Sin dagli albori del teatro il termine “attore” era
riservato esclusivamente agli uomini, quando anche le parti femminili di una commedia o di una tragedia venivano affidate ai maschi, in quanto era considerato disdicevole per una donna salire sul palcoscenico. L’equivalente femminile, “attrice”,
cominciò ad essere utilizzato solo nel XVII secolo, più o meno
in concomitanza con la nascita dell’Opera, un genere teatrale in cui l’azione scenica
tanto comune fino a quell’epoca, cominciò a essere abbinata a particolari tipi
di musica e canto. Al contrario di quanto comunemente si pensi, quindi, l’Opera
è un fenomeno musicale alquanto recente.
Senza voler scendere in dettagli eccessivamente tecnici,
possiamo dire che l’Opera cominciò a prendere forma a Firenze e affonda le sue
radici nel teatro medievale, per quanto riguarda la sua storia, e nella
tragedia classica in relazione alle ideologie che rappresenta. In età barocca ebbe un’enorme diffusione, prendendo piede soprattutto nei teatri di Roma e Venezia. Il melodramma richiedeva, anzi, necessitava quasi forzatamente, con
prepotenza, della presenza di figure femminili. La donna iniziò quindi a
introdursi negli ambienti teatrali e musicali.
Fu proprio lo sviluppo del melodramma nei teatri veneziani a
scambiare i ruoli affidati a uomini e donne nell'ambito della recitazione. Per quanto ancora vigesse il
divieto per le femmine di cantare nelle strutture ecclesiastiche, sul
palco mondano la cantante era la favorita. Nella Venezia devota al Carnevale, festa che
iniziava il 26 Dicembre e proseguiva fino al martedì grasso, si trovava
l’ambiente ideale per l’Opera in Musica così come era intesa all’epoca. Gli
isterismi e le singolarità di quei giorni di festa si rispecchiavano nelle
ambientazioni e nelle trame sfarzose del melodramma del tempo. Ma non solo. A
risentire delle eccessi del Carnevale Veneziano fu anche l’importanza
attribuita alla voce all'interno delle rappresentazioni. Lungi dall’essere l’insieme di duetti
maschili e femminili o l'alternarsi di voci limpide e cupe a cui siamo abituati ora, le prime Opere erano prevalentemente
scritte per voci acute, soprani o contralti, femmine o castrati. Ciascuna di
queste parti poteva essere affidata indifferentemente a un uomo o una donna a
prescindere dal genere effettivo del personaggio, con conseguenti, eventuali
travestimenti. È chiaro quindi che la grande attrazione di questa versione
teatrale degli eccessi carnevaleschi era il virtuosismo dei cantanti, in
particolare delle donne. Queste ultime, allenate a cantare a un livello di
difficoltà senza precedenti nella storia della musica, iniziarono ad accumulare
potere, influenzando la produzione di opere che divennero ben presto farcite di arie
sempre più elaborate, formate da musiche arzigogolate in modo tale che la voce
delle soprano venisse costantemente messa in risalto.
A fine Seicento quello di
cantante cominciò a diventare, almeno per le donne, un lavoro a tutti gli
effetti. Esse incassavano spesso più di qualsiasi altro addetto ai lavori,
compositori compresi e per la prima volta cominciarono a poter dipendere dalla
loro professione piuttosto che da un protettore. La scalata verso il successo
in un mondo dominato dagli uomini, tuttavia, era tutt’altro che semplice.
Suscitava sempre grandi problemi, soprattutto per quanto riguardava la
rispettabilità di una signora: il fatto stesso che dovessero stare a stretto
contatto con molti uomini, portava gli osservatori esterni a considerare poco
oneste quelle donne che avevano fatto del canto la loro professione. A ciò si
possono aggiungere le voci che circolavano sulle particolari capacità virili
dei molti uomini castrati che riempivano la scena lirica, fornendo ottime
prestazioni a rischio zero, in quanto incapaci di fecondare.
Sul versante francese, nel frattempo, prendeva piede la
tragédie lyrique, ovvero l’Opera Tragica, per nulla influenzata dallo stile
eccessivo dell’opera italiana. Le arie erano brevi e formali, gli abbellimenti
che nello stile italiano fornivano tanta importanza alle donne, in Francia
erano ritenuti volgari. I castrati erano visti con ribrezzo e quindi non
ammessi sul palco. Per cominciare ad attuare in maniera completa queste riforme
anche in Italia, in particolare riguardo alle voci, si dovette arrivare al
1800. I cambiamenti delle tipologie vocali non furono però indotti esclusivamente
dalla moda del momento. Furono dettati dalla società del tempo e dalle nuove esigenze
della messa in scena. In quell’epoca la moda cambio nettamente, simboleggiando
ancor di più il distaccamento tra i due generi maschili e femminili, ragione per la quale gli uomini stessi sentivano di doversi distinguere. Inoltre in
quegli anni si ampliò inesorabilmente l’orchestra dei maggiori teatri, con
l’introduzione di strumenti nuovi o fino a quel momento inutilizzati. In armonia con le nuove esigenze musicali, l’intensità acustica di fiati e
ottoni venne aumentata con una conseguente espansione, all’interno delle orchestre, della sezione dedicata agli archi. Gradualmente gli ottoni gravi divennero più
importanti degli altri strumenti. In tutte queste riforme musicali la donna ne
uscì ancora una volta avvantaggiata: la potenza della vocalità femminile poteva
facilmente sovrastare la sonorità orchestrale più scura che cominciava ad
essere utilizzata. Lo stesso non si poteva dire per le voci, seppur acute, degli
uomini castrati. Cominciarono così ad entrare in scena altre tipologie di
cantanti, tanto maschili quanto femminili: tenori, baritoni, bassi per quanto
riguarda gli uomini, mezzosoprano per quanto riguarda le donne. Quest’ultima
figura si andò ad aggiungere alle già esistenti soprano e contralto, ma sul
discorso delle voci, in particolari femminili, dovremo tornare in un secondo
momento, in quanto sono fondamentali non solo per capire l’Opera in sé, ma
anche per comprendere pienamente e approfondire il ruolo della donna, sia come
personaggio che come interprete, nel melodramma. In realtà, le riforme in campo
vocale diedero il via ad una serie di altri mutamenti e perfezionamenti in termini di armonia, trame e
caratteristiche dei personaggi, dando vita agli anni migliori e assolutamente inimitabili dell’Opera e
creando una serie di personaggi, soprattutto femminili, indimenticabili.
“Non sono un angelo e non pretendo di esserlo. Non è uno dei miei ruoli. Ma non sono nemmeno il diavolo. Sono una donna e una seria artista, e gradirei essere giudicata per quello.” (Maria Callas)
Chiara Minutillo
Nessun commento:
Posta un commento