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lunedì 6 luglio 2015

"IL SORRISO TRISTE DEI GIRASOLI" di Gheorghe Liliana


IL SORRISO TRISTE DEI GIRASOLI

Soffro d’insonnia ed ho trovato, dopo molti anni, il modo per superarla. 
Mi sono letteralmente appropriata dei libri e delle parole.
Approfitto dell’insonnia per scrivere.
Sto per affogare, ma nessuno se ne accorge. 
Sono con l’acqua alla gola e mio figlio ha fatto gol con la cacca. Dice Lui, lo psicologo.
Povero figlio mio …
Ed io che me la ritrovo sempre in faccia!
Ormai mi pesa come l’insonnia il giorno dopo.
Sto contando i giorni per vedere la notte.

I girasoli non sorridono mai.
A noi che li guardiamo sempre di fretta sembrano allegri.
Una marea di sorrisi illuminati dal sole forte e caldo. Tutti insieme, festosi e composti. 
Quando passa il vento, si inchinano a salutarlo: “arrivederci, signor Vento!”
Quando sorge il sole, lo fissano a bocca aperta: “buongiorno, signor Sole!”
E quando la tensione immobile della calura si attenua fino al sonno profondo: “ben arrivata signora Notte!”
Sono educati, ma non sorridono mai. 
Mi è capitato, una volta, di scorgere per un attimo un girasole solitario sul ciglio della strada, subito dietro una curva. Alto, robusto, con le radici ben piantate nella poca terra arsa e nell’asfalto bollente di fine luglio. 
Pregava. Forse mi pregava, forse voleva dirmi qualcosa. Forse tentava di dire qualcosa a chiunque passasse di lì sempre troppo di fretta per fermarsi. 
Con le braccia piegate verso l’alto, con l’intenzione di giungere le mani come a pregare ancora, con la pesante corolla protesa in avanti, quasi a uscire dall’immobilità, sembrava un bambino tetraplegico, nello sforzo, ancora casto e sincero, di uscire da un corpo senza più anima.
No, non sorridono.
Sono complicata e ho capito anche perché.
Disturbo da stress post-traumatico.
Dividere il capello in quattro.
Fare una psicoterapia oppure quello che mio marito considera complicarsi la vita. 
Cerco di far luce nella vita.
Schierarmi oppure chiarirmi.
E’ per questo che mi sono messa a fare le pulizie.
Centro d’igiene mentale.
Voglio indagare sull’ Io e a che distanza mi trovo da Lui. 
La depressione mi ha fatto capire tante cose.
Che c’è una parte di noi che non accetta il compromesso, volevo capire tutto e subito per rimediare i danni.
Avevo fretta di risolvere, di circoscrivere la ferita per poterla accettare e curare.
L’ ansia cresceva perché la paura era incontrollabile.

Non sorrideva affatto il girasole solitario.
E’ la moltitudine che li rende allegri e vivaci.
La moltitudine nasconde e confonde.
A volte fa credere cose che non esistono. 
Noi vediamo un mare giallo e verde ondeggiare sotto la spinta gonfia del vento e invece c’è il nero assoluto.
Un buco profondo di tristezza e perduta malinconia.

Ereditarietà, familiarità, genetica, disturbo bipolare, schizofrenia, suicidio, trauma, terremoto, sopravvissuto. 
La paura delle parole.
Stavo sempre più male, andavo addirittura da più psicologi e psichiatri contemporaneamente per capire le mosse giuste.
Ho comprato i libri che aveva il mio psicologo nella sua libreria; cercavo su Internet la bibliografia dei grandi psichiatri ed ho riempito in pochi mesi tutti i miei scaffali con i libri che avrei dovuto comprare in quindici anni di soggiorno in Italia.
Mettevo un po’ paura con questa mia fretta di star meglio. 
Dipendeva da me cambiare certi schemi. 
Non sapevo come fare. 
Mio marito diceva che lui, lo psicologo, si stava costruendo una casa con i nostri soldi.
Non capiva che la casa la dovevo costruire per me, per il bene della nostra famiglia.
Solo il Signore sa quanto stavo male e quanto volevo cambiare!
Perché io la casa non l’avevo, anche se vivevo dentro una casa nuova, comprata da poco tempo.
Avrei fatto di tutto per dimenticare il passato e cambiare il presente.
Più passava il tempo invece e più pensavo a quello che ho passato.
A come ho ereditato il male e a come dipendesse tutto da me. Che responsabilità! 
Che peso, che vuoto, che perdita, che impegno! 
E quanta acqua in bocca!
Siamo abituati a guardare in superficie, sempre di fretta, senza più il gusto di soffermarsi sui particolari, sulle espressioni dei volti, sui colori tenui delle emozioni, sulle trame delle vite di coloro che ci stanno accanto. Che urlano in silenzio, che piangono, che ridono, che hanno una gran voglia di contatto, di connettersi, di sentirsi in sintonia con qualcuno. Almeno per un po’.
Occorre sussurrare la pazienza; occorre infondere la fiducia prima che la fede, perché la fiducia è più della fede.
Occorre stare insieme ed aspettare che il vento passi. Perché passa.
Leggevo che un modo per dimenticare le cose è ricordarle.
Mi sento in dovere di ricordare quello che mi è successo e perché disturbo da stress post-traumatico è la diagnosi del mio male.
Perché perdo il controllo delle lacrime? Vengono giù come se volessero lavare il viso.
Un volto raggrinzito dal tempo con lacrime da bambina.
Sono mortificata anche per l’effetto che fanno sugli altri.
Gli Altri!
Sono mortificata!
Nati per connettersi. Tutti noi siamo nati per connetterci: uomini, donne, bambini, neonati, vecchi, buoni e cattivi, cialtroni e gente per bene. Siamo programmati per condividere e intuire l’un l’altro intenzioni, emozioni e stati d’animo, per capire come si sente chi ci sta vicino.
Gli Altri!

GHEORGHE LILIANA



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