Logo blog

Logo blog

sabato 11 luglio 2015

"IL SOLE OSCURO" di Irene Barbagallo

STRALCIO

IL SOLE OSCURO

Stefano va a prenderla a scuola tutti i giorni. I compagni li guardano mentre camminano in fretta, si meravigliano di vedere Giada con un ragazzo, spettegolano come al solito.
«Non ho voglia di venire a casa tua».
«Andiamo in un bar. Dobbiamo parlare».
C’è un locale, due isolati più in là, frequentato dagli impiegati durante la pausa del pranzo.
«Ti va un toast?».
Lei ha ancora lo zaino sulle spalle, lo sfila con sgarbo, lo sistema sotto la sedia di plastica bianca. Solleva le spalle, un gesto di fastidio, la bocca che si serra in una smorfia di indifferenza.
Il bar ha i tavolini fuori, in uno spiazzo allargato del marciapiede. Le sembra di stare sulla strada, le macchine passano a pochi metri da loro sollevando smog e polvere. Non piove da settimane, sull’asfalto si è formato uno strato di sporco appiccicoso.
«Domani fai il test di gravidanza. Te lo faccio trovare da me».
Giada morde di malavoglia il suo pranzo. Non ha nessuna voglia di mangiare, tutto scende frenato, senza sapore. Guarda quell’orecchino sul lobo sinistro e vorrebbe strapparlo, tirarlo giù, tagliare quel pezzo di carne molle. Sente di odiare quel ragazzo più grande di lei con un passato alle spalle, e di non poterne fare a meno. Due sensazioni opposte, la rivalsa e il bisogno di aiuto, il rimprovero e l’urgenza.
Stefano strappa la linguetta della lattina di coca-cola, il gas schizza fuori con una piccola esplosione. Anche Giada si sente esplodere dentro, pensando alla risposta che avrà domani. Dalla lingua sale sul palato un senso di pienezza bagnata, lo stomaco si rivolta, ha un conato di vomito ributtato giù. Getta nel piattino il mezzo panino che le è rimasto in mano.
«Non mangi più?».
«Ho la nausea. Sai la nausea che…».
«Se è così vedremo come fare».
Non si conoscono da molto e Giada non l’ha ancora inquadrato. È uno che non si può classificare in un genere. Nessuno si può etichettare come se fosse una marmellata di fragole o di pesche. Ci sono persone che sorridono ai quattro venti, hanno sempre l’espressione dei perfetti adattati e, quando restano da sole, si domandano che ci stiano a fare. Altre affermate, di successo, che hanno accumulato fallimenti nella vita privata. Portano maschere per nascondere agli altri e a se stessi i propri vuoti. Le viene in mente suo padre, che un giorno le disse:
«Nessuno è buono o cattivo. Ci sono le vie di mezzo in tutti. In ciascuno di noi c’è del grigio».
Stefano tira su il colletto della camicia, si gratta il petto senza peli. Lei pensa che si depili. Alcuni uomini lo fanno e non ha mai capito perché.
«Sono nata sotto una cattiva stella», un anatema che si lancia da sola.
«Anche la mia è stata stronza. Non ho i genitori. Li ho persi due anni fa in un incidente stradale. Da allora ho cambiato vita».
«Come?».
«Non me ne frega più niente di niente. Siamo niente».
Il niente. È stato un niente anche quella sera, mezz’ora di alcol, di fumo, di sesso senza emozione. 
Hadrian è morto per un niente. Davvero tuffarsi nel mare è stato un niente, un pugnetto di minuti e lui che non è più niente.
Non è vero che le persone sono grigie. Lei era tutta colorata, prima. Suo padre era la tavolozza da cui attingere le sfumature della vita, la luce del sole che si rifrange dopo un acquazzone. Forse nemmeno la morte è uguale per tutti. Dipende da come si è vissuto, da quello che si lascia negli altri.
Il niente che apre voragini.

IRENE BARBAGALLO


Nessun commento:

Posta un commento