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martedì 7 aprile 2015

"I pascoli del cielo", recensione di Chiara Minutillo.


Sono passati settantacinque anni da quando, in Italia, venne pubblicato un libricino di poco più di duecento pagine, intitolato "I pascoli del cielo". Più volte definito romanzo, questo piccolo capolavoro di Steinbeck è in realtà un insieme di brevi racconti che hanno come filo conduttore una ridente valle californiana che "si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti. Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi". 
In questo piccolo mondo così serenamente bello si intrecciano e si alternano le esistenze di vari personaggi alla ricerca di una vita da condurre in pace, a contatto con la natura, lontano dalle grandi città. La presentazione di ciascun personaggio è un piccolo ritratto ricco di vita che, unito a tutti gli altri, presenta un affresco di vicende caratterizzate dalla drammaticità della perenne lotta contro il destino. Come se non fosse possibile avere qualcosa di buono senza dare dell'altro in cambio, gli abitanti della valle sono obbligati, o si sentono obbligati, a pagare il prezzo per il privilegio che hanno di vivere in un paradiso terrestre. Così ad, esempio, la signora Wicks, resasi conto della bellezza della figlioletta appena nata, invece di provare gioia, si lascia prendere dallo sconcerto, perchè "la bellezza di Alice era troppo straordinaria per non avere qualche inconveniente. I bambini belli finiscono molte volte per diventare brutti uomini o brutte donne". Non è da meno la signora van Deventer, la cui vita "si svolgeva sotto il peso di un sentimento acuto e perenne di tragedia". Personaggi, questi di Steinbeck, presentati con un realismo tale che risulta quasi impossibile non sentirli vivi, accanto a sè, con le loro paure e la loro ingenuità. La prosa di Steinbeck, però, è intrisa anche di sarcasmo e ironia, di critica nei confronti della società prevaricatrice e di attenzione verso l'umiltà della gente di campagna, la semplicità di chi è "diverso" e di chi, talmente preso dalla ricchezza del sapere, non si rende conto della povertà fisica. La grandezza di alcuni personaggi viene di gran lunga superata dalla piccolezza di altri, dimostrando che nessuno è mai banale, che ognuno ha il proprio posto, indipendentemente dal suo ruolo. La storia che Steinbeck racconta è la storia di decine, di centinaia di persone, facenti parte della società americana dei pionieri, in cui grandi fortune si mescolavano, spesso, a grandi miserie. Uno spettacolo teatrale di cui Steinbeck ci invita a divenire spettatori per guardare, un poco, al passato e ad un'umanità che solo apparentemente non esiste più.
Chiara Minutillo

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