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mercoledì 5 agosto 2015

"Vite di Madri" di Emma Fenu. Recensione di Maria Saccà

Sono scivolata sulla sdraio, in giardino, circondata da un vento caldo e avvolgente e, appena cominciato, sono stata "avvolta" da loro, da tutte le donne che, nel libro, si raccontano ed Emma racconta.
Strana esperienza, ad ogni storia "diventavo" la donna che si raccontava, erano mie le sue emozioni, le sue paure, erano "mie" le sue esperienze, le sue reazioni...
L'ho finito in due ore, scossa e stupita per quello che mi stava accadendo. E, chiuso il libro, quando mio marito mi ha chiesto: "Ma l'hai già finito? Non è possibile!", ho risposto: "Non l'ho finito, l'ho vissuto".
Grazie, Emma.
Maria Saccà, psicologa e psicoterapeuta

lunedì 22 giugno 2015

"Donna che legge sdraiata" di Lisa Molaro



Lasciatemi qui, in pace, chiudetevi fuori questo mio mondo immobile! Questa stanza rossa che sempre mi fu di alimento ora mi soffoca l'anima e mi impedisce di respirare; stamattina mi sono fatta vestire col colore del dolore, non voglio pace, non cerco diletto ...pretendo silenzio! Tra le pagine di questo libro non riesco a trovare gioia, non ho voglia, non ho ..!Voglio silenzio e da lui però fuggo ..ma dove, se non ho forza di alzarmi? 
Pagine, colori, vita...ma dove ? Non qui..forse fuori..

Gioacchino Toma - Donna che legge sdraiata

martedì 16 giugno 2015

Quadro: Franz Eybl - Giovane donna che legge, di Lisa Molaro



Quadro: Franz Eybl - Giovane donna che legge

Stasera abbandoniamo le tinte forti dei rossi e degli ambrati e ci lasciamo rapire dai riflessi e dai colori delicati di questo quadro!
Mi piace molto la luce che si intrappola sui suoi capelli appena lavati, che profumano di marsiglia, la mano appoggiata al petto come trattenendo l'emozione provocata dalla poesia in cui si è immersa...sua madre la chiama ma lei non può sentirla, prima si raffredderà la cena e poi quasi si spegnerà il lume della candela appoggiata al collo della bottiglia verde sul tavolo vicino..forse, se avrà terminato il libro, andrà a dormire ad un'ora decente e i capelli si saranno asciugati!

venerdì 13 marzo 2015

La figura della donna nell’Antico Testamento, di Emma Fenu.


Nella tradizione veterotestamentaria sulla donna grava, triste eredità di Eva, la concezione di mezzo privilegiato di affermazione del male, di instrumentum diaboli, per colpa del quale l’umanità intera è precipitata negli abissi del peccato ed attende di essere riscattata dall’arrivo del Messia, in un tempo ancora non compiuto, anelato dal popolo di Israele e presagito dai profeti.


William Dyce, Giacobbe incontra Rachele al pozzo

L’Antico Testamento è ricco di figure femminili che incarnano la capacità di circuire l’uomo e fanno trapelare la paura della perdita della giusta via, indicata da Dio al popolo prediletto: dalla moglie di Putifarre, alle concubine del re Salomone a Dalila. Le sentenze dei Proverbi dipingono, nella vivacissima scena descritta nel settimo capitolo, un modello classico di seduzione femminile del quale urge mai fidarsi:

Ecco farglisi incontro una donna
in abito da prostituta e astuta di cuore,
turbolenta e proterva,
che non teneva piede in casa:
ora in strada, ora per le piazze. […]
Lei lo sedusse con le sue molte lusinghe,
lo trascinò con la dolcezza delle sue labbra.
Egli le andò dietro subito,
come un bue va al macello,
come uno stolto è condotto ai ceppi che lo castigheranno,
come un uccello si affretta al laccio,
senza sapere che è teso contro la sua vita,
finché una freccia gli trapassi il fegato.
Or dunque, figlioli, ascoltatemi,
state attenti alle parole della mia bocca.
Il tuo cuore non si lasci trascinare nelle vie di una tale donna;
non ti sviare per i suoi sentieri;
perché molti ne ha fatti cadere feriti a morte,
e grande è il numero di quelli che ha uccisi.
La sua casa è la via del soggiorno dei morti,
la strada che scende in grembo alla morte”.
Proverbi 7, 10-27


L’anonimo redattore del Libro di Qoèlet paragona la donna al laccio del cacciatore, ossia ad una trappola che può imprigionare l’uomo per tutta la vita; nel Libro del Siracide la questione si amplia ancora di più e l’autore ammonisce i maschi affinché non rivolgano neppure un fugace sguardo alle donne, perché esse, capaci di accendere il fuoco ardente della concupiscenza, causano la caduta del giusto.


Gustav Klimt, Giuditta I

Descrivendo Dio come un’entità maschile, e invocandolo con gli appellativi, prettamente virili, di Re, Maestro, Capo degli eserciti, Giudice, Padre e Sposo d’Israele, la società giudaica aveva elaborato un mito sociale fondato sulla supremazia del maschio. La donna era esclusa dai precetti positivi della Legge (quelli che esordiscono con la formula “tu devi”) che fondavano lo statuto religioso dell’israelita, ma, in compenso, era destinataria di numerosi precetti negativi. I suoi obblighi erano soprattutto vincolati alla condizione d’impurità, che la rendeva appartenente un gruppo separato non solo nel Tempio, ma anche nelle abitazioni private. Tale impurità era legata principalmente al tabù del sangue, in quanto riguardava i periodi del ciclo mestruale e del puerperio. Ma, in realtà, le donne erano sempre “contaminate”, poiché l’atto sessuale, che metteva in condizione di impurità anche il maschio, per le donne si inseriva nei periodi “puri”, dato che non era lecito avere rapporti intimi durante il ciclo. Eppure, l’Antico Testamento, non solo attraversato da forti correnti misogine, è costellato di figure femminili straordinarie: donne bellissime e coraggiose, profetesse, regine e matriarche: nei momenti di crisi, che investirono la storia del popolo d’Israele, uomini e donne tornarono a condividere l’uguaglianza dell’Eden. La subordinata condizione in cui la donna era relegata non escludeva, pertanto, che essa fosse oggetto d’amore o di rispetto: specialmente se aveva figli maschi e sapeva imporsi abilmente, godeva di autorità e prestigio considerevoli.

Una donna perfetta chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Essa gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita”.
Proverbi 31, 10-12

Alla luce di un confronto storico-etnologico, bisogna considerare che la donna è stata più onorata presso gli Ebrei che presso altri popoli dell’antichità: non le era sempre imposto di coprire il viso con il velo e le era consentito di essere parte attiva nelle feste pubbliche.

Nell’ebraismo, inoltre, la femminilità e la sessualità non conobbero mai il marchio dell’infamia, ma, al contrario, la “necessità” del matrimonio, con la conseguente condanna radicale del celibato o della vita monastica, viene spiegata fin dal racconto della creazione: se l’adam è stato creato maschio e femmina, la perfezione si realizza nell’incontro della moglie e del marito. Inoltre l’unione dell’uomo e della donna ha sempre avuto, nella tradizione ebraica, un’altra finalità fondamentale: attraverso di essa è messa alla prova l’alleanza, cioè il legame instauratosi, dopo la creazione, tra Dio e l’essere umano. Di conseguenza, il rapporto coniugale divenne, all’interno del discorso profetico, la metafora principale del rapporto tra l’umano e il trascendente. Anche il Cantico dei Cantici, secondo una delle varie interpretazioni, ricorre alla espressione figurata della relazione amorosa per descrivere il rapporto d’Israele con la Divinità.

Emma Fenu

giovedì 5 marzo 2015

Studio per la testa di Leda di Michelangelo Buonarroti, di Mirella Frascolla.


Studio per la testa di Leda di Michelangelo Buonarroti (1529/1530). 
Un disegno preparatorio di un'opera della quale si sono perse le tracce. Lo studio preparatorio di un'opera era per ogni artista un lavoro che richiedeva tempi lunghi e studio assiduo. Michelangelo artista eclettico e geniale ci ha lasciato oltre a sculture, edifici, quadri, affreschi anche carteggi con meravigliosi disegni. 
Il tratto di questo ritratto è morbido e serve delineare una figura di giovane donna di profilo. Il volto è ben delineato e modellato con il chiaroscuro della matita. Il capo è appena accennato come fosse privo di consistenza .Ricorda nei tratti diversi personaggi della volta della Cappella Sistina ma questo immenso artista seppe dare ad ogni suo singolo ritratto vita propria. Ho avuto la fortuna di vedere alcuni disegni del grande maestro al museo di Capodimonte a Napoli e l'emozione che il suo tratto anche in un particolare come questo suscita nello spettatore è di stupore e ammirazione in un silenzio che non trova parole di fronte a tanta perfezione.
Mirella Frascolla

sabato 14 febbraio 2015

"Paolo e Francesca" di Amos Cassioli, di Mirella Frascolla


PAOLO E FRANCESCA di Amos Cassioli (1870). La storia dei due giovani è realmente accaduta nel XIII secolo nel Castello di Gradara. Una vicenda conosciuta grazie alla citazione che il sommo poeta Dante ne fa nell'Inferno.
Quest'opera a mio avviso rappresenta una delle immagini più intense dell'amore nell'arte. I due giovani si amano di nascosto, la loro passione è scoppiata inaspettatamente e risulta purtroppo difficile da vivere come essi vorrebbero. L'artista coglie nell'immagine il gesto d'amore per eccellenza: il bacio. Francesca ha un attegiamento composto e intimidito, Paolo è colui che per tradizione deve farsi avanti. Le labbra si sfiorano, il desiderio e la dolcezza tra i due si percepiscono pienamente. Tra non molto la tragedia li travolgerà ma per il momento essi vivono un momento sospeso nel tempo perchè nel loro caso l'amore è totale abbandono.

Mirella Frascolla

venerdì 13 febbraio 2015

Una donna che abbraccia il mondo, di Eleonora Epis.


Una donna che abbraccia il mondo, abbraccia tutto l'universo. Lui le appartiene e lei appartiene al tutto.

Eleonora Epis

lunedì 9 febbraio 2015

"La Madonna Annunciata" di Antonello da Messina, di Mirella Frascolla.


La MADONNA ANNUNCIATA é un dipinto eseguito nel 1476 circa, a tempera ed olio su tavola da Antonello da Messina. Maria viene rappresentata nel momento in cui riceve la notizia dall'arcangelo Gabriele della sua futura gravidanza e del compito che le viene da quel momento affidato. Il colore blu cobalto del suo velo spicca sul fondo scuro. E' un momento di grande intimità e silenzioso rispetto. Maria è una giovane donna in carne e ossa, probabilmente raffigura una ragazza siciliana del tempo. Ha un'espressione pensosa ma serena per nulla turbata da un avvenimento che le sconvolgerà la vita. La mano destra è in prospettiva e sembra voler comunicare, attraverso quel piccolo gesto, tutta la sua volontà di obbedire. L'altra mano stringe il velo per chiuderlo in segno di pudore. Davanti a lei un leggio dell'epoca e un libro aperto. Una ragazza rinascimentale quindi, una donna reale, dal volto delicato ma deciso. Un altro ritratto di una figura che esprime un suo autonomo modo di agire, nella sua semplicità e nella sua dolcezza sta la forza di questa madre giovanissima che non è diversa dalle donne comuni. Una donna che il pittore vuole far apparire colta e raffinata.

Mirella Frascolla

giovedì 29 gennaio 2015

LAS MENINAS di Diego Velasquez, di Mirella Frascolla.



LAS MENINAS di Diego Velasquez -1656 (La famiglia di Filippo IV o Le damigelle d'onore). 

Pittore spagnolo di grandissimo successo fuori dai canoni del barocco classico. In questo quadro sono ritratte figure di età diverse e l'attenzione è concentrata sulla piccola erede al trono illuminata da colori tenui e luminosi e attorniata da due damigelle che le dedicano rispetto e attenzioni totali. A destra un raro ritratto di nana e di un magnifico cane che viene stuzzicato da un bambino. La scena è complessa e sulla sinistra, in penombra, appare anche l'artista. Non si può non restare incantati dagli sguardi così vivi ed espressivi dei singoli personaggi e dalla cura quasi maniacale dello studio dei particolari: acconciature, abbigliamento, arredamento, niente è lasciato al caso. Si possono percepire le singole consistenze delle stoffe, delle pieghe, dei nastri, delle eleganti acconciature, della luce e delle atmosfere del luogo, persino il momento del giorno. Tutto è molto realistico.
Un quadro che non solo è opera d'arte ma anche importante documento storico e culturale.

martedì 27 gennaio 2015

La toilette di Henri de Toulouse-Lautrec, di Mirella Frascolla.


La toilette di Henri de Toulouse-Lautrec, 1896 olio su cartone.
Care amiche vi propongo un quadro di un altro grande pittore del favoloso ottocento. Nato da famiglia nobile ebbe la sfortuna di avere due incidenti domestici che gli bloccarono la crescita delle gambe e lo resero nano. Egli non fu solo pittore ma anche illustratore e litografo. Fu quello che noi definiremmo oggi uno dei primissimi pubblicitari della sua epoca. Si dedicò alla rappresentazione degli stili di vita bohèmienne della Parigi di fine 800 e ritrasse molte donne. Lo affascinavano le prostitute dei bordelli parigini, le ballerine dell'Opera, le frequentatrici del bel mondo e le donne comuni.
In questo quadro è ritratta una ragazza di spalle in una posa certo inusuale e in ambiente che nessuno all'epoca avrebbe preso in considerazione: la sua camera e gli oggetti necessari alla sua toilette personale. La posizione della giovane donna non ci permette di vedere il suo viso ma si tratta pur sempre di un nudo parziale e quindi discreto. L'atmosfera è tranquilla e rilassata, nessun imbarazzo, nè malizia, nessun giudizio da parte di chi guarda. Solo l'immagine di una quotidianità parigina da fissare e trasmettere al pubblico.
Mirella Frascolla

venerdì 23 gennaio 2015

"Lettera a mia madre" di Benedetta Barilli.




Primo quadro, con campitura in bianco, simbolo di purezza e, nelle culture orientali, della scomparsa. Dipinto il giorno dopo che mia madre aveva concluso la sua vita.
"Lettera a mia madre".
Tutto ciò che, in vita, non le ho detto, frasi d'amore, che, per timidezza e insicurezza nei suoi confronti, non ho mai osato esternare. Per me,dipingere,è come scrivere.
Benedetta Barilli

giovedì 22 gennaio 2015

Martirio di Sant'Orsola di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, di Mirella Frascolla.



Martirio di Sant'Orsola di Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Dipinto a olio su tela eseguito nel 1610 e conservato presso la galleria di Palazzo Zevallos a Napoli
Per una volta vi parlo di un quadro che ho potuto vedere da vicino e che mi ha ipnotizzzata. Caravaggio è famoso per la sua pittura realistica, in questo consiste la sua grandezza e la sua fama: aver rappresentato personaggi religiosi come persone comuni nel loro vivere quotidiano senza per questo volerne sminuire la sacralità. Un anticonformista per eccellenza, un rivoluzionario del racconto delle Sacre Scritture. 
Sant'Orsola è avvolta da una luce accecante, bianca come può essere quella di un potente riflettore che sembra puntato su di lei per metterne in risalto l'azione: una giovane donna che osserva spaventata il suo corpo ferito. Gli uomini sono poco illuminati, si percepisce il moto continuo intorno a lei ma si tratta di figure secondarie ritratte in penombra. Gli scorci prospettici dei loro corpi sono incredibili. La fantasia dell'artista era visionaria ma la forza della sua visione paralizza lo spettatore. L'impressione è quella di essere davanti a una scena di cui si possono sentire le voci, i rumori e la confusione dell'evento. La drammaticità della scena resta negli occhi e nel cuore.
Mirella Frascolla

giovedì 15 gennaio 2015

"Big Eyes", un film di Tim Burton, recensione di Chiara Minutillo.


"Gli occhi sono lo specchio dell'anima". Per Margaret è più che una semplice citazione. Per lei, bambina timida, solitaria, sempre malaticcia, è semplicemente la realtà. Il disegno è la sua valvola di sfogo e Margaret dipinge bambini, come lei, ma con una particolarità: hanno occhi enormi, che risaltano sulla tela, parendo vivi, suscitando emozioni, racchiudendo paura, tristezza, solitudine, nella maggior parte dei casi. 
Margaret cresce e la sua passione cresce con lei. Dopo il primo matrimonio andato male, Margaret si trasferisce a San Francisco con la figlia, che spesso è il soggetto dei suoi quadri. Li conosce un uomo, un pittore di scarsa fama, Walter Keane, che immediatamente vede il potenziale di quella donna e ne sfrutta l'ingenuità o semplicemente l'amore. 
Margaret sforna un quadro dietro l'altro: il primo viene venduto nel bagno di un locale. Essendo ormai sposata con Walter, Margaret firma i suoi quadri con il cognome del marito il quale finisce per prendersene il merito. 
Sempre più sola, confusa e depressa, in balia del mondo di bugie che ha contribuito a creare, Margaret scappa un'altra volta con la figlia,ora adolescente. Scappa lontano, alle Hawaii. Qui, sarà lo studio della Bibbia e un progressivo cambiamento di fede, da Metodista a Testimone di Geova, a farle prendere la decisione di fare ciò che è giusto: riprendersi i suoi diritti d'autore e restituire a quanti avevano acquistato i suoi quadri il denaro estorto con la frode.
Big Eyes racconta la sua storia, a partire dalla prima separazione fino al processo contro Walter Keane, condensando 10 anni di fatti in poco piú di 90 minuti di film. Lungi dall'essere il nuovo capolavoro di Tim Burton e scordando conpletamente le sue atmosfere cupe e gotiche, il film racconta una storia vera che non é solo un dramma realmente accaduto. Margaret diventa in un certo senso l'emblema della donna nella societá degli anni '50 e '60, una societá in cui la donna dipendeva conpletamente dal marito, in cui per trovare un lavoro doveva avere il consenso del capofamiglia, in cui persino quando il marito la costringeva a mentire, doveva sottostare alle regole dettate dall'uomo. Una societá in cui la donna era per forza succube, uno strumento nelle mani dell'uomo che le viveva accanto, una societá in cui l'arte femminile non vendeva, in cui una donna divorziata poteva vedersi portare via i figli perché non in grado di mantenerli. 
Nel film vengono mostrate molte opere di Margaret Keane. Ma di tutte, il mio preferito é quello che nel film viene chiamato "la bambina con il cappotto giallo", che ritrae una bambina, dai grandi occhi neri e malinconici, con un gatto nero tra le braccia. La particolarità di questa pittrice era riuscire a rapire l'anima dei suoi soggetti per trasferirla sulle tela dipinta, in quei grandi occhioni, intrappolando in essi anche il suo stesso cuore.

Chiara Minutillo

martedì 13 gennaio 2015

"Il palco" di Renoir, di Mirella Frascolla.


Pierre-Auguste Renoir: Il palco 1874. E' un olio su tela che fu esposto alla prima mostra degli Impressionisti a Parigi nello stesso anno. Questo artista è probabilmente il più famoso tra gli Impressionisti. Ritrasse spesso la donna esaltandone la morbida bellezza classica attraverso una sensualità innocente. Questo ritratto invece mostra una figura in primo piano e alle sue spalle un uomo dall'immagine sfuocata, intento a guardare altrove. L'inquadratura è ancora una volta simile ad un'immagine fotografica. I contorni del corpo della donna e del suo abbigliamento elaborato sono sfumati ma per contrasto il suo volto è ben definito e deciso. Lo sguardo parla di dolcezza e consapevolezza del proprio fascino senza nessun autocompiacimento. Un altro esempio illustre di valorizzazione della personalità femminile fuori dagli schemi consueti.

Mirella Frascolla

lunedì 12 gennaio 2015

L'arte di Benedetta Barilli.



Il mio quadro non rappresenta una figura femminile, ma, ridotto al minimalismo puro, il concetto della femminilità orientale. Ho attinto ai colori intensi dei loro sari, ai particolari preziosi dei loro abiti, gioielli,...luci, sensazioni. Colori,che ho attinto guardando diversi libri fotografici.Un viaggio nel loro mondo.Che non vedrò, personalmente.

Benedetta Barilli

giovedì 8 gennaio 2015

Le parigine di De Nittis, di Mirella Frascolla.



Per questo quadro di Giuseppe De Nittis è stato amore a prima vista. De Nittis pugliese di nascita si trasferì a Parigi a metà dell'800 e lì conobbe i grandi nomi dell'impressionismo tra cui Degas. Fu definito da alcuni "Il pittore delle parigine" poichè, come in questo caso, amò ritrarre le bellezze parigine soprattutto all'aperto durante le loro passeggiate per la città. Egli sperimentò nuove luci, nuove linee, nuove "inquadrature" con un tocco tra il fotografico e il cinematografico in soggetti anticonvenzionali. 
In questa immagine una nobildonna affascinante ed elegante mostra con fierezza la sua andatura sicura accanto al suo cane. Nessun uomo la accompagna, il suo è l'atteggiamento di una donna moderna e per niente intimorita degli sguardi altrui, consapevole del proprio fascino e della propria eleganza. Un artista non molto conosciuto in Italia ma altrettanto importante nell'aver esaltato la femminilità e la personalità delle donne della sua epoca.

Mirella Frascolla

"La petite danseuse" di Edgar Degas, recensione di Mirella Frascolla.


Vi propongo un'opera d'arte particolare che amo molto: La petite danseuse di Edgar Degas eseguita tra il 1879 e il 1881. Questo artista fu principalmente pittore nel periodo impressionista e il suo soggetto preferito erano le ballerine che egli ammirava a teatro. Riuscì ad esaltare la figura femminile e la personalità delle giovani ballerine ritratte, durante la preparazione agli spettacoli di danza, tramite scorci prospettici quasi cinematografici e quindi assolutamente innovativi per l'epoca che naturalmente suscitarono scandalo.E' stato uno dei maggiori artisti dell'800 francese. In questa sua opera ritrae una ballerina dell'Opera di Parigi, Marie Von Goethem di soli 14 anni, costretta dalla madre a diventare una prostituta minorenne
La straordinarietà dell'opera è dovuta non solo al soggetto ritratto ma anche all'uso dei materiali: bronzo, mussola, cera e seta. Un ritratto che anticipava l'uso di materiali che sarebbero stati adoperati dagli artisti del novecento nella pittura materica.

Mirella Frascolla

venerdì 26 dicembre 2014

Ritratti di donna, di Giovanna Avignoni.





IL CORPO NUDO DELLE DONNE NELL’ARTE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO, di Emma Fenu.




Passano i secoli. Variano le ideologie, le forme di governo, i riferimenti culturali, le strategie di comunicazione. Si evolve il concetto di donna e il ruolo che le è proprio nella vita, nel mondo e nella Storia.

Ma l’interesse per le immagini di nudi muliebri, opere di innumerevoli pittori prima e fotografi poi, resta: mutano solo le proporzioni e le pose delle membra, i tratti del viso, la rotondità o la spigolosità delle forme.

Da sempre i corpi femminili sono non solo carne e sangue, ma strumento privilegiato per veicolare precisi messaggi, ammirati per le fattezze ma anche “territorio” in cui uomini hanno combattuto guerre e stipulato paci, dallo ius primae noctis fino agli stupri di guerra.

Seguitemi, ancora una volta, lungo i corridoi labirintici di musei nei quali vi conduco, invitandovi ad osservare i dipinti di bellezze desnude, realizzati nel corso del Medioevo e del Rinascimento.

Non si trattava solo di meri esercizi pittorici e di mero gusto estetico.


La Donna era un oggetto, non un soggetto: un oggetto idealizzato, pregiato, sofisticato e sfuggente, oppure minaccioso, eccitante, pericoloso e demoniaco. Ma, comunque, per definizione, un oggetto che, perché temuto, doveva essere sradicato da tutto ciò che non apparteneva alla sfera dell’irrazionale.

Le “figlie di Eva” sembravano trascinare con sé una condanna segreta: la maledizione di essere incomplete e, pertanto, di dover essere relegate ad una vita dedicata alla famiglia, alla maternità, alla consolazione e all’amore, quest’ultimo solo se nobilitato nel sacrificio e non nell’eros.

I valori maschili, patriarcali erano, al contrario, dominanti, perché connessi alla razionalità del Logos, da cui storicamente è derivato il potere.

L’essenza di tale prototipo del femminile, non percepibile nella sua interezza, si parcellizza in epifanie circoscritte, come un raggio di luce che attraversa un cristallo prismatico. Le immagini figurative ne sono divenute la rappresentazioni collettiva.


In età medievale, a seguito della diffusione della cultura derivata dal Cristianesimo, il corpo venne intenso come sacro tempio dell’anima, che doveva essere, ad ogni costo, preservato da impulsi carnali, forieri di grave peccato al cospetto di Dio.

Eppure gli impulsi continuavano ad esserci. Bisognava cercare un colpevole. Meglio UNA colpevole: la Donna, che sovente, nel periodo, personificava l’allegoria della Lussuria e, perfino, Satana, attraverso il ricorso ad una nudità cruda e morbosa che indugiava nella raffigurazione dettagliata degli attributi sessuali.

Nella donna, in colei che dischiuse il vaso di Pandora e offrì il frutto proibito, tutti i mali del mondo, in primis la morte, trovavano risposta e collocazione.

Soffermiamoci sui dipinti che ritraggono la progenitrice: Eva, prima della colpa, non conosce il pudore ed espone ingenuamente la nudità dei suoi seni acerbi da adolescente e la sua pancia, in cui non vi era stata contaminazione alcuna. Tuttavia, sovente, nella mano destra già impugna, se pur ancora inconsapevole delle irreversibili conseguenze, il pomo da cui la nostra Storia di esseri contingenti prese avvio, strappandoci, con morso, all’abbraccio dell’assoluto.


Poi, tutto sarebbe cambiato. Tutto.

Il Signore chiede ad Adamo: “Chi ti ha fatto conoscere che eri nudo? Non hai forse mangiato dell’albero che ti avevo proibito di mangiare?”. E Adamo risponde: “È stata la donna che mi hai dato per compagna che mi ha presentato del frutto dell’albero ed io ne ho mangiato“.

Genesi, 3, 11-12


Dopo la cacciata dall’Eden, la nostra progenitrice, ormai dannata, è dipinta dai tratti compendiari di Masaccio mentre, ben conscia della vergogna delle proprie carni colpevoli, si presta a celare pube e mammelle, mentre Adamo si limita a portarsi una mano al volto.


La donna, pertanto, era ritenuta complice del demonio, in quanto bruciante di incontrollabile passione e desiderosa solo di sedurre l’uomo per traviarlo, ancora una volta, ancora mille altre volte. Sarà la Madonna, una madre Vergine nata senza l’onta infamante del peccato originale, infatti, a schiacciare la testa del serpente, prima tentatore e, in seguito, complice di Eva.

Tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, i canoni della bellezza femminile cambiarono radicalmente. Si passò da figure muliebri pallide, diafane, dai seni appena accennati, a dame in carne, con fianchi larghi, candide curve generose, e visi dalle labbra e dalle gote pittate di vermiglio.

La maggior parte dei committenti e degli artisti del tempo non erano certo immuni al fascino delle fattezze delle donne e sfruttarono i soggetti sacri come un pretesto per eccitare la sensualità.

La nudità, in ambito cristiano, divenne, così, sempre più ambivalente: sia emblema della santità, della purezza e della mortificazione del proprio corpo, sull’esempio di Cristo sulla croce; sia simbolo di lussuria e lascivia.


Solo nel XVI secolo esordì il nudo con valenza impudentemente erotica, anche se accettato solo in quanto riconducibile ad una precisa allegoria o alla riproduzione figurativa di episodi mitologici.

Tuttavia, le figure femminili non furono più neoplatoniche espressioni del divino, quali la celeberrima Venere di Botticelli, un’asessuata creatura celeste, dalle linee geometriche perfette, che sdegna l’agitarsi tumultuoso delle umani e basse passioni, o le prestanti figure, sovrumane e distanti, dai tratti di matrice classica, che si devono al genio di Michelangelo.

Ed ecco, quindi, l’apparire di donne vere, come la Venere di Urbino, opera di Tiziano: una fanciulla immersa in un’atmosfera densa di colori caldi, con uno sguardo languido e un’espressione di beata sonnolenza, che pare formulare un dolce invito all’astante.

Non dimentichiamoci che è necessario imparare il linguaggio dei simboli iconografici di una data epoca, per dare parola alle opere d’arte.

Se veniamo invitati in casa di meri conoscenti, il marito potrebbe mostrarci le foto della sua consorte, magari un primo piano o uno scatto che la ritrae durante una vacanza. Ma se esibisse un’immagine in cui la donna disvela un seno, riterremo il comportamento insolito.


Nel Rinascimento, invece, il gesto femmineo appena citato non aveva una valenza erotica paragonabile a quella attribuitagli nei nostri giorni.

Circa 28 anni prima dell’opera di Tiziano, precisamente nel 1506, Giorgione ci fornì uno dei primi esempi di ritratto di una fanciulla che, con grazia, discosta la camicetta e mostra un seno scoperto. Non si tratta dell’effige di una meretrice né di una cortigiana, bensì di quella di una promessa sposa, probabilmente di alto lignaggio, che esprime, in tal modo, le sue doti di virtù e castità e la sua intenzione di addivenire ai propri doveri di madre.

Esporre una sola mammella era, pertanto, un esplicito riferimento alle Amazzoni, che secondo il mito, si univano sessualmente agli uomini solo per generare figli, non per assecondare sconvenienti voglie e basse pulsioni erotiche. Niente di pericolosamente sensuale, dunque, in tali immagini più volte reiterate, ma un sottomesso adeguarsi al proprio ruolo sociale di moglie.

Chi scorge una differenza tra spirito e corpo non possiede né l’uno né l’altro”.
Oscar Wilde

Emma Fenu

giovedì 25 dicembre 2014

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