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venerdì 29 maggio 2015

"ZEN IN JAZZ" di Marina Fichera



Zen in Jazz

Amo il jazz. Il jazz è ritmo, pause ben calibrate e improvvisazione. Come il sesso. Come lo Yin e lo Yang, i perfetti opposti. E il jazz è lo Yang della mia vita molto Yin.
Una vita fatta di indici di borsa, numeri e concentrazione, dove nulla può essere improvvisato. Una vita dove regnano il nero e il bianco, senza mezze misure. Le mezze misure sono per le mezze calzette, ho sempre pensato.
Dopo aver staccato dal lavoro alle otto e oltre non mi piace la solitudine della mia bella casa milanese, perciò esco quasi ogni sera.
Era una serata fredda e umida di metà dicembre, una di quelle che spacca i polmoni e da cui non ti aspetti nulla di buono, ma avevo deciso di andare a sentire un concerto. 
Una giovane cantante jazz, una da ascoltare prima che diventi famosa. Una di quelle che, dicevano, non sbagliava una nota e nemmeno una pausa. Perfetto equilibrio di vuoto e pieno.
Quella sera tutto accadde troppo rapidamente. Un attacco in Ab che scivola in un Eb, un classico. Mi bastarono quelle prime due battute e le tue note e le tue pause mi entrarono subito sotto pelle. "I’ve got you under my skin", cantava il vecchio Frank ai tempi ruggenti dei crooners americani.
Dopo lo spettacolo mi accesi una sigaretta mentre controllavo ancora una volta la chiusura del Dow Jones sul mio iphone, e ti aspettai fuori dal locale.
Non ho mai capito come accadde esattamente. Destino o scelta, non saprei. Due ore dopo il mio respiro era già perdutamente immerso nel tuo ventre. 
Nota. Pausa. Jazz. Zen.
Tutto nasceva e si perdeva in te. Inaspettata perfetta combinazione, uguali e al tempo stesso profondamente differenti, eravamo Yin e Yang.
Iniziammo una relazione fatta di ritmo, pause ben calibrate e improvvisazione. Quanto ti piaceva vibrare all’unisono con me, dicevi. 
E quante folli corse in auto per assaporare i colori e la musica del mare d'inverno. Perché tu lo odiavi, l'inverno. Io invece lo adoro. Ho sempre amato il freddo, la nebbia e l’atmosfera cool che la città assume nei mesi invernali. Freddo. Caldo. Jazz. Zen
Lo ammetto, cercavo di farti lavorare meno possibile, per non condividerti con alcun altro essere umano, per averti solo per me. Volevo la tua luce e le tue ombre, volevo tutto di te, tutto.
Quando non avevi serate ti portavo nei migliori ristoranti, quelli frequentati dalla Milano che conta. Destavamo stupore e ammirazione e non c’era uomo che non ti desiderasse, ma tu eri solo mia. Almeno credevo. Furono sei mesi fiammanti di jazz e zen. 
Vuoto. Pieno. Nero. Bianco. 
Un susseguirsi senza soluzione di continuità di sesso, musica, litigi, riappacificazioni. E soldi. Quanto ti piaceva l’acro odore dei miei soldi, ma ancor di più ambivi al successo. 
Più ti conoscevo e più capivo che volevi, con ogni azione, pensiero, singola cellula del tuo spettacolare corpo, una sola cosa. Essere la Star amata e invidiata da tutti. Non ti bastava essere la mia personale divinità in terra.
E così una sera, dopo un concerto incontrasti un famoso produttore - uno che subito dopo il tuo classico attacco in Ab ti promise il mondo intero - e mi mollasti senza una parola, come un cane a Ferragosto. 
Vuoto. Nero. Fumo. Alcool. 
Mi si squilibrano lo Yin e lo Yang se continuo così.
***
Nel locale più alla moda di Milano a quest’ora starai sicuramente cantando "Every time we say goodbye". Chiudi sempre i tuoi spettacoli con questo malinconico bis. 
Certe volte sei monotona esattamente quanto sei bella. Così bella da scardinare la vita di chi, per destino o per scelta, incrocia il ritmo sincopato del tuo corpo.
E esattamente come quella sera ti aspetto fuori dal locale. 
“Ciao, come stai ? Mi hanno detto che canti sempre con il giusto mix di note e pause. Brava.” 
Nulla può essere improvvisato ora. Mi avvicino, ti accarezzo le guance, sfioro il tuo meraviglioso collo. Lo stringo con entrambe le mani. Stringo fino a quando il tuo sguardo così densamente vacuo non si spegne. 
Non hai provato neanche a urlare. Mi hai solo guardato in silenzio, fino quando il ritmo sinusale del tuo corpo non si è interrotto.
Finalmente ho riequilibrato lo Yin con lo Yang. 
Mi accendo tranquillamente una sigaretta e sull’iphone compongo il 112.


MARINA FICHERA

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