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lunedì 22 giugno 2015

"Il deserto dei Tartari", recensione di Gianna di Carlo

Giorni fa, nel fare un po' di ordine, nella mia libreria che sta letteralmente scoppiando....cade ai miei piedi..un libro..consumato dal tempo...quasi a voler attirare la mia attenzione poiché era restato, per anni, in un cantuccio, solitario, dimenticato, abbandonato. Lo raccolgo, lo guardo e mi attrae ancora come quando, tanto tempo fa, lo lessi. Inizialmente, con reticenza, poiché la narrazione è molto lenta, senza grossi colpi di scena che possano attrarre il lettore, poi sempre più coinvolta. Diciamo che mi sento un po' in colpa ad averlo trascurato e lasciato a prender polvere per troppo tempo. Questa mia dimenticanza l'ho collegata alla tematica fondamentale dell'autore, Dino Buzzati, ossia "un'attesa di eventi". 
Il libro è il "Deserto dei Tartari". Dal quale emerge, con chiarezza, la tematica dello scrittore: la debolezza umana con le sue paure, l'angoscia della solitudine, la caducità della vita, lo scorrere del tempo. Lo spunto del libro venne a Buzzati, come egli stesso scrisse, dalla sua monotona routine di redattore presso il "Corriere della Sera". Ed è proprio la medesima monotonia che caratterizza la sorte del protagonista..."l'ufficiale Giovanni Drago parti' una mattina di settembre per raggiungere la Fortezza Bastiani..." un borghese qualsiasi, quindi, che parte in un giorno qualunque, in qualità di Tenente, per una fortezza di confine. Tutto normale, quindi,ben presto, tuttavia, una sottile angoscia pervade l'animo del giovane ufficiale il quale, fin dal primo momento, intuisce quale sia la condizione della sua vita futura. Il lacerante distacco dalla famiglia, l'isolamento, le difficoltà ambientali, il senso della vita che gli sfugge sono sottineati dal rapido, inesorabile, crudele trascorrere del tempo. Quel tempo, che non permette all'uomo di riflettere, porta il tenente Drogo ad accumulare gli anni nella solitudine di una fortezza, fra un arido e desolato paesaggio. Un cavallo apparso all'improvviso a rievocare antiche storie di Tartari, di invasioni e di battaglie, una misteriosa nebbia, ombre scure che si allungano dietro il crepuscolo...e, nell'attesa di un episodio di gloria, di un improvviso attacco dei Tartari, si consumano trent'anni di vita. Sull'impresa i soldati della guarnigione puntano tutto il futuro della loro carriera ma, a poco a poco, tutti i personaggi sembrano ridursi ad ombre assorbiti in quell'arido paesaggio. Un paesaggio che, nel libro, assurge a presenza predominante ed allusiva, simbolo muto di quella malattia che è l'attesa. Qualcuno, alla guarnigione, continua a percepire luci misteriose nella notte e, nella speranza che qualcosa accada, invecchia e muore, così come morirà Drago; non di una morte gloriosa ma completamente anonima sul letto di una locanda. La storia è una chiara ed evidente simbogia esistenziale: la solitudine, il tempo che passa..nell'inutilita' dell'esistenza. L'attesa e la rinuncia rappresentano, quindi, i temi cardine del romanzo con un pessimismo esasperato ed una rassegnata accettazione che annichiliscono il lettore.
Gianna

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