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giovedì 1 gennaio 2015

"In nome della madre" di Erri De Luca, recensione di Domizia Moramarco.

In nome della madre di Erri De Luca: La sposa e madre vergine che sfidò la tradizione per adempiere al suo destino di donna, nel ritratto delicato dell’autore napoletano.

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In nome della madre, breve romanzo scritto da Erri De Luca nel 2006 e pubblicato da Feltrinelli, è il racconto in prima persona del coraggio di Miriàm, la donna chiamata a una grande missione, quella di procreare il Salvatore dell’intera umanità.
La delicatezza con la quale l’autore descrive i pensieri e le emozioni durante l’attesa della giovane fanciulla, fanno di questo libro una piccola poesia da leggere tutto d’un fiato portando la mano al petto, in segno di gratitudine verso il miracoloso atto della maternità perché, come specifica l’autore nella premessa – “In nome del padre”: inaugura il segno della croce. In nome della madre s’inaugura la vita. -

Siamo in Galilea, nel mese di marzo dell’anno 0 e Miriàm, ancora adolescente, sorpresa dalla brezza primaverile riceve la visita di un uomo sconosciuto che le annuncia l’arrivo di un figlio destinato a grandi cose. Ancora ricoperta di una polvere celeste, la fanciulla comunica la notizia al suo fidanzato Josef, subito assalito da sgomento e smarrimento. Miriàm, il corpo calmo come un campo di neve, ascolta la parole concitate di Iosef, preoccupato per il parere degli anziani e per la drammatica sorte che spetta alla sua giovane sposa, incinta prima delle nozze.

Mentre parlava io diventavo madre. Gli uomini hanno bisogno di parole per consistere, quelle dell’angelo per me erano vento da lasciar andare. Portava parole e semi, a me ne bastava uno … Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione… Non mi importava delle conseguenze, da un’ora all’altra io non appartenevo più alla Legge.

Animata da quiete e allegria, Miriàm prova tenerezza e subito dopo gratitudine verso Iosef, il quale le crede e la sostiene sin dal primo momento, e si rimette alla sua decisione:


Fai quello che è giusto Iosef. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa.

Iosef deciderà di sposare Miriàm e troverà il coraggio di affrontare le illazioni della comunità, in seguito agli ordini ricevuti in sogno da un angelo.

Questa storia non è nuova ai lettori di tutto il mondo, lo stesso autore ricorda nella premessa che le notizie su Maria provengono dai Vangeli di Matteo e Luca, l’originalità del racconto sta invece nella capacità di fotografare l’attimo di sospensione fra i due annunci, quello fatto dall’angelo a Maria e quello fatto da Maria a Giuseppe, prima dello scatto passato alla storia come il più puro atto di umiltà della donna che si rimette alla volontà del Signore. L’intimità scaturita da un segreto più grande di loro rafforza il legame fra i giovani Miriàm e Iosef, li rende già famiglia, un bocciolo che si dispiega alla sacralità del mistero della vita. Il miracolo dell’amore che avviene fra i due è il più puro in tutti i sensi se consideriamo la duttilità mostrata da Iosef di fronte all’evento. Nessun rancore, né orgoglio accecano il suo impulso maschile ma, illuminato dalla quiete che avvolge fuori e dentro la donna che gli sta di fronte in tutto il suo coraggio, Iosef pronuncia le parole più dolci che un uomo possa rivolgere alla sua futura sposa:


Miriàm sai cos’è la grazia? … Non è un’andatura attraente … E’ la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi. Non è femminile, è dote di profeti. E’ un dono e tu l’hai avuto. Chi lo possiede è affrancato da ogni timore. L’ho visto su di te la sera dell’incontro e da allora l’hai addosso. Tu sei piena di grazia. Intorno a te c’è una barriera di grazia, una fortezza. Tu la spargi, Miriam: pure su di me.

E’ interessante percepire come Erri De Luca riesca a interpretare i pensieri cullati da una donna incinta, che fantastica sul suo bambino, al quale parla mentre senza timore si espone al sole dell’alba, a differenza delle donne del suo popolo che non vogliono perdere il bianco segreto della pelle :


Più del giorno ti stupirà la notte … una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle: di tutte loro, solo io la tua”. Pensieri che risuonano talvolta scanditi da una nota di orgoglio quando Miriàm immagina che suo figlio sarà diverso dagli altri perché ella non agirà come le altre madri, vanagloria subito smorzata dal senso di sottomissione alla diversità del suo destino, “Non ho niente di speciale, sono il tuo recipiente … Però sei stato messo dentro di me da un fiato di parole, non da un seme. Sarai pieno di vento.

E quando il figlio venuto dal vento asciutto di un annuncio, non da sudore di abbracci, né da goccia d’uomo, esce dal suo grembo, di notte

lontano dagli uomini e dal mondo” fa tutto da sola, regolando il suo respiro a quello delle bestie alle sue spalle, soffocando le urla del dolore per non allarmare Iosef che aspetta che lei deponga il loro figlio fra le sue braccia. Ma la donna, ora madre, esita, aspetta che giunga la luce del giorno prima di presentare la sua creatura al mondo “Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio.

E’ questo il momento più drammatico di tutto il racconto, l’arrivo dei timori che assalgono una madre quando si ritrova a guardare e a odorare il figlio reale, le parole dell’annuncio risuonano allora come una minaccia concreta che comincia a minare la perfezione del tempo idilliaco della sua gravidanza all’ombra. Ed eccola Miriàm, la madre di tutte le donne, costretta ad abbandonare la placenta dell’attesa e ad affacciarsi al vuoto improvviso che da argilla con un’anima di ferro fra le mani di un invisibile vasaio, si sgretola in tutta la sua umanità. 

Non l’icona della perfetta serva di una Volontà superiore dunque l’immagine di Maria dipinta da Erri De Luca, ma il ritratto universale della donna che sente moltiplicare il suo essere attraverso il sangue donato lungo il ventre come fiume che si riversa dentro il mare, per poi prepararsi al drastico approdo nel mondo della creatura amorevolmente accarezzata nei sogni durante l’attesa.

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