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sabato 6 giugno 2015

"MAI SI RICORDANO I SILENZI" di Mirella Morelli



MAI SI RICORDANO I SILENZI.
Il difficile era la fatica di rimanere nel presente: come figlia, vivevo e sospiravo di ricordi; come madre, vivevo e anelavo gli eventi del futuro.
Un anello di congiunzione, ecco quello che ero. Uno splendido, terribile anello di congiunzione in quello splendido, terribile cerchio della vita.
Mia madre mi mancava. 
Difficile dirlo senza temere la retorica, difficile perfino dare a quel pensiero la giusta e serena importanza. 
Mi mancava nelle sue telefonate serali, sebbene ogni volta il trillo del telefono che l'annunciava era sempre accompagnato dal mio sbuffo quasi seccato. Mi mancava allorquando scoprivo di aver saltato un anniversario familiare, laddove lei era sempre pronta a ricordarti i tuoi doveri parentali. Mi mancava nelle infinite discussioni coi bambini: nei loro capricci, nelle loro pretese, nei loro esigenti momenti di gioco che lei riusciva sempre a mostrarti come bisogni e necessità mal compresi...Mi mancava nei silenzi.
Chissà perchè, di una madre si ricordano le parole dette a proposito ed a sproposito, a te o a chi per te, con irruenza o con pacatezza, di giorno in giorno o in uno sbotto improvviso....Ma mai, mai si ricordano i silenzi.
Perchè i silenzi di una madre sono terribili, più di qualsiasi parola.
Quella volta in cui sono rientrata all'alba, ed avevo poco più di diciott'anni, e mi sentivo adulta e padrona del mondo: lei era dietro la porta, seduta sul divano dell'ingresso, con lo sguardo fisso sulla parete a ricordarti che sì, la giovinezza ha i suoi diritti, ma la paura dell'imponderabile ha una casa esageratamente grande nell'animo di una madre che aspetta il tuo incolume ritorno...E quell'altra volta, quando quello che doveva essere l'amore tempestoso della mia vita ai suoi occhi esperti si rivelava smaccatamente e inequivocabilmente un ridicolo episodio di leggerezza neanche da commentare....
Mi mancava. Mi mancava ovunque, mi mancava in quella maniera feroce che può solo paragonarsi all'impossibilità di usare uno dei tuoi bracci allorchè te lo ingessano, o come quando ti imbavagliano nel sogno e tu cerchi di urlare, di urlare...Mi mancava come se non fosse naturale che una madre muoia e tu sei costretta a cavartela da sola, sempre comunque e dovunque, e chi l'ha scritto che una madre debba morire prima o poi?
Ecco, quello era il dramma dell'esistenza, quello era il cruccio del grande cerchio della vita: che dopo aver fatto conoscere il paradiso di quelle braccia, di quegli sguardi, di quel conforto, ti diceva che era naturale perderli. E non lo era per niente, anzi. Era e rimaneva quella ferita mai rimarginata che grondava pus e sangue, quello strappo che invano cercavi di ricucire con altri fili e altri aghi e altre suture, quella cicatrice che quando repentinamente cambiava il tempo ancora si arrossava e faceva male...
Non ci si rassegnava mai, no, a quel dialogo di parole e di silenzi interrotto. 
E non contava che fosse un dialogo iniziato fisicamente in un grembo; o che dapprincipio fosse la stanza di un banale orfanotrofio dove due sguardi sconosciuti, e già adulti, si erano per la prima volta abbracciati; e neanche che quel dialogo fosse partito tra i sussurri incerti di un ovaio bizzoso verso la calda speranza di una asettica provetta: dialogo, era, dialogo alla ricerca del per sempre.
Mi mancava mia madre, come poteva mancarmi l'anelito all'eternità che c'è in ogni essere umano allorché decide in qualsiasi modo di farsi genitore, e allorchè accetti di essere figlio, sotto qualsiasi forma.
Accettare la caducità dell'esistenza per fare il grande salto verso un amore più esteso: quello per la propria specie, per il genere umano di cui solo eravamo un anello della catena: questo, forse, era l'estremo e generoso insegnamento che da quell'atroce senso di mancanza mia madre mi faceva.

MIRELLA MORELLI

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