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giovedì 11 giugno 2015

"MONK'S HOUSE: L'ULTIMA CASA DI VIRGINIA WOOLF" di Adele Cavalli



MONK'S HOUSE : l'ultima casa di Virginia Woolf

“ Questo sarà da ora e per sempre il nostro indirizzo”

Esclama raggiante Virginia guardando il marito Leonard che sorride contento.
Davanti a loro una tipica casa di campagna, comoda, immersa nel verde dei prati disegnati da sentieri che si snodano tra roseti e fiori lungo i quali già si vede passeggiare, il pomeriggio.
In fondo una piccola casetta di legno, utilizzata negli anni come capanno per gli attrezzi da giardino, avvolta dai rami frondosi di un enorme ippocastano.
Poco lontano il fiume Ouse.
Ha bisogno di case che le somiglino: “ogni cosa bisogna che sia conforme alle mie abitudini” ama ripetere e delle case si innamorava come delle persone, per il loro carattere e la loro personalità.
Monk' s House davanti a lei piena di sole, di verde, circondata da un frutteto, da un orto, con il giardino confinante con una piccola chiesa, diventerà “convento, ritiro religioso” come lei stessa ama dire.
Non è grande, all'interno un salotto dipinto di verde, la sua camera con una grande finestra da cui si vede il glicine, un'altra camera, la cucina.
Nel salotto accogliente e confortevole Virginia e Leonard vicino al caminetto, amano prendere il tè “con il pane tostato e il miele, e le cose hanno un aspetto più roseo”
Qui leggono e scrivono. Scrive solo lettere e diari.
Sono i momenti preferiti, momenti che dedica a sé, gli unici in cui riesce ad entrare in contatto con la sua parte 'nascosta', il suo mondo segreto a cui permette di riaffiorare, sentendosi libera, così la sua mente può acquietarsi.
In questo modo riesce a trovare l'equilibrio necessario dopo il coinvolgimento pieno di tensioni che la scrittura dei suoi romanzi provoca in lei.
Qui ritrova la calma così come nelle sue passeggiate pomeridiane nel silenzio e nei colori della natura.
Decide di frequentare una scuola di cucina ed è lei a fare il pane in casa che preferisce a quello 'sempre insipido e secco' dei fornai ed anche i dolci occupano il suo tempo, li fa per sé e li manda alla sorella.
Ha tutto ciò che le può servire, fuori, in uno spazio, ci sono le galline e Virginia raccoglie le uova “con un fremito, sono così lisce, con una piumetta o due appiccicate sul guscio.”
Dopo l'impasto e la preparazione nella teglia, asciugandosi le mani in un panno, scrive:
“Sto facendo un dolce, e mi precipito a scrivere questa pagina che mi offre rifugio durante la sua cottura e in attesa di mettere in forno il pane.
Sì... ma dolce e pane hanno fatto si che non scrivessi nulla per due giorni.”
Fuori Leonard si occupa del giardino e a lavoro finito spesso raccolgono more e poi si siedono insieme sulla panchina di legno vicino allo stagno a guardare “rose e crochi che tendono a mescolarsi con i cavoli e i cespugli di uva sultanina”.
Virginia conosce tutti gli arbusti ed i fiori ed ama annotare nel suo diario i nomi e le loro caratteristiche.
Il vecchio capanno per gli attrezzi ora è diventato lo studio di Virginia, 'la sua romantica casetta' come ama chiamarla, avvolta dal verde e piena di luce.
Al mattino esce di casa ed è lì che si ritira a scrivere.
Qui scrive 'Le onde', due anni di lavoro estenuante, il suo romanzo più complesso, che nasce da un' onda, l'immagine che lei dà alla sua malattia.
A me piace pensarla e vederla così come ce la racconta Leonard :
“Virginia trovava gran piacere nelle cose di tutti i giorni, come mangiare, passeggiare, chiacchierare del più e del meno, fare spese, giocare a bocce, leggere”.
E il cognato Clive Bell:
“[...] ho l'ardire di affermare - ed è in effetti ardito l'affermarlo - che la sua era una natura felice.
So tutto di quelle sue crisi di cupa disperazione; aveva dei motivi per essere disperata, considerato che la minaccia della rovina incombeva sempre su di lei ogni volta che indulgeva con eccessivo abbandono alla sua passione dominante - quella creativa.
Scrivere era la sua passione, la sua gioia e il suo veleno. Pure, lo ripeto, la sua era una natura felice e lei fu felice.
Quanto alla sua gaiezza - se può avere importanza - posso dire che i miei figli, da quando furono abbastanza grandi da godere di qualcosa al di là delle loro piccole soddisfazioni animali, amavano più di ogni altra cosa una visita da parte di Virginia. La pregustavano come la più grande festa che si potesse immaginare: […] poteva essere divinamente spiritosa o selvaggiamente bizzarra; poteva riferire i pettegolezzi del villaggio o raccontare storie dei suoi amici di Londra; era sempre incredibilmente piacevole; si divertiva sempre, e noi con lei”.

la fotografia è di un angolo di giardino di Monk's House



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