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domenica 31 maggio 2015

"GLI ANGELI SONO...." di Patrizia Lova



Gli angeli sono
le nostre guide
le nostre emozioni......
Ricordi indelebili
chiusi nei cuori
di chi li ama ....
Ognuno di noi
ha un angelo
nei suoi sogni.....

Patrizia Lova @❤

"MEZZOGIORNO DI FUOCO" di Giovanna Ferrara



MEZZOGIORNO DI FUOCO

Pianta lo sperone nella polvere gialla
Lucente sotto la palla infocata
Deserta la via
Deserto l'arido cuor suo
Una mosca impavida s'avvicina ai suoi occhi di ghiaccio
L'aria e' sospesa, non nitrisce il cavallo
Primo rintocco al campanile
Dietro segue fino al sesto
Il cuore spacca il petto
Un cane pulcioso azzarda verso il Saloon
Nessuno in vista
Nono rintocco
La dama sviene dietro la colonna
Decimo
Il prete ed il barbiere sudano stracci
Dodicesimo rintocco
El Gringo spunta dal pozzo e
Bang bang, verso occhi di ghiaccio...
Stop stop, si e' mosso il cane!
Orsù andiamo a mangiare la scena e' tutta da rifare!

GIOVANNA FERRARA

"MICROCOSMO MARINO" di Giovanna Ferrara



MICROCOSMO MARINO

Amebe fluorescenti d'indaco vestite
Aprono, chiudono, aprono, tentacoli di luce
Morbide sinuose medusette violacee
Vorrei prenderti, ma sgusci gelatina
Ippocampi a foglia, verde di alga
E tu sirenetta porpora e corallo
Vorrei prenderti, ma fuggi pesciolina
Mi guardo ancora un po' intorno
Tornerò' a trovarvi, parola di delfina

GIOVANNA FERRARA

"DIALOGO" di Salvatore Colucci


RACCONTO

Dialogo .....

Era la terza nuvola che rimodellavo quel giorno , mi sentivo un po' turbato, eppure 
non dovevo esserlo, qui i sentimenti sono tutti uguali .Tutto è uguale ,il sole ,la luna , il vento.Questa somigliera' ad un canguro ,si è da un po' che non ne disegno canguri .
"Bella ,molto bella "sentii alle mie spalle .
"Ciao " risposi "chi sei ? "
"Un'anima come tante ,senza nome ,senza età proprio come te "
"Sì è vero ,hai ragione ,pensandoci è così "
Piano la nuvola a forma di canguro si libro'
nell'aria scivolando tra le altre ,il sole la fece 
brillare , il vento l"accompagno'.
"Io modello nuvole per i sogni dei bimbi della terra ,a te cosa fanno fare in paradiso ?"
Rispondendo con un sorriso "Io sostituisco le piume rotte alle ali degli angeli ". 
"Ti piace farlo ?"
"Sì mi diverto molto e poi c'è sempre da fare, ogni volta che tornano dalla terra ,hanno sempre un centinaio di piume rotte ".
Il sole pian pian calava ed il vermiglio insanguinava le nuvole .
"Siediti con me guardiamo il tramonto da qui è uno spettacolo ". "Certo "rispose lei .
"Tu ti ricordi qualcosa della terra ?" da qui è uno spettacolo . "Certo " rispose lei .
"Tu ti ricordi qualcosa della terra ? " mi chiese un po titubante senza guardarmi negli occhi .
Continuando a guardare il sole che andava via risposi "Sì qualcosa ricordo ,sprazzi di immagini, profumi ,voci,più di tutto un uomo 
un sorriso,le sue mani che mi tenevano ,i suoi giochi con me .Ricordo durante le sere d'estate, in terrazzo, seduti sull'amaca guardavamo la notte con le sue stelle e la sua luna ,ed io gli chiedevo cosa fossero tutte quelle luci in cielo ,e lui che stava lì a spiegarmi per ore tenendomi il viso schiacciato al suo ,si ricordo quel viso ,
quello di mio padre .E tu cosa ricordi ?"
"Beh, anche io tra le mie piume mi soffermo su delle immagini e profumi come te,più di tutto ricordo un sorriso degli occhi di una donna ,le sue mani che costruivano giochi per me ,la sua dolcezza ,ma anche le sue lacrime che sento ancora umide sulla mia pelle.
Si ricordo quel viso, quello di mia madre ."
"Ti piacerebbe diventare un angelo ?"le chiesi.
"Beh credo di si ,anche a te non dispiacerebbe tornare laggiù per un po'".
"Sì non mi dispiacerebbe tornare ,non lo so se è giusto dire che siamo andato via troppo presto ,ma qualcuno doveva disegnare le nuvole per i bimbi e cambiare le piume rotte agli angeli ,domani modellero' una nuvola con due bimbi che sorridono tenendosi per mano, chissà che i nostri ricordi non alzino il viso al cielo in quell'istante. " Le sorrisi.
Ci girammo a guardare il sole prima che andasse via del tutto ...........


Salvatore Colucci @ da ( Cristalli di luce )

"VERMEER" di Wislawa Szymborska

Vermeer.
Finché quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il mondo non merita
la fine del mondo.
Wisława Szymborska

"INTOSSICA LA FRUSTRAZIONE" di Roberta Manzin



Intossica la frustrazione. Ma ancora di più la nostalgia. Rapace di una cucciola intenzione. E ti senti come un cammino interrotto. Per tutte le volte che ti era sembrato di partire. Solo i polmoni aprono la bocca e mi dicono: respira! Il mio corpo vivisezionato nelle emozioni, resta sperimentale. Calato a lato della mia appesa spalla, mi meraviglio. Non di te. Piccolo ragno. Ma il riconoscere altro, all'infuori di me. Ti guardo. Fermi la tua danza. Sei buffo. In un corpo assettato. Dove tutto è e ha il suo posto. Mi chiedo perché sei qui con me. Senza invito. Tu sei il mio post-it non letto. Dove c'era scritto: devi solo iniziare. Poi -da buon ballerino dell'anima- ti muovi. Io non resto ferma. Il silenzio e il dubbio, ma soprattutto la tolleranza, perdonano tutto. Anche una prossima risposta.

ROBERTA MANZIN

"AL MIO BUONGIORNO STAMATTINA" di Patrizia Lova



Al mio buongiorno stamattina
ho preso un'emozione .......
ho letto dentro che c'è ....
tanto amore...da donare...
anche solo un sorriso.....
ed ho capito anche perché .....
al cuore non si comanda .....

Patrizia Lova @❤

"E RITROVO L'ISPIRAZIONE" di Rosaria Andrisani





E ritrovo l'ispirazione

A volte non trovo le parole,
ma sono davanti a me
e si rincorrono
veloci.
Leggére
poi si siedono ordinate.
E ritrovo il suono
della loro dolce melodia

ROSARIA ANDRISANI

"INSIEME" di Marilena Viola



INSIEME

Insieme, api operose,
abbiamo costruito il nido.
Si accumulano i grani ,
ad uno ad uno,
per quando avrete fame e avrete sete,
dagli avi a noi e poi da noi a voi,
scatola nella scatola si ripete il rito.
Opportunità unica e intrecciata,
intessuta con altri,
questa è la vita.

MARILENA VIOLA

sabato 30 maggio 2015

"NON CI SONO MEZZI AMORI" di Nadezhda Slavova



Non ci sono mezzi amori

Non ci sono mezzi amori,
nemmeno mezze verità sussurrate,
non esistono mezze parole,
come mezze poesie
e dimezzate emozioni.
Pretendi dall’amore
anche il suo respiro,
pur l’ultimo ch’esso sia,
ma sulle labbra dell’eterno
diventerai voce di memorie,
mettendo radici
nell’oltre.

(Nadezhda Slavova)

"CHI GIOCA CON IL MONDO" di Maria Laura Platania



Chi gioca con il mondo?


Unghie, dal gesso consumato, graffiano stridule l’asfalto.

Occhi di scoiattolo impaurito afferrano, aprono, vuotano un sacchetto che si affloscia misurando, in sequenza, fragori antichi. Un gioco.
Chi gioca con il mondo?
Roma si sveglia pigra miagolando sui tetti morbidi. L’aurora, l’indecisione della notte a farsi giorno, clacson di sbadigli degli ultimi nottambuli, stridio di freni dei netturbini, il fragore sordo delle saracinesche dei bar, l’odore forte del pane appena sfornato confuso a quello delle brioche e del caffè caldo.
La villa bassa e signorile immersa nel verde recita serenità e discrezione, sin dal cancello di ferro battuto intrecciato di glicine antico, concluso da lunghe lance rivolte verso il cielo, la pulsantiera sul lato destro, senza nomi, né sigle, su quello sinistro il cave canem di un boxer bonario.
Silenzio e discrezione, non fosse per quella insolita incuria del giardino, lunghi ciuffi d’erba selvatica nelle fessure del pavé: una villa abitata, in altro tempo.
Federico Ferroni era stato commissario di zona, fino all’anno prima.
Prossimo a una settantina vigorosa, collaborava ancora alle indagini di polizia, fonte inesauribile di memorie catalogate, ordinate, ma, soprattutto, vissute come nessun computer avrebbe mai potuto. Di un incontro, occasionale o meno, di un ricercato arrestato, rilasciato o passato a miglior vita, lui ricordava tutto, parenti, amici, rapporti, gusti, preferenze. Irrisolti rancori. Diceva scherzando ai più giovani colleghi che la memoria era per un poliziotto quello che è la corazza per una tartaruga: permetteva un cammino, lento, ma sicuro verso la vecchiaia.
E adesso quel volto di bimba avvizzita frugava, sgraziata, la mente, stridendo unghie di gesso.
Dall’altro lato, Villa dei Glicini. Crimini, fattacci. Chi li ricordava più?
C’era scappato il morto.
Un ladro – s’era detto - s'era intrufolato nella villa e sorpreso a rubare aveva strangolato la giovane domestica senza portare via nulla. Una ridda di ipotesi, senza possibilità di verifica, mentre si passava al setaccio ogni risvolto della vita della famiglia che risiedeva lì da molto tempo, rispettata e stimata dalla gente del quartiere. E così nessuno aveva voluto credere alla storia del dottor Mariozzi, amante della servetta diciottenne, né alla gelosia della moglie, né all'ipotesi che la loro figlia, dai begli occhi scuri, fosse frutto di una relazione adulterina di quel marito tanto devoto.
Ferroni, all’epoca dei fatti, un'idea se l'era fatta: Giulietta - così si chiamava o si faceva chiamare la ragazzina venuta da un paesino là vicino, a Roma per “abbuscarsi la gallina”, come diceva ai negozianti dove faceva la spesa per la “signora” - doveva essere stata l’ingenua vittima di un sordido gioco.
Quella cassettuccia, bianca per il grezzo del legno che lasciava la Chiesa di Sant'Agnese al Nomentano nel caldo innaturale di un Novembre avanzato, seguita solo da un uomo troppo vecchio per essere il padre e che si avviava mesta al cimitero di Prima Porta era memoria viva.
Un delitto senza colpevoli, tanto fango su una ragazza che non aveva trovato nella Roma dei suoi sogni neppure i soldi per pagarsi il viaggio di ritorno al suo paesello.
La famiglia Mariozzi aveva finito con l’ abbandonare la casa.
Cacciati i padroni, nella fantasia del popolo, Giulietta, con le sue quattro ossa di contadina, aveva ripreso possesso della Villa, libera di respirare quel profumo di glicine che rubava nella stagione del suo fiorire.
Un caso irrisolto, una delle poche macchie nella carriera del commissario.
Cose che pesano a settant’anni, quando resta poca sabbia nella clessidra.
E ora ecco quella ragazzetta pallida, gli occhi affossati nelle orbite cadaveriche, cenciosi capelli di stoppa, attraversare la strada farglisi d’accanto, soffiando nell'orecchio l'osceno di una proposta sibilata mostrando il rosso di una lingua trafitta da una minuscola sfera d'acciaio.
Il vecchio commissario è turbato, sente l’acuto di un dispiacere attraversargli lo stomaco: che ci fa per strada una ragazzina così, all’alba, ora da ladri, da donnacce, da vecchi insonni… quanti anni puoi avere? quindici, sedici a rotolare negli angoli di strada lasciando che uomini e donne in sudicia sequenza sporchino l'ingenuità di un seno che non ha avuto neppure il tempo di sbocciare, di gambe livide.
Quelle gambe che, adesso, aggrediscono a due, a tre la volta i gradini alti e irregolari della villa mentre, il volto, appena arrossato dalla fatica, si gira di tanto in tanto per assicurarsi che l’uomo la segua.
Silenziosa e impavida indica un uscio socchiuso: la villa e il suo interno.
Tende, moquette, lampadari, la tappezzeria, quadri, biancheria, bagni e ottoni lucidi di asciugamani in bella mostra, tutto è lindo, tutto è ordine.
Davvero Giulietta hai continuato, serva fedele, a custodire i luoghi della tua esistenza?
Ora il viso di bimba senza sorriso si affaccia dolente dallo stretto dell’uscio. Prende il sacchetto.
Giochiamo? Giochiamo insieme al gioco del mondo?
Ammaliato Ferroni, d’improvviso, comprende di chi è quel volto.
A che serve il sacchetto, bambina di ghiaccio?
Cos’è il mio sacchetto? Ma è il mondo e dentro striscioline di carta, gli spiriti degli dei. Ora è giunto quel tempo, aprirò il sacchetto, ora non so più controllare la mia disperazione. Hanno aspettato vent’anni gli spiriti potenti, ora bisogna sollecitare il loro aiuto.
E’ freddo il muro d’ombre che narra di gente cattiva, d’una bimba nata per odio da un ventre di serva, strappata all’amore di mamma, allattata a veleno da sterile madre. Follia ordina di togliere vita a chi la vita ha appena donato e invoca, tremando, non ditelo a mio padre, non fate soffrire mio padre.
E arriva quel padre, contadino ferito: è ombra irata e possente nel teatro del mondo. La vede il vecchio Ferroni, perché solo ora la vede?
Hai giocato bambina? Hai giocato bambina?
E stringe, stringe il tenero di quella carne che è la sua carne.
Si spezza la storia, graffiata con unghie di gesso, mentre leggeri gli spiriti placano la disperazione di un’ombra mancata di donna dagli occhi neri di scoiattolo impaurito, che ora - ma è sogno, ma è vita ?- dondola gambe livide e scheletriche da una corda di tenda strappata.
Nelle mani il sacchetto del gioco del mondo, narrato in fragile giallo di carta.
Li ho uccisi tutti, dovevo ucciderli tutti. L’ho fatto per te, abbracciami Giulietta amata da nessuno. Sono tornata, mamma.

Laura

"RACCONTO" di Eleonora Amato



RACCONTO

Ritrovarsi in un sogno: il Salento il mio paradiso. Ascoltare in silenzio il rumore del mare, l’odore della sabbia bagnata, sentire il rumore possente del vento che con forza muove il mare che non si ferma mai ma si scaglia sugli scogli. Sentire il calore di un sole bruciante che accarezza il mio viso e toccare la sabbia con le mani: questo è il mio universo, il mio paradiso. 
Tante volte quando sono triste, magari nelle sere d’inverno, mi capita spesso di immaginare il mare, ed è in quel preciso momento che i miei pensieri, tutti anche quelli più tristi, volano via.
Non c’è dolore più grande che quello che nascondiamo a noi stessi, ci travolge in poco tempo, cerchiamo a tutti i costi un modo per sfuggire da questo malessere che in poco tempo ci fa scomparire. I ricordi sono tutta la nostra vita: se proviamo a pensare a tutti i nostri anni di vita, ogni attimo, ogni sguardo, ogni sorriso è legato a un ricordo, a volte poi se non c’è il ricordo vivo nella nostra mente, allora beh ci pensano i sogni a far riaffiorare in noi quel sentiero dei ricordi che col tempo avevamo dimenticato.
Nella mia vita ho tantissimi ricordi e la maggior parte di essi sono tutti pieni d’amore, la mia vita non è stata semplice, sono nata in un posto di cui come dicevo prima ho pochi ricordi, la Svizzera.
Sono nata in una terra in cui le montagne, il freddo pungente e la neve sono gli unici ricordi che ho vivi nella mente. La mia non è stata una vita semplice, le mie gambe non mi hanno mai sostenuta come avrei voluto, ho scoperto di essere disabile a sei anni quando non riuscivo a camminare e a malapena mi reggevo in piedi. Fin da piccola non ho mai dato troppo peso a questo mio problema, il sorriso e la gioia di vivere mi hanno sempre contraddistinto in tutte le mie giornate. Ho sempre pensato di avere un angelo accanto a me, qualcuno che mi proteggesse e mi aiutasse in ogni difficoltà.
A molti questo potrà sembrare un pensiero da bambina, ma anche ora da adulta continuo a credere negli angeli, sono convinta che bisogna sempre credere in qualcosa, è un po’ come avere qualcuno che è pronto a sorreggerti a confortarti e sa asciugare le tue lacrime quando è il momento. La mia natura da sognatrice mi ha sempre accompagnata fin da adulta ed è forse per questa qualità che non ho mai visto il male negli altri: per me il bene ha sempre trionfato in ogni situazione…per me non esiste il male, ed è proprio per questo che ho sempre donato il mio cuore. Il cuore si sa è molto fragile e può contenere un mare d’amore.

ELEONORA AMATO

"TRE" di Rosanna Mutinelli



STRALCIO

Tre donne.
Tre momenti della Storia.
Tre anime legate tra loro da un unico obiettivo: trovare il senso della vita.
Oltre lo spazio e il tempo, contro violenza e discriminazione, in una rete di legami che solo le donne sanno creare.

ROSANNA MUTINELLI


"MI REGALO RICORDI" di Edmond Dantes



Mi regalo ricordi
infuocati
che bruciano parti
già incenerite.
L amorevole ascolto
tranquillizza un vissuto
zoppicante ma vivo.
Sono bersaglio inconsapevole
di meteore esistenziali.

EDMOND DANTES

"IN CERTI MOMENTI LE NOSTRE VITE..." di Emma Orlando

In certi momenti le nostre vite appaiono come golette in balia del mare in tempesta. Più cerchiamo di metterci in panna più il timone sembra sfuggirci. Le onde appaiono funeste, ogni equilibrio precario, la furia del vento sembra travolgerci e ogni sforzo ha il sapore amaro della sconfitta imminente. È proprio in questi momenti che bisogna tener duro, non farsi prendere dal panico, resistere senza temere di sbagliare, di soccombere.
Una volta attraversata la burrasca, anche se sul corpo e ancor di più nell’animo bruciano le ferite e le cicatrici ricordano i momenti bui, si potrà gioire di quella forza, di quel coraggio che hanno condotto fino alla quiete.
Quando, grazie alla propria determinazione, si guarisce dal dolore, il cielo, il mare, la vita si tingono dei colori dell’arcobaleno.

EMMA ORLANDO

"PAULA" di Isabel Allende (Stralcio di Ilaria Negrini)


STRALCIO

Così è la mia vita, un affresco molteplice e variabile che solo io posso decifrare e che mi appartiene come un segreto. 
La mente seleziona, esagera, tradisce, gli avvenimenti si sfumano, le persone si dimenticano e alla fine rimane solo il percorso dell’anima, quei rari momenti di rivelazione dello spirito. 
Non interessa ciò che mi è accaduto, ma le cicatrici che mi segnano e mi distinguono.

(Isabel Allende, “Paula”)

"LETTERE" di Antonia Pozzi (ILARIA NEGRINI)



La poesia ha questo compito sublime:
di prendere tutto il dolore che ci spumeggia
e ci rimbalza nell'anima e di placarlo,
di trasfigurarlo nella suprema calma
così come sfociano i fiumi
nella celeste vastità del mare

(da Lettere - Antonia Pozzi)

ILARIA NEGRINI

"NON TI ASPETTERO' PIU'" di Tamara Marcelli



NON TI ASPETTERO' PIU'

A te che non nascerai mai

a te che spesso sei entrato nei miei sogni con gli occhi chiari e il sorriso sincero che ho abbracciato con timore

che ho guardato dormire nei miei sogni

è lì che tu vivi

non altrove, non per altri, solo per me

Sognarti è stato come nuotare
nuotare nel mio mare

quella leggerezza che sa di vita

senza alcun peso, senza alcun pensiero sola con quel che sono

libera e leggera

come volare tra carezze morbide di onde gentili in pace

a te che non nascerai mai

a te voglio dedicare questo mio pensiero perché so che puoi almeno ascoltarmi da lontano

da dove sei

a te vorrei regalare un sorriso una rosa blu

un gelato
un prato verde
un abbraccio

un padre, il migliore che avrei potuto mai immaginare per te la mia vita

il gioco innocente dei miei cani
una dolce melodia
un ballo sfrenato la neve

il mare i fiori
la mia follia

il vento di quest’isola una corsa sulla spiaggia i miei sogni

la musica
la mia fantasia l’amore
un bacio

a te che non nascerai mai a te che penso spesso

come un punto nell’universo so che mi ascolterai
e che in un certo senso ci sei

come in un angolo di paradiso un fiore piccolo e profumato nascosto ma cercato

non so perché,
ma so che non verrai

questo mi fa male ma la consapevolezza mi aiuterà a guardarti da qui ad incontrarti nel sonno, nei pensieri, nei momenti di solitudine allora ci sarai, anche per me

vorrei supplicarti di venire qui, ma so che non lo farai vorrei poterti donare a chi mi sta vicino e mi ama
e ama già anche te

a lui vorrei poter dare questo regalo immenso
per lui vorrei avere un po’di magia

e vederlo felice
con te che saresti solamente nostro

non ti aspetterò più.

TAMARA MARCELLI

"NON SO SE DICO" di Edmond Dantes



Non so se dico
quel che vivo
o vivo quel che dico.
Un cammino distonico
serpeggia digiunando
di versi mimati.
Avrei voluto e ancora voglio
che il mio polmone respiri
un lamento soffice
per sentirmi
piuma liberata.

EDMOND DANTES

venerdì 29 maggio 2015

"LA SALVEZZA IN UNO SGUARDO" di Flora A. Gallert (Sinossi di Alessandra Migliozzi)



SINOSSI

LA SALVEZZA IN UNO SGUARDO

Una famiglia da vendicare e una terra da conquistare spingono Marco a lasciare i suoi genitori adottivi e sua sorella per affrontare l'ignoto. 
Tutto sembra filare liscio finché i ricordi non riaffiorano, più vividi che mai, ricordi tristi di un passato crudele, ricordi che sembrano essere più forti di lui e che ora stanno prendendo il sopravvento. Marco sta per cedere e sono i suoi occhi a salvarlo, a scacciare via quelle immagini e quelle urla dalla sua testa. 
Occhi perplessi e allo stesso tempo curiosi lo fissano. Occhi da cerbiatto, color ossidiana. 
Lei, così bella quanto pericolosa. Lei, la persona più sbagliata per perdere la testa. 
Un'avventura sfumata di rosa, l'amore passionale tra due giovani che decidono di lottare contro un destino che non li vuole uniti. 
A fare da cornice a questa storia ci sono altri personaggi, come un bambino dai capelli color fiamma, la faccia lentigginosa e due occhi azzurri sempre spalancati e una donna dall'aria fredda e dura, che dietro a una corazza nasconde un passato di errori e debolezze. 

FLORA A. GALLERT

"PATTY E LA BRICIOLA GIGANTE" di Maya



Patty e la briciola gigante

C'era una volta una formichina di nome Patty che desiderava con tutta se stessa avere una briciola tutta per se !

Ci pensava la notte ed il giorno ,
perchè aveva letto che quando si vuole ardentemente qualcosa occorre coltivarla in un luogo dentro di se,
senza trascurarla mai.


E cosi lei faceva cercando di non condividere con nessuno
quel suo sogno,
cosa che le riusciva particolarmente difficile dal momento che per natura era una chiaccherona

Raramente infatti stava zitta e perfino quando lavorava,
chi le era vicino,
poteva essere accarezzato dalla sua piccola vocina 
che raccontava
quello che aveva sognato
oppure visto 
o
dalla sua vocina che cantava,
recitava versi imparati a memoria o domandava:" Come stai? Come ti senti?
Ti vedo triste o
forse è
solo una mia impressione?"

Un altro sogno nel cassetto di Patty infatti,
dopo quella della briciola tutta per lei
era quello di diventare una psicologa

Sapeva ascoltare otre che travolgere il suo interlocutore con le sue chiacchere e sapeva farlo con arte oramai dimenticata
dai più

A Patty infatti interessava davvero ciò che gli altri avevano da dire e riusciva a trovare interessanti anche cose da altri ritenute banali o
noiose

Ed il suo appassionato e disinteressato ascolto era rivoto non solo alle formichine della sua tribu 
bensi a tutti coloro nei quali si imbatteva;

Il signor scarafaggio che intercalava ogni parola con tre sospiri profondi era fra questi,
con lui Patti si tratteneva degli interi pomeriggi .

Ma c'era anche Mirea
una bruchina vanitosa e petulante,
Gigi l'orsacchiotto giocoso che soffriva il solletico
sula pancia,
Virginia la cavalletta che amava cimentarsi in lunghi discorsi filosofici senza capo ne coda 
o Brunello un lucertolino pacifico e pauroso amante
della poesia

il fatto è che la nostra formichina,
aveva il dono di tirar fuori dall'anima di chiunque incontrasse,
ogni sua confidenza e segreto come se fosse stata in possesso della chiave per poter accedere nella sua stanza 
piu recondita

Nessuno riusciva tuttavia a carpire il suo sogno .

Poichè è vero che Patty era chiaccherona ma solo per le cose che non la riguardavano intimamente

E a parte Lia,
una lumachina dolcissima e muta
il piccolo universo nel quale si muoveva ignorava quasi tutto di lei

E non era certamente un caso che avesse scelto come sua confidente una creatura sprovvista del dono della voce

La sicurezza che i suoi segreti sarebbero rimasti tali.
le infondeva la fiducia della quale aveva bisogno per riuscire a lasciarsi andare in una reazione di amicizia!

Ed infatti Patty e Lia trascorrevano molto tempo insieme condividendo la stessa passione per le passeggiate
ed il cielo stellato

Patty adorava lo sguardo ingenuo ed il lento incedere
di Lia e
quest'ultima amava della nostra formichina soprattutto il carattere deciso e coraggioso, 
accanto a lei si sentiva protetta
più che dentro il suo guscio.

E avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutarla a realizzare
il suo sogno!

Sapeva che in lui non si celava alcun sentimento di avidità
Patty infatti era l'essere piu generoso che lei avesse mai conosciuto
ma era anche profondamente stanca!

Stanca di vivere per lavorare ...
Per lei il senso della vita non poteva ridursi nel faticare indefessamente quasi tutto il giorno!

Patty amava cantare danzare giocare oltre che naturalmente ascoltare chiunque avesse bisogno di parlare

Ma per poter fare tutte queste cose,
avrebbe dovuto possedere una briciola di pane gigantesca tutta per lei cosi da non dover appunto dedicarsi a procacciarsi il cibo,
per almeno un anno intero!

Naturalmente se avesse osato confessarlo alle altre formichine ,
le avrebbero dato della fannullona

Per 
loro vivere significava lavorare lavorare e solo lavorare!

- Ma sarò davvero una formica dal momento che vagheggio notte e giorno di far di tutto
fuorchè lavorare?

-Ed i miei genitori se conoscessero ciò che custodisco nel mio cuore mi ripugnerebbero?

Queste domande,
con tono accorato, le rivolgeva alla sua amica del cuore che le rispondeva abbassando lentamente gli occhi espressivi ed inviandole telepaticamente ciò che pensava a riguardo
e solitamente erano pensieri incoraggianti 
e pieni di affetto incondizionato

Ma Lia era una sognatrice che non conosceva il mondo e per quanto l'amasse non riteneva attendibili le sue opinioni , 
troppo impregnate del candore della sua anima

Ed inoltre non era pratica pertanto non in grado di aiutarla a realizzare
il suo sogno
o
perlomeno questo era ciò che pensava Patty della sua amica lumachina

Tuttavia dovette presto ricredersi..
Una bella mattina infatti Lia le suggerì, sempre con la forza del pensiero,
di allungare la loro passeggiata,
fino ad una panchina posta sotto la quercia più grande del parco dove entrambe abitavano

Era una panchina poco frequentata rispetto alle altre, forse perchè lontana dalle altalene e dagli scivoli frequentati dai bambini

Una panchina quasi solitaria.
Infatti Lia sapeva che un bimbo molto tenero amava trascorrere su di lei alcuni minuti del suo tempo ogni giorno

Lo aveva osservato diverse volte ed era sicura si trattasse di una creatura incapace di fare del male

Si chiamava Pasqualino
poteva avere intorno agli otto anni e la sua piu evidente caratteristica era quella di avere un viso tondissimo
bianco e roseo, con una bocca piccola e sottile e due occhi liquidi grandi e color delle foglie,
oltre che un corpo estremamente paffutello e pieno di rotolini un pò
dappertutto!

Lia era innamorata di quei rotolini le trasmettevano un senso di ineffabile morbidezza...

Ma soprattutto Quel bimbo aveva sempre con se,
un enorme panino con in mezzo del cioccolato sfuso di cui doveva essere golosissimo .

E quell'enorme panino,
lo consumava proprio sulla panchina,
sulla quale voleva portare la sua amica del cuore pensando che chissa proprio sotto di lei avrebbe potuto trovare 
la briciola gigante che sognava da tempo!

E cosi dopo aver camminato tanto arrivarono all'ambita meta constatando che Pasqualino era gia li con il suo enorme panino
fra le mani..

Non appena Patty lo vide capì perchè Lia l'avesse condotta fino a li e 
la ringraziò con il suo piu bel sorriso,
proprio mentre una briciola di proporzioni gigantesche cadeva a pochi centimetri di distanza da lei 
e nell'aria una bambinaia con un ombrello coloratissimo cantava
con voce melodiosa:
"
I sogni son desideri
che ognuno può realizzar...
Aprendo completamente il cuore e
provando
ad immaginar...
Lalalalà là..."

Maya

"MI MANCHI" di Roberta Manzin



Mi manchi
Tu
Pezzo incompiuto
In attesa di ricomporti
L'intero ti ama da sempre

ROBERTA MANZIN

"D'IN SU LA VETTA DELLA TORRE ANTICA" di Amedeo Marra



D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle

AMEDEO MARRA

"PESCO , IL MIO PAESE" di Marilena Viola



Sulla scia del grido..."è arrivato l'arrotino......"....

PESCO,IL MIO PAESE

Visi consumati dal sole e dal vento.
Puliti.
Fronti bianche riparate nella calura.
Trecce arrotolate sulla nuca.
Mani ruvide intrecciate
nello scambio di saluti e di auguri festosi.
Abiti nuovi,d'epoca,
per il giorno di festa.
Case ospitali,piene,
odorose di paglia e di vino.
Contadini,
gente semplice del mio paese,
io vi amo.

14/4/1998

MARILENA VIOLA

"NUOVI CAMMINI' di Lina Mazzotti



Nuovi cammini

Vorrei ancora cullarti
proteggerti
dalle rughe della vita,
sono accanto a te
sull'orlo del dirupo.


Canto forte
per contrastare il frastuono
in questo teatro di oscurità
che tutto assorda.

Senti...
queste melodie
percepisci...
la lode della Vita?

Con queste note
la tua anima esce
ancora alla bellezza
reale.

Guarda...nei solchi
bagnati dalle tue lacrime
spunta un germoglio
vuole vivere e divenire.

Lo vedi?
Curalo...Credici...Fidati...lo sai...
tutto ha un'inizio e una fine
ma resuscita purificato.

Respira...
non guardare con l'anima nera
fidati di te
alzati e sogna ancora

non è vero
che sono nuovi inganni
sono
nuovi cammini...

Lina Mazzotti

"IL NON SERMONE DELLA DOMENICA" di Maria Francesca Consiglio

Il non sermone della Domenica".
Questa Domenica non ho sermoni per te; sono una spettatrice esigente e masochista. Mi crogiolo sul pulpito affinché possa godere appieno del tuo tempio vuoto. Riecheggia, in un coro seppellito dal marmo, la voce che non hai voluto ascoltare. Stringo il pugno sinistro che è un tutt'uno con il cuore e lo sento sventrare il sangue per colpire il ricordo di te che m'avvelena l'ossigeno. Vieni che ti sposo al vacuo che desideri; lancia il tuo bouquet nero sul bianco cadaverico del mio amore. Vieni e schiudi le labbra che ti consacro le bugie. Posa il tuo capo da Unicorno sul mio petto e prosciuga la tua maledizione via da me. M'accarezzo una barba che non ho come per riflettere; fingo come fingi tu. Fingiamo, come teatranti accademici, di essere poco più che fiammiferi ignifughi. Eppure, dentro ogni parola che t'ho dedicato, v'erano decine di roghi a bruciarmi le doppie, triple, quadruple personalità. Guardo la tua lettera per me; alcune parole sono sbiadite. Ho pensato fossero lacrime. Avrei chiesto troppo da te; sono solo tracce di profumo, inebriante e maledetto, che m'impregna i pensieri d'odio. Te lo riconosco: abbellisce l'inconsistenza del tuo tutto, raccontatami senza narratore. Non una carezza ti devo e neppure potrei volendo; ho le dita d'un borsaiolo punito. Schiacciate, livide della porta che ho cercato di non farmi sbattere in faccia. Quanto orgoglio hai soffocato, con piede ciclopico, sulla soglia. Vieni che ti seppellisco. Altro non m'è rimasto dunque. Uccidiamo la blasfemia di questa funzione nella quale non abbiamo alcun potere. Eppure ci arroghiamo facoltà divine io e te; arroganti combattenti con in mano la spada della stupidità. O ti uccido, o mi uccido. Non v'è rinascita senza fine. Eccolo dunque avanzare, sghignazzante nella navata in rovina, l'abbandono che fingi di non temere. Le stigmate dell'amore le hai tu, non io. Le mie le ho bruciate nei roghi ignorati dalla crudeltà delle tue sofferenze.

"SCRIVERE, SCRIVERTI, RITRARTI" di Gioconda Belli



Scrivere, scriverti, ritrarti.
Riempirti i capelli di tutte le parole trattenute,
sospese nell'aria, nel tempo,
in quel ramo di cortés carico di fiori gialli la cui
bellezza mi fa rizzare i capelli quando scendo
sola per strada pensierosa.

Definire il mistero,
il momento preciso della scoperta,
l'amore, questa sensazione d'aria compressa
dentro il corpo sinuoso,
l'esplosiva felicità che mi fa piangere e mi colora
gli occhi, la pelle, i denti, mentre divento
fiore, edera, castello, poesia
tra le tue mani che mi accarezzano e mi sfogliano,
facendo scaturire le parole,
sconvolgendomi tutta,
grondante del mio passato,
della mia infanzia, di ricordi felici,
di sogni, di mare che si infrange
contro gli anni, sempre
più bello e più grande,
più grande e più bello.

Come posso ghermire l'illusione, stringerla tra le mani e
liberarla davanti a te come una colomba felice
che voli via a scoprire la terra dopo il diluvio;
scoprirti fin nelle pieghe più sconosciute,
impregnandomi di te lentamente,
come una carta assorbente, perdendomi,
perdendoci tutti e due,
nel mattino in cui abbiamo fatto l'amore
con tutto il sonno, l'odore,
il sudore della notte salata sui nostri corpi,
inzuppandoci d'amore,
facendolo grondare in grandi immense onde,
immergendoci nell'amore,
bagnandoci con l'amore che ci soverchia.

Gioconda Belli

"ZEN IN JAZZ" di Marina Fichera



Zen in Jazz

Amo il jazz. Il jazz è ritmo, pause ben calibrate e improvvisazione. Come il sesso. Come lo Yin e lo Yang, i perfetti opposti. E il jazz è lo Yang della mia vita molto Yin.
Una vita fatta di indici di borsa, numeri e concentrazione, dove nulla può essere improvvisato. Una vita dove regnano il nero e il bianco, senza mezze misure. Le mezze misure sono per le mezze calzette, ho sempre pensato.
Dopo aver staccato dal lavoro alle otto e oltre non mi piace la solitudine della mia bella casa milanese, perciò esco quasi ogni sera.
Era una serata fredda e umida di metà dicembre, una di quelle che spacca i polmoni e da cui non ti aspetti nulla di buono, ma avevo deciso di andare a sentire un concerto. 
Una giovane cantante jazz, una da ascoltare prima che diventi famosa. Una di quelle che, dicevano, non sbagliava una nota e nemmeno una pausa. Perfetto equilibrio di vuoto e pieno.
Quella sera tutto accadde troppo rapidamente. Un attacco in Ab che scivola in un Eb, un classico. Mi bastarono quelle prime due battute e le tue note e le tue pause mi entrarono subito sotto pelle. "I’ve got you under my skin", cantava il vecchio Frank ai tempi ruggenti dei crooners americani.
Dopo lo spettacolo mi accesi una sigaretta mentre controllavo ancora una volta la chiusura del Dow Jones sul mio iphone, e ti aspettai fuori dal locale.
Non ho mai capito come accadde esattamente. Destino o scelta, non saprei. Due ore dopo il mio respiro era già perdutamente immerso nel tuo ventre. 
Nota. Pausa. Jazz. Zen.
Tutto nasceva e si perdeva in te. Inaspettata perfetta combinazione, uguali e al tempo stesso profondamente differenti, eravamo Yin e Yang.
Iniziammo una relazione fatta di ritmo, pause ben calibrate e improvvisazione. Quanto ti piaceva vibrare all’unisono con me, dicevi. 
E quante folli corse in auto per assaporare i colori e la musica del mare d'inverno. Perché tu lo odiavi, l'inverno. Io invece lo adoro. Ho sempre amato il freddo, la nebbia e l’atmosfera cool che la città assume nei mesi invernali. Freddo. Caldo. Jazz. Zen
Lo ammetto, cercavo di farti lavorare meno possibile, per non condividerti con alcun altro essere umano, per averti solo per me. Volevo la tua luce e le tue ombre, volevo tutto di te, tutto.
Quando non avevi serate ti portavo nei migliori ristoranti, quelli frequentati dalla Milano che conta. Destavamo stupore e ammirazione e non c’era uomo che non ti desiderasse, ma tu eri solo mia. Almeno credevo. Furono sei mesi fiammanti di jazz e zen. 
Vuoto. Pieno. Nero. Bianco. 
Un susseguirsi senza soluzione di continuità di sesso, musica, litigi, riappacificazioni. E soldi. Quanto ti piaceva l’acro odore dei miei soldi, ma ancor di più ambivi al successo. 
Più ti conoscevo e più capivo che volevi, con ogni azione, pensiero, singola cellula del tuo spettacolare corpo, una sola cosa. Essere la Star amata e invidiata da tutti. Non ti bastava essere la mia personale divinità in terra.
E così una sera, dopo un concerto incontrasti un famoso produttore - uno che subito dopo il tuo classico attacco in Ab ti promise il mondo intero - e mi mollasti senza una parola, come un cane a Ferragosto. 
Vuoto. Nero. Fumo. Alcool. 
Mi si squilibrano lo Yin e lo Yang se continuo così.
***
Nel locale più alla moda di Milano a quest’ora starai sicuramente cantando "Every time we say goodbye". Chiudi sempre i tuoi spettacoli con questo malinconico bis. 
Certe volte sei monotona esattamente quanto sei bella. Così bella da scardinare la vita di chi, per destino o per scelta, incrocia il ritmo sincopato del tuo corpo.
E esattamente come quella sera ti aspetto fuori dal locale. 
“Ciao, come stai ? Mi hanno detto che canti sempre con il giusto mix di note e pause. Brava.” 
Nulla può essere improvvisato ora. Mi avvicino, ti accarezzo le guance, sfioro il tuo meraviglioso collo. Lo stringo con entrambe le mani. Stringo fino a quando il tuo sguardo così densamente vacuo non si spegne. 
Non hai provato neanche a urlare. Mi hai solo guardato in silenzio, fino quando il ritmo sinusale del tuo corpo non si è interrotto.
Finalmente ho riequilibrato lo Yin con lo Yang. 
Mi accendo tranquillamente una sigaretta e sull’iphone compongo il 112.


MARINA FICHERA

"UN PO' DI ME" di Gerardina Rainione



Un po' di me

Maledetta bambina
che alberga ancora in me,
dirige le emozioni
scolpisce le passioni,
del corpo di donna non si cura
ancor stima non fa della paura,
fa scorrere fulgida la vita
come sortilegio di sorrisi tra le dita.

Gerardina Rainone

giovedì 28 maggio 2015

"PERCHE' SANTA MARINELLA" di Ida Medugno




PERCHE' SANTA MARINELLA

Lo sguardo aperto sul vicolo, le voci di Napoli, i venditori ambulanti e i loro richiami, il suono dei mandolini, le serenate sospirose alle innamorate, le processioni lungo le vie, i panni azzurri stesi alle finestre, le monetine di metallo che tintinnano sull'asfalto, il profumo del pasto domenicale e delle caldarroste, i colori della menta e dell'amarena, del caffè e dell'orzo che scivolano sul candore di un blocco di ghiaccio, il pappagallino che offre il foglio della fortuna, estraendolo col becco dal cassetto di una minuscola gabbia, il suono stonato di un pianino. Così gli anni della mia prima infanzia e poi rombi d'aerei, ululare di sirene, paura, morte, dolore, distruzione.
IDA MEDUGNO

"RAIRI" di Altea Alaryssa Gardini



RACCONTO

RAIRI

Il caldo, l'afa, il continuo parlare, il vociare del mercato, l'ansia soffocante del mio compagno di viaggio. Non si era fatto troppi problemi nel trascinarmi fin là in modo che io non gli facessi sprecare dell'energia non sua, sbattuta a forza come in gabbia in un oggetto, quasi come chiudere il vento in una scatola di metallo. Io governavo il tempo e lo spazio, perchè mai avrebbe dovuto sprecare una simile risorsa, al contempo qualcuno mi voleva morta ma perchè preoccuparsene se lui ne traeva vantaggio?
"Basta Arthan, non ne posso più delle due continue lagne e cambi di direzione, deciditi, io dico di cercare una scuola di musica"
"mia cara, qui ci dovrà pur essere qualcosa o qualcuno a cui chiedere, e poi stai solo cercando un motivo per andare via" usando quello sguardo, che spesso usava con sua sorella per ammansirla.
"si via dalle tue assurde strategie, e lasciami in pace diamine, volevi facessi il piccione viaggiatore ed eccoti qui, ora rassegnati al fatto che tu ne sai quanto me e che sei un taccagno, ci serve qualcuno che suoni quel tamburo maledetto, e che non ci uccida tutti facendolo".
In quell'instante, il mio braccio segui la direzione in cui veniva trascinato, ed ero sottobraccio a qualcuno molto più alto di me, lo sguardo inebetito e frustrato di Arthan e il contrappunto che gli si leggeva negli occhi mi faceva ridere. Solo allora guardai il mio "rapitore", era alto, biondo, i suoi occhi erano la luce che cercavo da tempo, il mio cuore decise prima di me, lo conoscevo solo da un minuto e lo avrei amato anche se mi avesse ucciso.




ALTEA ALARYSSA GARDINI

"LA RICETTA DELLA FELICITA'" di Claudia Giuliato



La ricetta della felicità

La felicità è una ricetta che non so cucinare:
sbaglio ingredienti e quantità
sbaglio l’impasto
sbaglio i tempi
e la cottura
e poi magari è solo colpa del forno
perché, diciamocelo,
non ci sono più i forni di una volta.
Ma in fondo,
alla fine,
di cosa mi dovrei lamentare?
Sono un architetto
Non sono una cuoca
La felicità non la dovevo cucinare
Al limite
la dovevo piastrellare.

CLAUDIA GIULIATO

"EMMELINE" di Estelle Hunt



RECENSIONE

EMMELINE

Non trascorse che un minuto, prima che le mani si cercassero e le bocche continuassero nel loro dolce assalto, ora senza l’impeto della passione, ma nella placida risacca del desiderio soddisfatto.
Quando i due innamorati si addormentarono in un intrico di membra e capelli, Charlotte si riscosse come da un sogno, inspirò forte dal naso e chiuse gli occhi, con lacrime di rabbia che ardevano da dietro le palpebre abbassate.
Ciò a cui aveva assistito non era l’incontro casuale di due amanti.
Dai loro gesti scaturiva una tale intimità, che era impossibile travisare il sentimento che li univa.
Quello non era il freddo accoppiarsi di due corpi, ma la comunione di due anime.
Emmeline e Julian si amavano.

ESTELLE HUNT


"SFUMATURE VERE" di Pasquina Filomena



SFUMATURE VERE

Assopita su di un bianco manto di petali,
leggo con gli occhi del buio
le tue parole incise nel mio cuore.
Una lama tagliente
con il sapore amaro dell’ingiustizia,
custodita però
nelle sfumature vere dei miei sogni.

PASQUINA FILOMENA

mercoledì 27 maggio 2015

"VIAGGIO IN DANIMARCA" di Chiara Minutillo



VIAGGIO

Sono partita per questo viaggio con un bagaglio pieno di indumenti pesanti e l'animo pieno di emozione. Un viaggio stabilito giá da qualche anno e sempre rimandato. Quest'anno avevo deciso che, piuttosto che rinunciare nuovamente, sarei partita da sola. Ma il destino ha voluto farmi dono di un'amica che ama viaggiare e che poteva prendere due giorni di ferie al lavoro proprio la settimana in cui potevo anche io. E cosí giovedì ci siamo alzate alle 3 di notte e ci siamo recate all'aeroporto di Malpensa da dove un aereo ci ha condotte nella splendida Copenhagen. Sapevo mi sarebbe piaciuta, ho un debole per il nord Europa, ma non credevo cosí tanto. 
Sono stata tra le prime persone a salire sull'aereo e tra le prime a scendere. Ho percorso la distanza dal gate alla fermata della metropolitana in meno di un quarto d'ora, pur non sapendo esattamente dove dovessi andare. Uscendo dalla metropolitana ero troppo impegnata a capire dove dirigermi per vedere ció che mi circondava. Una volta capita la direzione da seguire per arrivare all'appartamento, peró, sono stata rapita dal mare di biciclette che circolavano sulla pista ciclabile. E subito dopo sono rimasta a bocca aperta davanti allo spettacolo di case colorate che formano il quartiere di Nyhavn. Avevo visto delle foto in internet: case gialle, azzurre, di ogni colore, affacciate sul canale. Sapevo che avrei alloggiato in uno dei quartieri piú magici di Copenhagen. Ma vederlo in foto era una cosa, trovarselo davanti agli occhi era qualcosa di eccezionale! Alle 12 avevo appuntamento con Emma. Con lei, io e la mia amica abbiamo fatto un giro in centro: abbiamo visto la piazza del Municipio e siamo entrate in quest'ultimo palazzo, abbiamo visto la statua di Andersen, il mercato, alcuni negozi tipici. Abbiamo pranzato assieme e ovviamente non poteva mancare un giro in libreria, dove Emma ha potuto vedere l'indecisione dipinta sul mio volto e il panico da "quale libro prendo" quando, dopo essere entrata sapendo giá quale libro comprare (da lei consigliato), me ne ha posto davanti agli occhi un altro (che mi pento amaramente di non aver acquistato!).Dopo aver salutato Emma ed esserci appuntate a mente qualche dritta da parte sua, abbiamo fatto un altro giro per la cittá. Un giro molto tranquillo, perché il sole aveva lasciato posto alle nuvole e ad un terribile acquazzone. Abbiamo girovagato fino a sera, sorprendendoci quando, alle 22.15 siamo uscite dal ristorante e abbiamo visto il cielo ancora intriso di una sorta di chiarore crepuscolare (insosma, un conto e sapere queste cose, un altro é vederle!). Ma se é vero che la il sole tramonta tardi, é vero anche che sorge presto. Il mattino seguente, infatti, mi sono svegliata alle 5.15, pensando che fosse mattino inoltrato per via della luce che filtrava ai lati della spessa tenda che copriva la finestra. Scoperto il mistero, mi sono ovviamente rimessa a letto fino alle sette. Poi, abbiamo dedicato la giornata a visitare Kronborg, ovvero il Castello di Amleto, il Museo Marittimo e rientrando in cittá abbiamo fatto il giro turistico di Copenhagen con il traghetto. La sera eravamo intenzionate ad andare a Tivoli, ma vista la ressa che c'era alle casse abbiamo desistito e abbiamo deciso di dedicarci alla statua della sirenetta, aprofittando del buio e quindi della totale assenza di turisti ammassati sulla roccia della Little Mermaid. Oltre che dalla statua, estremamente simbolica, sono rimasta affascinata dall'immenso parco che abbiamo attraversato per raggiungerla. Il giorno seguente quindi, dopo una breve gita a Malmö, in Svezia, dove abbiamo noleggiato le biciclette, fotografato il Turning Torso e il meraviglioso ponte sull'Øresund che sembra buttarsi a capofitto nel mare, dopo aver compiuto la pazzia di mettermi a maniche corte e entrare nelle gelide acque del Baltico, siamo tornate a vedere Kastellet..spettacolare! Un giro al Planetarium e al museo della Carlsberg, e poi la sera siamo invece riuscite a entrare a Tivoli, dove sono salita sulla Star Tower, una specie di calcinculo che gira ad un'altezza di non so quanti metri, con il vento che ti gela le ossa e il cuore che si ferma alla vista di una cittá meravigliosa, di notte completamente illuminata. Essendo a Copenhagen, il parco divertimenti di Tivoli non poteva non essere magico. É la prima parola, la prima sensazione che ho provato quando ho messo piede dentro quel parco. Ma purtroppo, come sempre, le vacanze finiscono prima o poi e cosi la domenica é terminato il nostro soggiorno in Danimarca, ma non prima di aver visitato Amalienborg, aver assistito al cambio della guardia reale e aver ammirato, un'ultima volta, tutta la cittá dall'alto della Rundetårn. 
Il rientro in Italia é stato traumatico. Se all'andata sono stata la prima a salire sull'aereo, al ritorno sono stata tra gli ultimi. Ho impiegato quasi 20 minuti per arrivare al gate, nonostante i cartelli segnassero 10 minuti di distanza. Una cittá che era nel mio cuore ancor prima di visitarla. Quattro giorni non sono stati sufficienti. Sarebbe stato necessario molto piú tempo per assaporare e godere davvero di una cittá affascinante e ricca di storia e di arte. Sono passati solo tre giorni dal mio rientro,ma non faccio altro che pensare a quando finalmente potró tornare lá, magari prendermela piú comoda, stare qualche giorno in piú, vedere qualcosa di piú o semplicemente poter conoscere meglio ció che giá ho avuto modo di vedere. Il mondo é pieno di luoghi da visitare é vero, ma ci sono luoghi che piú di altri ti chiamano e ti attirano a loro, senza dirti il perché. É semplicemente cosí. Il nord Europa mi chiama, mi affascina. Ora che ho visitato una di quelle cittá per me cosi attraenti, sento di non poter fare a meno di pensare che il mio futuro sia lá, in Danimarca, in Norvegia,in Svezia,in Finlandia,non importa. Basta che sia lá.

CHIARA MINUTILLO

"IN FUGA DA ALCATRAZ" di Roberta Manzin



In fuga da Alcatraz. Da una cella troppo abbiente e colorata. Ospitale di amichevoli tizi con troppi sogni e amore da redimere. Ho escogitato il piano facendo finta di adattarmi. Di assecondare ritmi e necessità. Non disturbando l'ordine apparente.
Sono scappata in un giorno di pioggia battente. E ora nuoto. Con una forza e una sopportazione nuova. In cerca del mio posto. Di un giaciglio dove poter soffrire. Urlare. Incazzarmi. Distruggere. Vomitare l'aria fasulla. Aver paura. Perdermi. Dis-perdermi, ancora e ancora. Voglio sentire il dolore. Scoprirne il ghigno. Per tutto il tempo che servirà per potermi, alla fine, impietosire.
Scavata, mi prenderò cura di me.

ROBERTA MANZIN

"LA MIA VOCE" di Edmond Dantes



La mia voce
sta scritta qui
e quando tace
urla.
In un oscuro
altrove
ha avuto onore
d 'ascolto.
Ora è solo
cenere
innamorata.

EDMOND DANTES

"MI CONSEGNO" di Edmond Dantes



Mi consegno
ad una realtà
che sogna di me.
Mi convinco
di non esser distante
dal salvarmi
in un mondo impossibile.
Ogni brivido che inseguo
non ha bandiere
non ha colori,
ha un solo cielo
che pretendo pulito.

EDMOND DANTES

"MILLE VOLTE" di Francesca Gnemmi



MILLE VOLTE

Silenzio. Nessun pianto, nessun vagito.
Una mano svuotava il mio ventre, portandosi via quella gioia immaginata e sperata.
Nessuna emozione, forse sollievo.
Mi domandavo chi fossi, cosa stessi diventando.
Un attimo, un giorno, una vita. Sarei stata più io?
Labbra che mi sfioravano le guance, braccia che mi stringevano, fiori.
“Sei contenta?” Non lo so.
Un velo sugli occhi, parole da lontano.
“Li ho visti, li hanno lavati e vestiti. Domani ti accompagnerò da loro. Non ti spaventare però, sono piccoli. Ho scattato delle foto, vuoi vederle?” Non lo so.
Dietro un vetro, sotto una maschera, due cuoricini battevano, dimenandosi in piccoli petti ossuti.
Attendo.
Dovrebbe arrivare, sgorgare come un fiume in piena e travolgermi.
Immobile al ciglio di una strada deserta, nemmeno un alito di vento.
Il nulla. Non provo nulla.
Cosa ne sarà di me? Cosa ne sarà di voi?
Mi nascondo nell’unica coperta che merito e mi avvolgo nella vergogna.
Settimane, mesi, anni.
Le catene di quell’arida prigione poco alla volta si sono sciolte, come ghiaccio al sole.
In quelle pozze vedo riflesso il mio sorriso.
Una luce calda e rassicurante abita in me.
La chiamo gioia.
Mille e mille volte mi innamoro, ogni mattina.
Mille e mille volte vi vorrei.

FRANCESCA GNEMMI

"LA CHIAVE BIANCA" di Erica Stori (Recensione di Luca Paganucci)


 RECENSIONE

La chiave bianca

La chiave bianca è un testo che definirei di iniziazione. Non per l’autrice, quanto per Eva, la protagonista, e – di riflesso – per il lettore. L’oggetto cui fa riferimento il titolo rappresenta un passepartout verso la Conoscenza globale. Per raggiungerla Eva, Brando e don Juan si troveranno ad avere a che fare con oggetti dal significato sconosciuto, che li porterà anche ad essere inseguiti dai malviventi. 
In questo romanzo breve, l’autrice ha saputo coniugare tra loro (con grande maestria, bisogna riconoscerlo) numerose componenti: l’amore per l’avventura, il soprannaturale, la paura. Ed il lettore si troverà inevitabilmente coinvolto nelle avventure dei tre personaggi.

ERICA STORI

"MADRE" di Silvana Pagano Nardiello



Madre

Mi allattasti vergine al petto
perpetuasti il destino
Intrecciasti i capelli di spine
mi portasti alla croce
"ora balla"!
Inchiodasti con occhi materni
i miei poveri resti di bimba
Ti azzannerò il cuore
come fanno le rose
baciandoti il petto.

SILVANA PAGANO NARDIELLO

"FLUSSO DEL TEMPO" di Lina Mazzotti



Flusso del tempo

Profumo di salsedine
aria frizzante
il tepore dei primi raggi di sole
sul mio viso di bimba.


Canto del mare,
ritmato dagli spruzzi
con allegria di spuma bianca
fresca e frizzante.

Corro felice incontro all'altalena
e le tue mani forti
spingono teneramente
il mio flusso cadenzato del tempo.

Volo verso il cielo,
la mia anima si riempie di libertà,
ricado...tu mi accogli...con indiscussa protezione
per rispingermi ancora...

verso l'azzurro....verso la vita....
tenerezza infinita di due anime vicine
che non si separeranno mai
mia dolce nonna.

Lina Mazzotti

"LA VIA DEGLI ARCHI" di Santina Gullotto



La via degli archi

Il peso di una vita vissuta con pochissimi diritti e molti doveri se non ti spezzza la schiena, ti spezza il cuore e il peso degli anni lo senti doppio e speri solo che si possa almeno recuperare quel poco di libertà e di diritto, che poco ti è stato concesso....

SANTINO GULLOTTO

"IL SAPORE DELLA VITA VERA" di Santina Gullotto



IL SAPORE DELLA VITA VERA.

Con tanto dolore si muore dentro,
un macigno sul cuore, il caos nella mente…
L’amaro sapore di ogni giorno
che sembra passare inutilmente.
Il vuoto, l’abisso, dove stai per cadere ;
l’aquilone che passa sospinto dal vento,
troppo fragile per poterti salvare …


Nel buio della notte, cerchi
una stella che brilli lassù,
dietro la coltre di nebbia,
che nasconde la vita, che vorresti tu….
Una gran confusione nella folla
dei pensieri che non finiscono mai,
confondono la musica che hai dentro di te…

Il profumo del fiore che sboccia,
il cinguettio degli uccelli,
il tepore del sole che torna,
tra lo squarcio di nubi leggere,
che una volta ancora ti portano,
il sapore della vita vera…
Santina Gullotto.

"PECCATO" di Forough Farrokhzad



Peccato
Ho peccato, peccato, quanto piacere
nell’abbraccio caldo e ardente ho peccato
fra due braccia ho peccato
accese e forti di caldo rancore, ho peccato.


In quel luogo di buio silenzio appartato
nei suoi occhi colmi di segreti ho guardato,
nel palpito del petto furioso il mio cuore
tremava nei suoi occhi di desiderio in preghiera.

In quel luogo di buio silenzio appartato
accanto a lui al suo fianco sconvolta
la sua bocca desiderio versava tra le labbra mie,
scappata, io, dalle pene del folle mio cuore.

Gli sussurrai piano piano la melodia dell’amore:
ti voglio, ti voglio, anima mia
ti voglio, ti voglio, abbraccio che infiamma
ti voglio, amore mio pazzo.

Il desiderio nei suoi sguardi fiamme avvampava,
il vino nero nella coppa tremava e danzava.
Il mio corpo sul tenero letto
sul suo petto ubriaco oscillava.

Ho peccato, peccato, quanto piacere
accanto all’estatico fremito di un corpo.
Oddio, mio Dio, che cosa ho mai fatto
in quel luogo di buio silenzio appartato?
Forough Farrokhzad (Iran)

"COME CASCATA IN UN LAGO DI MONTAGNA" di Alaryssa Altea Gardini



Come cascata in un lago di montagna
Infiammata da stillicidio di stelle
mani intrecciate ad affondare nella terra madre
vestiti della pelle dell'altro
persi insieme nella via dal luminoso candore

ALTEA ALARYSSA GARDINI

"MILLE VOLTE" di Francesca Gnemmi



MILLE VOLTE

Silenzio. Nessun pianto, nessun vagito.
Una mano svuotava il mio ventre, portandosi via quella gioia immaginata e sperata.
Nessuna emozione, forse sollievo.
Mi domandavo chi fossi, cosa stessi diventando.
Un attimo, un giorno, una vita. Sarei stata più io?
Labbra che mi sfioravano le guance, braccia che mi stringevano, fiori.
“Sei contenta?” Non lo so.
Un velo sugli occhi, parole da lontano.
“Li ho visti, li hanno lavati e vestiti. Domani ti accompagnerò da loro. Non ti spaventare però, sono piccoli. Ho scattato delle foto, vuoi vederle?” Non lo so.
Dietro un vetro, sotto una maschera, due cuoricini battevano, dimenandosi in piccoli petti ossuti.
Attendo.
Dovrebbe arrivare, sgorgare come un fiume in piena e travolgermi.
Immobile al ciglio di una strada deserta, nemmeno un alito di vento.
Il nulla. Non provo nulla.
Cosa ne sarà di me? Cosa ne sarà di voi?
Mi nascondo nell’unica coperta che merito e mi avvolgo nella vergogna.
Settimane, mesi, anni.
Le catene di quell’arida prigione poco alla volta si sono sciolte, come ghiaccio al sole.
In quelle pozze vedo riflesso il mio sorriso.
Una luce calda e rassicurante abita in me.
La chiamo gioia.
Mille e mille volte mi innamoro, ogni mattina.
Mille e mille volte vi vorrei.

FRANCESCA GNEMMI

"LA VIOLENZA" di Maria Pace



STRALCIO

LA VIOLENZA

La Violenza sulla donna... poco é cambiato in 2000 anni!
.....................................
Calvia era una donna ferita nell'orgoglio e si sa che si può perdonare una cattiveria, ma non un'offesa all'orgoglio.

"Prendetela! - ordinò ai pretoriani prima di voltarsi per uscire - Prendetele tutte e due. Sono vostre!"

Lo sguardo di Lucilla seguì terrorizzato il pretoriano che richiudeva la porta alle spalle della donna e si faceva avanti. Seguì con raccapriccio il sorriso da ebete che gli istupidiva il volto, il lampo inequivocabile che gli incendiava lo sguardo mentre con gesti eccitati si toglieva l'elmo.

"La voglio prima per me. - udì la voce del compagno altrettanto eccitata - Dopo potrai farne ciò che ti aggrada!"

"Non mi serve la ragazza. - rispose l'altro, freddo, gelido, composto - E' troppo vecchia per me. Io voglio la piccolina!"

"No! - Lucilla scosse il capo inorridita; la pietra le tremò sotto i piedi; il soffitto parve venirle addosso - E' ancora una bambina..." riuscì a dire con voce soffocata.

Quello però l'aveva già raggiunta e le strappava Keriat dalle braccia; elmi, spade e corazze giacevano sparsi per terra.

Muta di terrore Keriat barcollò; l'uomo la sostenne. Un gesto quasi affettuoso. Paterno.

"Vieni, piccolina. - diceva - Dopo ti farò un bel regalo. Togliamo questi vestiti. Ti scalderò io se avrai freddo..."

Le tolse i vestiti con gesti pacati, amorevoli; le accarezzò i capelli, le spalle, i piccoli seni in
sboccio.

"Lasciala andare. - urlò Lucilla - E' ancora una bambina. Lasciala..."

Si lanciò in avanti, ma una mano l'agguantò. Forte come una morsa. Una stretta implacabile. Sentì sulla faccia l'alito pesante dell'uomo, il suo respiro affannoso.

Non provò neppure a svincolarsi: un urto e si trovò distesa per terra e l'uomo sopra di lei.

Era pesante.

Sentiva il suo largo torace schiacciarla e impedirle di respirare. Tentò, ma inutilmente, di liberarsene, poi il sapore delle sue labbra bavose sul collo, sulle guancia e sulle labbra l'annegò di disgusto.

Aprì la bocca e affondò i denti in quel labbro.

Il pretoriano dette in un grido di dolore, ritrasse il capo e sollevò una mano, che si abbattè con inaudita violenza sulla sua bocca.

"Brutta cagna rognosa! - lo udì imprecare - Ti insegnerò io a mordere!"

Lucilla sentì il sangue scorrerle lungo le labbra e il mento e nuovamente la bocca e la lingua di quell'essere immondo percorrerla e insozzarla di bava e saliva mischiate al proprio sangue;
l'urlo di Keriat le lacerò le orecchie e il cuore e un'angoscia disperata le straziò lo spirito.

Poi, d'improvviso, uno strazio fisico!

Le impediva fin'anche di respirare, come se una lama cercasse di affondare nella carne. Capì che l'uomo stava penetrando dentro di lei.

Spalancò gli occhi atterrita.

Dal profondo della mente partì un puntino doloroso. Una ferita che espandendosi scatenava nel cervello un ribollire tumultuoso di paure e travagli che il cervello stesso non era capace di contenere. Finalmente l'urlo. Un urlo che era retaggio di ataviche paure represse per generazione e che le sconvolsero la mente.

Quand'ecco, di colpo, un volto di donna, dolce e sorridente prese forma in quell'etra maligno e nemico. "Mamma!..." urlò.

Era la prima volta che sua madre "tornava" da quando era morta, quasi quattro anni prima.

Lucilla scosse il capo e la "visione" s'appannò; lentamente si adombrò, fino a a diventare luce
trasparente.

Svenne!

Aveva raggiunto quel confine oltre cui la misericordia divina non permette di andare e le risorse fisiche si esauriscono.

Non si accorse della porta che si apriva e di qualcuno che sollevava di peso lo stupratore scaraventandolo di lato.

Quando rinvenne, in una bruma di paure e vergogne, del soccorritore sentì solo la voce, poichè continuava a tenere gli occhi chiusi in un silenzio profondo rotto solo da respiri affannosi.

Non sentiva più neppur le grida di Keriat.

Fu proprio questo a scaraventarla fuori della bruma delle proprie angosce: quel silenzio era più terribile delle urla.

"Cosa stai facendo, animale?" sentiva la voce del soccorritore; una voce contrariata, ma sconosciuta.

"Di cosa ti impicci? - quella dello stupratore - Calvia Crispinilla in persona ha affidato costei alle mie cure!"

"Imbecille! Quando Cesare lo saprà ti farà scorticare vivo!"

"Per tutti gli Dei!... Perchè?"

"Perchè costei è la moglie del tribuno Marco Valerio Flavio, animale! Cesare vuole servirsene per trattare con lui e il generale Vespasiano, il Legato della Giudea. Finirai sotto la scure del boia!"

"Maledizione!" imprecò lo stupratore tentando di darsi contegno. Intanto guardava la sua vittima e faceva l'atto di tirarla su dal pavimento. Con uno spintone il centurione lo ricacciò in fondo allo stanzone, poi si voltò verso Lucilla:

"Che cosa ti ha fatto questo animale, domina. Ha abusato di te? - la voce era compassionevole e gentile, ma Lucilla non rispose: era umiliante dover spiegare. L'altro insistè - Hai capito cosa ti ho chiesto, domina? Questo animale ha abusato di te?"

Lucilla continuava a tacere e per non subire il suo sguardo abbassò il capo

Il primo irrompere della vegnogna al cervello fu un vortice impetuoso che andò dilagando fino nelle più remote e nascoste pieghe dell'animo Come una folgore l'aggredì al cuore, coinvolgendo
nervi, ossa, pelle: la voce e lo sguardo del centurione le davano la misura dell'offesa subita.

L'assalì il bisogno di nascondere l'offesa e la vergogna, il bisogno di nascondersi in un luogo buio, il bisogno di nascondersi a quell'uomo, che pure l'aveva sottratta alla violenza.

L'assalì il bisogno di morire.

Ma non poteva fare nulla di tutto ciò e non trovò altro rimedio che conficcarsi le unghia nella carne, ma un gemito la strappò a quell'angoscioso smarrimento: Keriat.

Giaceva in un angolo, svenuta, seminuda e sanguinante. Dimenticò se stessa; si trascinò per terra e la raggiunse. Si chinò sopra di lei. La chiamò: "Keriat!"

Anche il centurione si accostò alla piccola; anche lui si chinò. La contemplò in silenzio.

"Che scempio!" esclamò.

(continua)

brano tratto dal libro di Maria Pace: "LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses"


"L'AMORE E L'ESTASI" di Maria Pace



STRALCIO

L'AMORE e L'ESTASI

Si ritrovarono da soli e Lucilla, coperta unicamente dallo sguardo innamorato di Marco.
Il giovane le si avvicinò piano. Lentamente. Assaporando l’attimo meravigliosamente prossimo di un frutto da cogliere. La guardava con tutta la sessualità accesa, l’olfatto eccitato: l’aveva desiderata fisicamente fin dal loro primo incontro sul Palatino. Un desiderio che lo aveva quasi ossessionato e spinto altrove: un desiderio mai soddisfatto con alcuna altra donna, però. Un desiderio sempre più potente. Più di ogni altra sensazione ed eguagliato solamente dall’amore che per lui era sfaccettatura dello stesso sentimento.
Anche lei lo guardava. A piedi nudi, le mani tremanti che reggevano un telo di lino e con dentro gli occhi qualcosa che Marco non capiva. Le fu vicino. Lei continuava a fissarlo con “quello” sguardo. Lui continuò ad accarezzarle le spalle nude poi le cinse la schiena; il desiderio gli premeva dentro prepotente.
Lucilla si sollevò sulla punta dei piedi; con un braccio gli circondò il collo e con l’altro continuò a reggere il lembo del telo che copriva ormai così poco del suo corpo, ma nascondeva tutto il suo pudore che brillava intenso, rannicchiato negli occhi azzurri. Marco tremava d’emozione, mentre si chinava a cercare quella curva eccitante tra la nuca e il collo; l’anima e i sensi imprigionati dall’odore di lei.
“Marco, io..” cominciò lei con le palpebre abbassate.
Marco comprese.
“Hai paura? - domandò - No!... Non devi averne, tesoro mio. L’amore è una cosa dolcissima!” la rassicurò, rituffandosi nel suo sguardo e prendendo possesso dei suoi sensi e del suo pudore. Abbassò il capo e la bocca affondò ghiotta sulla nuca e sul capo; il telo scivolò a terra.

Il tripode, poco discosto, ardeva crepitando.

Con le mani Marco la percorse: la schiena, i fianchi, la vita. Si insinuò tra curve e pieghe. Lentamente. Leggermente. Dolcemente.
Lei sentiva liquido fuoco vivo attraversarla tutta e l’eccitazione consumarla: il contatto con la diversità di lui. Così dura. Così terrificantemente eccitante. Poi la bocca di lui che scivolava lungo il collo, la gola per fermarsi sul seno: “Oh!...” gemette.
Vinto da quella resa voluttuosa e dall’ardore del proprio temperamento, Marco piegò un ginocchio e la trascinò a terra con sé; con l’altro ginocchio la sostenne; il soffio ansante delle sue labbra sfiorava i capelli di lei.
Lucilla cercò di trattenere gli ultimi brandelli di pudore, ma lui sorrise con inusitata dolcezza in tanta eccitazione. Prese la mano di lei e ne guidò le dita tremanti sotto la tunica slacciata. La pelle eccitata fremette. La bocca, sempre affondata nella dolcissima curva tra collo e spalla, impazzì di piacere. Premette più forte.
Un brivido percorse Lucilla. Così profondo da darle la sensazione di perdere conoscenza e vacillare. La sua mano smise di carezzarlo; le dita si contrassero, le unghia quasi si conficcarono nella schiena di lui. Si accorse di essere distesa per terra, al bordo del letto. Supina.
Marco, a torso nudo, era sopra di lei. La tunica di lui era per terra accanto al suo telo di lino, ma lei ne vedeva solo un lembo, segmentato di rosso. Vedeva l’aria rilucere del riflesso del tripode e il bel volto di lui trasfigurato dall’eccitazione e dalla passione. Chiuse gli occhi e sentì le labbra di lui che cercavano la sua bocca; le sue mani continuavano a percorrerla. Rispose al bacio.
Nuovamente Marco prese la sua mano per guidarla su di sè. Nuovamente lei fremette, mentre imparava a conoscere quel corpo che amava e in cui era concentrato tutto il mondo che andava scomparendo intorno a lei: sempre più piccolo e stretto, fino a ridursi a quel solo essere adorato. Le pareva, mentre con le dita scorreva e scopriva la pelle eccitata di lui, i rigonfiamenti, i muscoli, gli incavi, di conoscerlo già: quante volte aveva accarezzato quel corpo facendo l’amore con lui con la fantasia.
Un’altalena di emozioni, un groviglio di sensazioni che elevava e inabissava e i respiri ora corti, ora lunghi. Pian piano i respiri si fecero calmi, placidi. Fino a scivolare all’unisono lungo un tempo immobile. Come trasognata, Lucilla sentiva il capo di lui fremere contro la sua spalla, il suo petto ansante, le sue mani sulle gambe. E Marco sentiva le braccia di lei intorno al busto, le gambe avvinghiate alle sue, le dita accarezzargli dolcemente la schiena. Ancora cercò le labbra di lei, poi, quando le labbra la lasciarono per saziarsi altrove, le vide reclinare il capo dolcemente di lato. Completamente arresa. Completamente abbandonata. Completamente rilassata. Rilassati i muscoli delle gambe, rilassato il grembo, rilassata la pelle intorno all’inguine.
Un dolore acuto le strappò un gemito, poi una sensazione di sconfinato piacere che mutò in eccitato languore i gemiti di dolore e che la trasportò in alto, verso vette sconosciute e immacolate, in un tempo immobile, insieme a lui, in dimensione irreale e magica.
Giacquero, l’una sull’altro, per riemergere storditi e appagati.

brano tratto dal libro di Maria PACE:
"LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses"


martedì 26 maggio 2015

"ACCOPPIARSI ALLA VITA' di Roberta Manzin



Accoppiarsi alla vita
ingravida testardi
dell'amore romantico
partorendo favole senza fine.
Gli sguardi
diventano l'indimenticabile.

ROBERTA MANZIN

"HO BISOGNO DI SENTIMENTI..." di Alda Merini



Ho bisogno di sentimenti....
di parole scelte sapientemente...
di fiori detti pensieri ...
di rose dette presenze ....
di sogni che abitino gli alberi ...
di canzoni che facciano danzare....
.............le statue di stelle .............


Alda Merini

"L'AMORE E' COSI' CIECO" di Edmond Dantes



L'amore è così cieco
che sbatte ovunque.
Ma anche al buio trova luce
e si siede silenzioso
nei ricordi altrui.
E sa che nulla
può venir dimenticato
nell essere pensato
nell essere sognato.
L amore sa di essere
immortale.

EDMOND DANTES

"NARCISO" di Giovanna Ferrara



NARCISO

Con le membra distese sotto il sole incantato
Adorabile farabutto
Sa suonare corde di liuto
Adone di se stesso
Narciso a tempo pieno
Ammalia di dolcezza
Incanta la favella
Financo nella sciagura e' unico
Teatralità di tragedia
Furbizia ingenua
Amami sono il migliore dei pestiferi
Amami negli inferi del cielo

GIOVANNA FERRARA

"UN CUORE VERGINE' di Roberta Manzin





Un cuore vergine
ama sfaccettature
oscure e immature
Dal momento che
accoglie l'incontro
come fosse un regalo
Il primo amore
è nella disposizione
L'anima traccia
E non sbaglia.

ROBERTA MANZIN

"UNO SPETTRO DAL PASSATO..." di Emma Orlando



Uno spettro torna dal passato e con il suo mucchio di ossa si insinua e si fa spazio fra emozioni e ricordi. A passi lenti si avvicina, è fragile eppure ti scuote, ne senti la presenza dentro, come un masso capace di schiacciare, un vento capace di strappare i capelli, un mare in tempesta capace di travolgere il più saldo di quei pilastri che nel tempo a fatica hai costruito.
La sua presenza è così reale da poterne avvertire lo sguardo. Ma ora è solo uno spettro e non potrò mai più baciare le sue labbra.

EMMA ORLANDO

"UN PRECISO MOMENTO PER MORIRE" di Silvia Pagano Nardiello



Un preciso momento per morire.

C'è tutta la vita per vivere
e un preciso momento
per morire.
Sprofonda nelle tue fetide latrine
nelle carceri dei tuoi sentimenti
dove hai nutrito con pane e acqua il tuo cuore,
dove vive il bimbo che eri,
che hanno molestato
che spadroneggia e ti schiavizza.
Accoglilo,amalo,proteggilo.
Offriti a lui
muori tra le sue braccia.
L'attimo che cristallizzerà
la tua morte apparente
sarà la grotta di Betlemme
dove il tuo "divino"
rinascerà e vivrà in eterno.

SILVIA PAGANO NARDIELLO

"L'AGENTE SEGRETO" di Giovanna Ferrara



L' AGENTE SEGRETO

Resta un mistero fitto e nebbioso
Ciò' che accadde al signor Tale
Tale e quale a quei due di cui non seppe più' dire
Fiuuuu svaniti nel nulla
Come se l'aria li avesse inghiottiti
Cerca qui, cerca lì
Davanti alla dispensa si finì
Ghiotti, ghiotti aveano divorato tutti i biscotti
Ed io che stavo ad aspettare
A bocca asciutta rimasi a guardare

GIOVANNA FERRARA

"A G A R" di Maria Pace




STRALCIO

Due mesi dopo misi al mondo la mia creatura.
Era un maschio e gli fu dato il nome di Ismaele, che significa: "Il Signore ha esaudito", proprio come il mio amatissimo Amosis mi aveva predetto la notte in cui avevo lasciato Tebe.
Fu tutto come un sogno: il sorriso di Abramo, i doni di Sarai, il mio pianto di gioia. E poi, il ventre vuoto, il seno gonfio, il cuore triste.
Nella profonda tristezza che nasceva da un dolore nuovo e nel rimpianto che veniva dalla rinuncia, scoprii la solitudine alimentata dal rancore.
Partorii sulle ginocchia di Sarai; lei stessa aveva reciso il cordone ombelicale e per questo mio figlio le spettava di diritto: erano le consuetudini.
Di tutte le consuetudini che Abramo aveva spezzato, di quelle portate dalla Terra di Nahor, quella che permetteva ad una donna di portar via il figlio a un'altra donna, continuava a resistere.
A Tebe no! A nessuna madre sarebbe accaduto mai.
Hathor l'avrebbe impedito!
Sarai reclamò il suo diritto di Grande Madre del popolo di Jhwh. La guardavo, mentre recideva il cordone che ancora legava mio figlio alla mia carne. Era di nuovo bella; quasi come mi era apparsa nel giardino del principe Abimelech, ma più radiosa. I simboli della dignità matriarcale, trionfavano sul suo petto e sulla fronte. Il volto, felice ed appagato, era il volto di una donna diventata madre.
"Il mio bambino.- disse tendendo le braccia verso mio figlio - Guarda il mio bambino, Agar, sorella mia."
"Non chiamarmi Agar. – proruppi - Non chiamatemi mai più Agar, che vuol dire Gioia..Chiamatemi Mara:… perché gonfio di amarezza è il mio cuore…"
Lei mi fece una carezza e si allontanò col frutto del mio grembo ed io mi sentii il più spoglio degli arbusti e il più solitario dei loti. Le facce mute della gente, il deserto grigio, il cielo, il silenzio, il vagito del mio bimbo che si faceva sempre più lontano, parevano attendere le mie grida di dolore.
Nelle notti che seguirono, la clessidra accanto alla stuoia chioccolava lenta e ogni goccia mi teneva sveglia e teneva sveglia la mia pena alimentata dal dolore. Un dolore nuovo; diverso da ogni altro dolore patito prima. Diverso da quello per i bimbi della fornace del Santuario di Hathor; diverso da quello per la morte di Amosis e di Merit; diverso anche da quello per la perdita di Hiram: era il dolore che tiene vivo il mondo!
Cosa è il Nilo, se non le lacrime di dolore di Iside per lo smembramento del corpo di Osiride? Non è, forse, una vena aperta sul corpo di Hapy? Anche il mio corpo e il mio spirito sanguinavano come il Nilo.
Il dolore, sprofondato nel rancore, mi aggredì lo spirito come un insetto attacca le radici delle piante nella stagione secca: non sentivo più il canto degli uccelli e le tende del campo mi parevano vele alla deriva.

Ne fui atterrita. Conoscevo la devastazione di quel sentimento. Gli oscuri fantasmi, generati in me dagli Dei di Ugarit, di Gerar e perfino dal Dio di Abramo, insidiavano ancora la parte più profonda del mio spirito, ma io decisi di deporre rancori e atteggiamenti di ribellione.
Fu per questo, forse, che Sarai mi concesse di allattare il mio bambino. E mentre porgevo il seno al mio piccolo, che mi trafiggeva il cuore col suo sguardo innocente, mi domandavo se ero proprio io quella donna sottomessa.
Dov’era andata a nascondersi la principessa di Tebe che seguiva il volo degli ibis sognando di volare un giorno con loro?
Ma non c'erano ibis nel cielo di Mambre, solo civette e corvi!

brano tratto da "A G A R" di Maria Pace