arrivare a destinazione, il capotreno fece i soliti controlli di rito, chiedendomi il nome ed i documenti.
“Le auguro buona permanenza, signora Morton” mi sibilò ghignando, guardandomi con una luce particolare negli occhi.
Carlesca Le Sorelle

"Suonare forte ad andamento lento" di Maria Ludovica Moro.

Donne si raccontano

Suonare forte ad andamento lento

Non è per caso che ho lottato tanto
e a lungo senza mai prendere pause.
Non voglio solo atomi dispersi
detriti inerti e gelide sconfitte
ma polvere di stelle ancora viva
e incandescente di esplosioni rare
capelli a treccia in un nastro rosso
e piedi nudi che pesano ogni passo
con il respiro lento e misurato.
E non importa più cosa mi resta
ma che sia sempre in uno spazio aperto
dove la vista si perda all’oltremare.
Nel lungo abbraccio di parole scelte
mi dico ancora quanto poco basti
a credere così d’ essere amata
in un modo inatteso e non scontato
e pensare così d' essere il centro
il sempre il poi di un tutto mai finito
la parte di qualcosa che tacendo
mi accoglie mi respira e mi trattiene.
Sono solo una nota in mezzo a un canto
cambio luce spartito strada e tempo.
Così sarà come in un nuovo giorno
suonare forte ad andamento lento.

Maria Ludovica Moro

"Olocausto" di Gerardina Rainone

Donne si raccontano

Olocausto

Grido nel buio
lampi di gelo
calpesta la gioia
nel mondo crudele,
affanni di morte
intreccio di sorte,
la vita derisa
da un branco mal nato
condanna decisa
dall'anima invisa,
sia monito al mondo
infernale secondo
lo sguardo stupito
del bimbo finito.
Gerardina Rainone

"Mille Secondi" di Dafne D'Angelo

Donne si raccontano

"Mille Secondi"

Percepire in inconsueti gesti
sentimenti messi a freno da arresti
Dentro gli occhi
Dentro i brividi bassi
Dietro muri sostenuti di sassi

Incontrarsi
senza proferire
Preferire staccarsi per capire
Le linee brevi Che ci distaccano
risiedono in vene che contrattaccano
pur essendo nulla

diverremo forse tutto.
Dafne D'Angelo


"A mia figlia Rachele" di Maria Ludovica Moro.

"Donne si raccontano"

A mia figlia Rachele

Preziosa come ametista o rubino
sguardo di scuro sogno
resta così ma diventa felice
fai ridere quegli occhi immensi
lo devi al tuo percorso
e alla nostra ispirazione.
Da lontano arriverai vicino
toccherai la vita
ti ci immergerai
fin sopra la punta delle dita
con le tue braccia alzate
con le tue braccia tese.

Maria Ludovica Moro

VENTO di Fabiana Petozzi

 "Donne si raccontano"

Vento

Soffia il vento forte
urla le sue ragioni agli alberi
schiaffeggia le chiome
stropiccia le foglie cadute
e sbatte questo tappeto di cielo impolverato.
Adesso è tutta una sistina restaurata
l’aria
non una sbavatura
non uno scarabocchio di nuvole
come l’azzurro dei tuoi occhi
che hanno arruffato di nuovo l’umore
delle mie malinconie taciute.
Ah, potesse il vento
spazzare via tutte le immagini di stanotte
riflesse dentro al sogno
per rivelare ai miei ottusi e ciechi occhi
la realtà dipinta
come l’effetto di uno schiaffo violento!
Fabiana Petozzi

"Sinestesia (Nelle mie immagini)" di Livia Bianchi

Sinestesia (Nelle mie immagini)

Nelle immagini tutto ha senso
la paura va all'inverso
i colori suonano una melodia
le parole vibrano di allegria
tutto ha il suo colore niente è vero dolore.


Nelle immagini il buio aspetta
resta nei suoi spazi
non ruba alla notte
non picchia forte
non lascia striscianti impronte.

Nelle immagini vedo
lacrime e mani strette
le nostre voci distanti e vicine,
i ricordi impressi,
alcuni confusi riflessi.

Nelle mie immagini
tutto quello che ho visto si impossessa
di ogni cosa che vedo ora
si trasforma e mi crea
inganna poi si allea.

LIVIA BIANCHI

giovedì 26 marzo 2015

"TRACCE" di Marilena Viola



TRACCE
Ti voglio raccontare,a tratti,
la mia vita;
ogni respiro voglio dirti,
come diversi gli attimi,diverso.
Spiegarti come vivo adesso,
come il tempo attraverso
con la mia vela
a favore e controvento.
Come negli anni coltivo i semi
che altri hanno piantato;
come vive una foglia
finché non è ingiallita.
Della pioggia voglio parlarti
e dei mille soli che ho visto nascere
all'alba di ogni giorno;
e delle lune,si,delle lune
che hanno vegliato
il mio sonno ed i sogni.
Mettermi a nudo ed esternare,
scoprire l'anima e mostrare,
senza più reticenza,
i vari colori che l'hanno dipinta.
Perché di me orma lieve rimanga.

Marilena Viola

"IRREALTA'" di Gerardina Rainone



Irrealtà

Quella sottile linea
tra la ragione e il cuore,
tra il prendere e il lasciare
somiglia alla tua vita
sospesa nei meandri,
di reale e virtuale,
di noia sempre uguale,
in un mondo un po' irreale.
fantasmi che si aggirano
con le loro verità,
Contesti evanescenti ,
giudizi irriverenti,
false identità,
con il perverso senso
di altra vanità.

Gerardina Rainone.

"DIMMI SE" di Gerardina Rainone



Dimmi se

Dimmi se ti posso amare,
se invano ti ho voluto
quando l'animo ho conosciuto,
se erro per i vespri di una sera
cercando senza posa
un'altra primavera,
l'ebbrezza di un tormento
l'essenza di un momento,
che scuote il tedio amaro
ma so che non troverò riparo.
Domanda un po' retorica
mi lascerò credere eroica.


GERARDINA RAINONE

"LA VIA PER LA LIBERTA'" di Irene Milani



La via per la libertà

Un brivido tradisce l’impazienza.
Lo sguardo non può celare quello che la mente desidera.
Il respiro si affanna, il cuore non tiene il ritmo dei pensieri
che vorticano come fiocchi di neve nella bufera.
L’attesa di quel breve istante,
l’attimo in cui i nostri occhi finalmente si incroceranno vale tutta una vita.
Ti senti piccola, debole, fragile
dovresti capire invece quanto sei forte e sicura!
Tutto ciò di cui hai paura non può farti niente,
può solo rafforzarti e renderti più determinata.
Consapevole delle tue possibilità.
Quando trasformerai le sconfitte in trionfi allora sarai finalmente libera
dal giudizio degli altri,
dall’affetto che cerchi.
Ti amerai e ti basterai e forse
la serenità, come una lieve brezza, entrerà nella tua vita.


di Irene Milani

"DOLCE SPERANZA" di Graziella Colomba



DOLCE SPERANZA (Se vi va questa è inedita grazie)

Il cuore mi dice, ci sono.

E’ come un battito d’ali vedo volar le mie parole.

Il vento le porta dove e come non so.

Aleggiano nell’aria e si posano su di un foglio.
Non son dir che provo.
Nero su bianco, che bel colore! Guardo e le vedo, son tante.
Troppe? Non so, certo che corrono come un fiume che scivolando al mare vuole trovar rifugio.
Talvolta l’anima stanca vorrebbe volar con loro.
Non può. Deve restare ansimare sentire il dolore che penetra nel cuore e ti taglia a pezzetti.
Come lama affilata penetra dentro. Arriva al punto dolente e preme con forza.
Resisterai? Dolce speranza, aiutami! Vattene notte buia, rischiarati di stelle.
Ragione non badare, bilancia del dolore è la felicità.
Spera o cuor mio, più senti la lama fender, più consolato sarai.
Spera anima sola, la dolcezza del dolore gusta. Non è amara la pena, ma dura come la roccia.
E’ un monte grande, come salirlo?
Cerco una mano, la trovo, mi aggrappo, poi sento divenir la leggerezza al cuore.
Mi guardo attorno, cerco tra volti due occhi generosi.
Eccoli ci sono, mi parlano e d’amore! Sì mia speranza, tu sei forte e coraggiosa.
Dolce ma arduo è il tuo cammino, non lasciarmi da sola, dammi la mano.
Ora che ci sei, entra nelle mie viscere, girami intorno, avvolgimi nel tuo canto soave, cullami come un bambino.
Non lasciarmi, tu sola puoi salvare quella pena che già domani sarà meno grande.
Ogni ora che passo con te è balsamo soave, goccia di rugiada, fiore di campo che profuma di fieno.
Come nella mia infanzia, torna o pensiero, rendimi la mia giovinezza, fammi volare sulla vetta.
Sarò la, e allora potrò veder con i tuoi occhi che la vita è bianca e nera, proprio come le mie parole.
Ora forse intendo, non so quanto spero, ma voglio pensare che con te è il rapimento eterno.


GraziellaColomba

"MIA" di Valentina Bellucci.

"MIA"
Dedicato a chi ancora solo non sa stare,
e cerca un fiore nel vento.
Dedicato a chi trova odio,
e nutre amore.
Dedicato a chi ancora sa sognare,
perché i sogni hanno ali per volare,
ma non hanno piedi per essere inchiodati.
Dedicato a chi ancora crede,
perché il silenzio è l’unica arma,
e la tua voce solo una vibrazione lontana.
Dedicato a chi sa essere,
e a chi crede ancora in quello che sarà.
Dedicato a te,
che leggi le mie parole,
e adesso se permetti me ne vado,
ti lascio una canzone,
ti lascio una parola,
ma tu,
lascia a me la poesia.
Valentina Bellucci
"DONNA DI BURRO E MIELE"
di Maria Cristina Sferra

Donna di burro e miele, danzi mille milonghe a piccoli passi con piccoli piedi mentre gli uomini si smarriscono tra i tuoi seni grandi.
Pelle candida, pelle scura.
Lui ti balla con decisa delicatezza, ti tiene, ti contiene, e in segreto spera che il tuo sorriso non brilli troppo, perché sa. Un sorriso sulle note luccica.
Ora il tuo sguardo si fa sottile e ammicca. Rubi un fanciullo e lo confondi. Colline rare, echi di mondi, ed è perduto.
Donna di carne generosa, il tuo corpo dice di morbida seduzione, mentre il tango ti porta su mille abbracci carichi di desiderio.
Donna di burro e miele, se fossi un uomo vorrei ballarti anch'io.