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mercoledì 9 settembre 2015

"Vite di Madri" di Emma Fenu, recensione di Marina Litrico


Ed ecco il commento, che inizia con qualcosa da catalogatore. 
Ho finalmente in mano il libro di Emma Fenu e già solo guardandolo scopro qualcosa di lei, poco, perché lei è segreta e schiva forse proprio quando più parla: è così che depista. Il volume è di piccolo formato e non molto spesso, centosessanta pagine, più due che non si contano, in tutto ed il colore è bigio, un bigio medio scuro. Ho scoperto che il mio esemplare ha una copertina diversa da quella che avevo visto, col titolo in rosso. Questa ha le scritte tutte in bianco e l'immagine è incorniciata tra bianche righine, quasi fosse uno specchio, da lì mi guarda seria una faccetta lunare che stringe al petto sei piccole replicanti materne e mamma e figlie, in abiti turchini, sembrano bambine e bambole di porcellana, come questa fragili e delicate. 
Volto il libro ed Emma mi sorride. Leggo: Dodici storie e penso "Dodici vite". So che quando aprirò e inizierò a leggere non potrò smettere se non alla fine e che qualcosa cambierà. 
Sì, perché questo è un testo che non consente di restare uguali a quel che si era prima di rimanere intrappolati nella sua magia, che poi è quella più antica del mondo: quella magia, quel mistero che si chiama "Donna". L'essere bimbe è un attimo nell'esistenza, poi, quando il flusso rosso arriva, siam subito donne e la bimba si rincantuccia, si nasconde in un angolo dell'anima e a volte, forse troppe volte, piange. Sarà il senso d'onnipotenza del bambino che ci rende alla bisogna capaci di diventare più grandi di noi stesse, di farci da minuscole, immense? 
Eppure tante volte la vita ci mette a dura, durissima prova: malattie, abusi, soprusi, dinieghi, tagli d'ali, servitù varie imposte e subite da secoli e ancora non è finita e talvolta per nostra stessa colpa. Le dodici storie le snocciolo una dopo l'altra con cura, non ce n'è una che non mi dia un dolore, che non susciti echi, che non faccia risuonare una corda remota. La dolorosa conoscenza appartiene alle donne, è retaggio comune, ancestrale, forse risale alla mela, il frutto proibito che Eva raccolse e porse ad Adamo, commettendo peccato. Ecco, "Talvolta è opportuno, dolcemente, assolversi" insieme all'altra metà della mela, che in questo libro di madri non è assente, anzi ha ruoli decisamente attivi anche quando in qualche storia non c'è. Un buon libro buono, Emma, un libro che ancora una volta afferma, per dirla con Ruggeri, che "... Siamo così, dolcemente complicate" e complici, aggiungo. Ho finito. Ego valeo si valeas.
Marina Litrico

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