Io, madre di un miracolo! Lume di una candela accesa dentro un obitorio!
Avevo portato dentro, Luce, per 27 settimane. Il suo battito lo sentivo sempre vicino al cuore, perché desideravo tanto Luce.
Era la femmina tanto amata dopo due maschi. Era quello che io aspettavo dalla vita.
Femminista fino al midollo avevo sempre desiderato una femmina.
La immaginavo con le gonnelle, con le treccine, con i fiori tra i capelli rossi. Contavo i giorni, le settimane e quel giorno avevo faticato più del solito con i ragazzi, le buste della spesa e strofinare tutte quelle stoviglie prima di Pasqua.
Non ero io, quando, andata al bagno, ho visto le prime gocce di sangue.
Non mi sono allarmata dato che mi sentivo bene. Ho continuato a portare quel grembo che mi rappresentava. Madre! Madre di due maschiacci, felice di crescerli ed educarli come dolci maschi che si sarebbero presi cura di Luz, di quella donna che stava per nascere.
L’avrei chiamata Luz, luce splendente che riscalda.
E’ con quella idea in testa che sono andata, con le doglie, al pronto soccorso. Non aspettavo altro che vederla. Era un po’ presto per farla nascere, ma lei voleva uscire. E allora, perché no? Che venga la luce!
Invece, tutto in un tratto mi dicono che è morta.
Come morta ? Io la sentivo respirare! La sentivo viva. La volevo viva!
Non potevo pensare di partorire una bambina morta. Non sapevo dirlo a me stessa.
E allora mi sono persa. Persa nel buio della tristezza, persa nel buio della placenta che si distacca, persa nel vuoto che rimane dopo un bel sogno.
Orfana del mio sogno, circondata da quella famiglia che aspettava la luce, trovai un pensiero come una via d’accesso al futuro.
E se sbagliano?! Se non sentono il battito, non vuol dire che è morta. Ma solo che magari, non sono stati capaci di sentirlo.
Sono venuti a prenderla per portamela via, ed io, incapace di fermarli, non piango. Non ho mai pianto. Lei era rimasta lì, dentro di me, luce che vive di luce …
Quando il telefono squillo, sapevo che era lei che mi chiamava. Una madre sa, sa fino in fondo, conosce la fine. Mi doveva portare all’obitorio.
Era rimasta sola, lei venuta come una sorpresa del destino a illuminare la mia vecchiaia. Dopo l’incidente mi era rimasta solo lei. I figli maschi gli ho avuti per 30 anni e poi all’improvviso la voglia del destino. Morti perché trovatisi insieme su quella autostrada piena di ghiaccio, davanti a quella morte vagante che era alla guida dell’auto che gli ha tamponati.
Mio marito, venuto a mancare da poco tempo, mi aveva lasciata come una rana in autunno. Vecchia bisbetica sempre alla ricerca del riparo. Pronta a ibernare con la pancia piena dall’amore di figlia.
L’obitorio per me è lo spazio della rinascita. Perché Luz, lo dicevo sempre, è venuta alla luce per due volte, a distanza di 10 ore, in un obitorio.
Da quel giorno, non mi sono mai sentita sola. Avevo avuto la conferma di Dio nella voce del guardiano che ci disse che ha sentito il pianto nella barra. Ed io addolorata, non sentivo fatica. Mi sono affrettata, lasciando una striscia di sangue sul pavimento, a vedere il miracolo.
La mia piccola piangeva! Piangeva da dentro la barra! E io allora ho pianto, ho pianto di gioia immensa. E piangevano tutti come in un obitorio, ma stravolti di meraviglia.
E’ come tornare a casa.
Ripassare la vita nell’attimo del passaggio da una vita viva a una vita morta è una ardua impresa. E’ come capire il senso di quello che si lascia per sempre. Senza la possibilità di rimediare.
Ma ne sono convinta che con le stesse forze anche i morti hanno la loro parte di coinvolgimento nella vita che segue.
Sono loro che indicano la strada e che ci vengono incontro nel passaggio nell'al di là.
Ma sono sempre loro che ci indicano la strada per la nostra salvezza terrena.
GHEORGHE LILIANA
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