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mercoledì 4 marzo 2015

"Sesto Vento" di Silvia Tortiglione.


Mi sono spesso domandato cosa occorra per scrivere un romanzo. La vita è varia, non incredibile; a volte si cammina a passi celeri; a volte si riposa con la dovuta quiete. Io non sono un romanziere. Le uniche pagine che ho imbrattato sono il corpus di queste memorie. E temo anche di essere stato fin troppo sincero, giacché allo scrittore spetta il compito di levigare le aguzze punte della realtà. Loro – i romanzieri – scrivono con inchiostro d’illusione e lavano via ogni macchia grazie al cadere della pioggia all'alba. Come riescono i suoni, le paure, gli spasimi ad avere gambe? I romanzieri sono attenti alle porte che sbattono e alla gente che vien fuori, magari ridendo, magari sbraitando; e li riconosci subito, perché sulle labbra dell’artista delle lettere figura un sorriso al primo colpo di vita. 
Ci sono poi scrittori che vanno oltre, coloro che s’impegnano nel cambiare l’ordine del mondo e lo fanno con un’arma suprema, il silenzio. Questi muovono la terra con due frasi, camminando con le mani strette dietro la schiena e il capo alto; la bellezza germoglia dietro a ideali sicuri. Credo ancora sia necessario che il romanziere porti nella sua opera il vento, che è vario e tremendo alle spalle, il vento che t’invita a correre e ti rende dimentico di ora e di qui. 
E di cosa sono frutto le immagini che prendono il via nella nostra mente dopo alcune ore di lettura? Dell’esperienza, forse. Ma trovo sia più probabile che suddette immagini siano nate in seguito ad alcuni istanti di musica che balzarono nello studio dell’artista. Istanti di musica? Non so come spiegarlo. Vedo gli scrittori, quelli veri, alzarsi nel bel mezzo della composizione e ballare, così al passo della polvere e del sole, delle falene e del tormento. Gli istanti di musica sono una forza inaudita che spinge all'amore, questo fuoco che si trova alla base di ogni metafora e di ogni paragone, che si libra sugli artifici donandogli una veste ricca di rose e d’alloro. 
Eppure, una sola cosa è fondamentale per la riuscita di un’opera: saper educare il lettore alla grandezza di valori inattuabili, certo, ma possibili in virtù del fremito che rubano. Se la realtà ci venisse gettata sul viso senza riguardi e senza rivincite, quale educazione ne ricaveremmo? Ne sono esisti di grandi scrittori che con il ticchettio di un orologio (tic toc tic toc) ti facevano partecipe della speranza. Tic Toc e non potevo astenermi dal riflettere che un buon cuore ci tiene in piedi e supera il sangue ormai padrone di ogni giardino.
Quante inutili congetture! Devo ringraziare ancora quella letteratura madre di chimere e di false promesse. No, non false promesse, debiti che aspettano un eroe, qualcuno che muti in azione i meravigliosi precetti di un paio d’occhi che han visto la gioia e la morte e che si sono posati su di un mucchio di pagine bianche. 
Miei cari romanzieri, quando le vostre anime saranno lette da colui o colei in grado di plasmare la vita secondo le vostre norme? Sarà un lettore capace di piangere sulle vostre scene e di parlare sempre della vostra alta memoria, come foste guerrieri di carta. Questo lettore dovrà sbucare da un cumulo di sporche macerie, recuperando uno o due fiori dai quali si spargerà l’invito alle rondini.
Silvia Tortiglione

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