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venerdì 9 gennaio 2015

“Gli anni difficili” di Almudena Grandes, recensione di Chiara Minutillo.


Devo confessare che erano anni che tenevo nella libreria "Gli anni difficili", in compagnia di altri romanzi dello stesso genere. Mi era stato regalato in non so più quale occasione, ma ogni volta che provavo a leggerlo mi bloccavo dopo 10 pagine.
 Tra i buoni propositi per questo anno nuovo, però, c’è anche la volontà di non abbandonare nemmeno un libro senza averlo terminato. Quindi mi sono fatta forza e sono arrivata fino in fondo. Attraverso le vite dei due protagonisti, Sara Gòmez e Juan Olmedo, Almudena Grandes ci aiuta a penetrare all’interno di una fitta rete di segreti
Sì perché Sara e Juan non hanno apparentemente nulla in comune, tranne la stessa provenienza geografica (entrambi sono madrileni) e la stessa decisione di allontanarsi da Madrid per approdare in un piccolo paese del golfo di Cadice. Le loro vite sembrano non avere nessuna connessione, ma entrambi sono decisi a nascondere e dimenticare il loro passato
Sara è una cinquantatreenne, è sola, ricchissima e nullafacente. Nel suo passato nasconde una storia di adozione, terminata quando, abbastanza grande per poter lavorare, è stata riaffidata alla sua famiglia d’origine, povera e numerosa, perdendo quindi ciò che aveva avuto fino a quel momento: una vita fatta di agi e ricchezze. In lei nasce quindi un desiderio sfrenato di vendetta e rivalsa
Juan è un medico quarantenne, con un fratello malato a carico e una bambina, Tamara, di dieci anni che lo chiama zio senza in realtà sapere che Juan è suo padre. Cambiare vita sembrerebbe l’unico modo per sfuggire al proprio passato e soprattutto all’inevitabile destino che Sara e Juan si sono scelti, che si presenta sulla costa desolata nella forma di un misterioso poliziotto. 
Perché il passato non perdona e quando si pensa di essere riusciti a lasciarselo alle spalle riemerge con la stessa furia con cui il vento del levante “gonfia i tendoni di tela fino a staccarli dall’armatura di alluminio” nel golfo di Cadice. 
Ma a volte persino un vento così furioso come il levante, o come il proprio passato, è in grado di ripulire, di purificare, di portarsi via tutto. E forse lasciare che il passato si abbatta con furia sulla nuova vita che si stanno creando, è l’unico modo per Sara e Juan di purificarsi, di vedere spazzare via ogni cosa, ogni bruttura, ogni violenza, ogni sopruso
Se la trama è intrigante e molto ben costruita, lo stile di scrittura non è certo tra i miei preferiti. Almudena Grandes scrive con una ricchezza di dettagli che a volte trovo quasi esasperante (stessa cosa che ho riscontrato nel romanzo “Entra nella mia vita”, di Clara Sanchez. Sarà un “difetto” delle autrici spagnole?) e che, soprattutto nelle parti descrittive, rende la lettura molto pesante e lenta. Quello che ho apprezzato è invece la capacità di riprodurre, in un certo senso, lo stile narrativo dei classici del 1800 (non so se sia così in tutti i suoi libri!) e le vivide, meravigliose descrizioni dei sentimenti e delle emozioni dei personaggi. Leggerle fa provare una certa empatia nei confronti di Sara, Juan e degli altri coinvolti nelle loro storie. 
È forse questa forte propensione per la descrizione dei sentimenti, quasi come se si volesse far entrare il lettore nelle vite dei personaggi, a giocare a favore della autrice e del romanzo stesso che ci insegna quanto sia importante affrontare di petto il passato, anche quando è terribile, anche quando fa male, e poi finalmente lasciarlo andare per sentirsi ripuliti da tutto ciò che fa soffrire. E solo quando “una brezza estiva converte i nostri gelidi inverni” e un “sacro silenzio chiude le porte per aprire gli occhi” possiamo volare via, anche se “le possibilità sono così poche e le scelte così reali” (Simone Simons).

Chiara Minutillo

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