Il matto ondeggia, non ha fretta d'andare o d'arrivare. La sua dimora è l'ovunque; bussa ad ogni porta e, alla sua vista, l'altrui occhio si chiude la palpebra per non vedere, saracinesca abbassata all'ora di punta. Il pazzo è un genio ribelle che ha amputato, con laccio di scarpa, i piedi alla società, che ha dipinto il cubo di Rubik di un sol colore, che ha imparato la vita e come fregarla. E' una Cassandra fetida che mordicchia la ciabatta del padrone e ne mangia gli avanzi sputandoli sul piatto d'oro servito come antipasto in prima serata. Il matto calpesta il frac e ti strappa la cosa di paglia; chiede moneta e sigaretta inchiodando la vergogna su un canterto sbriciolato come il pane sul becco del piccione che sta sulla spalla del pazzo, sempre più in alto di lui, che le sue malattie son ben accette ed infettano meno delle parole del folle. Il matto si tappa le orecchie schiaffeggiandosi il caos sulla guancia mentre il sano lo respira. Il matto ha gli occhi spalancati come fosse uno spirito incatenato, dissacrato e vede l'orrore mentre il sano si disegna il mondo con il pennello incrostato. il matto non fugge alla regola: l'omette perchè compagno di una libertà che l'uomo si nega per amor del parer altrui. Al pazzo basta indossare un sol vestito che l'adorni il personaggio; egli sa chi è quindi lascia misericordiosamente il contorno al sano, spolpandosi l'osso con l'ingordigia di chi si ricorda la fame. Il matto si specchia nel fango, si riconosce ridendo con una consapevolezza che nemmeno la pioggia lava via. Il sano è pedina equilibrata, cavallo veloce, torre inespugnabile, alfiere insidioso ma lo scacco lo fa il matto.
© Maria Francesca Consiglio Writer- all rights reserved.
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