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domenica 4 gennaio 2015

Il mondo incantato di Bruno Bettelheim, recensione a cura di Mary Skellington Greenwood.





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E’ una bellissima domenica di sole in questa Toscana che con il tempo ci delude sempre poco: un po’ ventosa, si, ma con una sciarpa e una felpa più pesante, è vivibile.
Venerdì ho dato un esame sulla letteratura francese sulle fiabe del seicento e del settecento.
E’ stato molto interessante vedere come dall’oralità alla stesura stessa delle fiabe che oggigiorno conosciamo tutti, le cose siano cambiate e non poco.
Chi non ha mai raccontato una fiaba ad un bambino?
E a chi, di tutti noi, non è mai stata raccontata una fiaba?

Uno dei due manuali da studiare per questo (lasciatemelo dire: pesantissimo!) esame è proprio Il mondo incantato di Bruno Bettelheim.

Il libro si suddivide in due parti, che possono sembrare benissimo due libri a parte nel solito volume, ma in realtà l’argomento trattato è presente come protagonista in entrambe le sezioni.
Il bisogno di fantasia, lieto fine e speranza in un bambino è ciò che lo aiuta a credere che ci sarà sempre un modo per uscire dalle situazioni, anche quelle più ingarbugliate, che sia con l’aiuto di una fata, o di una pianta di fagioli che cresce fino al cielo o del proprio intelletto, il bambino deve sempre e comunque credere di potercela fare con le proprie forze.
La favola ha un po’ questa funzione: indirizzare chi di dovere verso la giusta direzione.
Ovviamente secondo l’ascoltatore.
In fondo, chi è che può dire cosa è giusto o sbagliato?
Chi è tanto superiore da poter giudicare le rette vie o le scorciatoie?

Per esempio: molti bambini, conoscendo e ascoltando la storia di Cappuccetto Rosso (quella ovviamente romantica dei Fratelli Grimm, con il cacciatore e il lieto fine, perché quella di Perrault del seicento è un po’, come dire, cruda da far digerire a un bambino!) provano pena per questa nonna e questa bambina che vengono divorate, e poca compassione per questo lupo, che effettivamente, ha agito solo ed esclusivamente secondo la sua natura: la voglia e il bisogno di saziarsi.
Pochi pensano che sia invece la bambina che ha compiuto una scelta sbagliata nell’attardarsi a raccogliere fiori e ad allontanarsi dalla via maestra, cosa che invece le è stata espressamente richiesta dalla madre.
Ma anche qui, la colpa non è certo di Cappuccetto Rosso, quanto della famiglia della bambina che non si è preoccupata minimamente di spiegarle i motivi per i quali avrebbe potuto perdersi o imbattersi in sconosciuti a cui non avrebbe dovuto dare relazione.

Ecco: molti genitori fanno l’errore di tenere i propri figli o troppo nella fantasia o troppo nella realtà, mentre questo libro spiega anche ad un adulto in che modo le favole raccontate nella sua infanzia hanno avuto conseguenze nella sua crescita, aiutandolo fornendogli nozioni per crescere al meglio il proprio bambino, né con troppa paura della fantasia né con troppa voglia di inculcargli realtà nella testa.
Il bambino ha bisogno di giocare, di credere che fuori da casa ci siano casette di marzapane, lampade magiche, tappeti volanti o foreste incantate, ma allo stesso tempo ha anche bisogno di sapere che non è Robin Hood, che non può volare con polvere magica e che non c’è nessun orco che vuole mangiarlo.

Interessante come l’autore spiega ai genitori di incoraggiare i propri figli a sognare, ma di farlo con loro: di non escluderli, di non metterli da parte, ma di farli sentire parte integrante di quell’amore che ha dato loro la vita.

I problemi edipici sono da sempre intrinsechi nel bambino: la piccola crede che suo padre sia il suo principe, il bambino che la madre sia la bella principessa che sposerà una volta combattuto il mostro e che gli garantirà il tanto atteso lieto fine.

Ma più di tutto, il punto di vista di quest’autore mi ha lasciata un po’ “sconvolta”: nessuno mai ha pensato che le favole potessero avere anche relazioni sessuali in ambito psicologico, anche perché diciamocelo, quale bambino pensando alle tre gocce che la mamma di Biancaneve fa cadere sulla neve pensa alla prima mestruazione della giovane ragazza che sta diventando donna?
Ma è comunque un altro punto di vista: un po’ che ti smonta tutto ciò che hai sempre creduto, sicuro, però credo anche che bisogna essere consapevoli del fatto che sì, agiamo come agiamo, per istinto o perché ci è stato insegnato, ma chi ci dice anche che ciò che ci è stato insegnato sia giusto o sbagliato?
E torniamo al punto di partenza!

Leggendo questo libro, che se non si fosse capito, ho praticamente adorato e divorato, credo che la cosa più importante del perché certe credenze ci vengano smontate è perché esiste un’età per il gioco e la finzione, dove la fantasia è pane quotidiano, ed età dove la fantasia è bene metterla da parte poiché siamo pronti per apprezzarne la cruda realtà.
Senza ovviamente abbandonare né l’una né l’altra.

Vivere con un piede nella fantasia e uno nella realtà ci aiuta si a crescere continuamente, apprendere e vivere una vita matura data dalla propria età, ma anche a non perdere il bambino dentro di noi.
Che è sempre presente e che sempre sarà con noi.

Associare la letteratura alla psicologia è una figata!

Mary Skellington Greenwood.

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