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martedì 15 marzo 2016

"LA CAVRA DEL ZAMBEL" di Nadia Campanelli



TRATTO DA "FILOMENA E LE ALTRE"
Il racconto del ricordo

"La cavra del zambel"

Quell'estate restò nel ricordo di tutti come la più calda dall'inizio del secolo. Non pioveva da quasi un mese e noi, che coltivavamo la campagna, non dormivamo la notte al pensiero che il raccolto si sarebbe sicuramente seccato. 
I campi che avevamo in affitto si trovavano al di là del cimitero e in essi mio padre e i miei fratelli ci passavano le giornate, dall'alba al tramonto, con la schiena piegata sulla terra che ci dava di che vivere. Io ero poco più di una bambina, ma ciò che accadde quella sera di luglio non l'ho più dimenticato.
Durante la cena i miei genitori non fecero altro che parlare della secca che si protraeva da troppi giorni; la mamma era disperata, perché pensava che avremmo perduto tutto il granoturco e non ci sarebbe stata farina da vendere e polenta da mangiare. Mio fratello, il maggiore, pur di non rimanere senza polenta, la tranquillizzò dicendo che quella sera, alle nove in punto, quelli del consorzio avrebbero fatto scendere un po’ d'acqua dalla valle Trompia e, anche se non era destinata ai nostri campi, lui l'avrebbe incanalata lo stesso. Si sapeva che, di nascosto, la prendevano anche gli altri coltivatori e lui non era così stupido da rispettare alla lettera le regole, se si rischiava di perdere tutto e di non mangiar polenta.
Quando si fece buio, la mamma lo accompagnò nel campo e raggiunse il canale dal quale avrebbero attinto l'acqua. Ciò che stavano per compiere quei due era considerato un furto bello e buono!
Ogni contadino aveva un giorno stabilito per prelevare l'acqua e doveva rispettare quanto era stato fissato dalla norma. 
Per noi era questione di vita o di morte, e in nome della salvezza del raccolto, si poteva commettere anche questo peccato. Dio avrebbe capito e perdonato!
La mamma raggiunse la chiusa e l'aprì, l'acqua incominciò a scorrere lungo il fossato che attraversava le nostre terre e mio fratello la guardava arrivare come fosse una benedizione.
Suonarono le undici quando il cielo divenne nero come il carbone e i primi lampi si accesero dietro le colline di Collebeato. La mamma camminava a fatica e non sarebbe certo riuscita a correre in fretta a casa, per lei non c'era tempo da perdere se voleva arrivare asciutta; mio fratello si sarebbe fermato ancora un po'.
La mamma, che temeva i lampi e i tuoni, si incamminò di buona lena, come meglio poteva. Mio fratello si mise un sacco in testa e cercò di completare l'opera facendo arrivare ancora dell'acqua. Il temporale si avvicinava sempre di più. Suonò la mezzanotte quando incominciarono a scendere i primi pesanti goccioloni e lui capì che era ora di rientrare. Strada facendo, nel buio tagliato da lunghi serpenti di fuoco, proprio in prossimità del cimitero, dove si ergeva alto e severo il cancello di ferro, gli apparve, in un rapido lampo di luce, un corpo appeso alle sbarre.
La paura fu talmente tanta che non ebbe nemmeno la forza di gridare. Un morto stava scappando dal camposanto, non trovò altre risposte, e quella fu la convinzione che lo perseguitò fino al suo rientro a casa.
La pioggia si era fatta più fitta e lui, bagnato fradicio, nella sua corsa disperata tra i sentieri nei campi cadde più di una volta.
Quando finalmente entrò in cucina, la mamma si spaventò nel vedere il terrore nei suoi occhi. Tremava come una foglia, sbatteva i denti e non riusciva a parlare. 
«Che ghét, che gh'è sücès, t'han vést a robà l'aqua, parla, rispond a la to mama».
Mio fratello guardava nel vuoto e non pronunciava parola.
La mamma alzò la voce e alla terza richiesta di spiegazioni svegliò tutta la famiglia che dormiva da ore.
Io mi alzai e arrivai sino alla porta della cucina. Nel torpore di quel risveglio inaspettato, mio fratello, così conciato, bagnato e infangato dalla testa ai piedi, mi fece molta impressione, ma rimasi in silenzio nell'attesa che succedesse qualcosa e che finalmente riuscisse a raccontare cosa veramente gli fosse successo.
«Ensoma, parla, fam mia sta mal! di a la to mama cosa t'è sücess, sintet zo da brao…».
La mamma gli versò un bicchiere d'acqua e lo convinse a bere. Dopo aver inghiottito due sorsi d'acqua, con una voce non sua, disse: «Ghó ést en mort rampegat söl cancel del camposanto che 'l vulìa scapà föra, mè se lo sintìt de dré fino a ché; varda, varda se l'è lé de föra?».
«Di mia sö stüpidade, i morcc i scapa mia dal camposanto, i sta là, per semper. Te edarét che ghe sarà 'na spiegasiù, la pora del temporal la fa dei bröcc scherz, dai süghet zó e po endóm töcc a dormer».
«Té, tè me credet mia, ma mé lo ést, lo ést…».
Dopo quella notte mio fratello rimase a letto alcuni giorni con la febbre alta, tanto che la mamma, seriamente preoccupata, chiamò don Giacomo perché lo benedicesse e si facesse confidare ciò che forse si teneva ancora nascosto dentro.
Il prete ascoltò il racconto di mio fratello e anche lui gli spiegò che, pur credendo nell'aldilà e nei miracoli, era certo che i morti, da quando c'è il mondo, non sono mai scappati dalle loro sepolture e tanto meno scavalcando un cancello alto e di ferro pesante. Sicuramente c'era una spiegazione e lui avrebbe indagato per conoscere la verità.
Lo stesso giorno, don Giacomo, nella funzione serale, raccomandò alle preghiere dei fedeli la salute di mio fratello e raccontò quanto aveva potuto sapere di quella strana notte di temporale.
Alla fine della messa il guardiano del cimitero raggiunse il prete in sacrestia e gli confessò che una sera, nel chiudere il cancello del cimitero, si era dimenticato di mettere al riparo la capra che solitamente lasciava pascolare tra le sepolture, perché lei era brava, brucava l'erba e faceva sì che non crescessero alte le sterpaglie. Quella sera, certamente, la sua Geppa era rimasta chiusa dentro nel cimitero e come ogni essere sulla terra, si era spaventata per i lampi e i tuoni del temporale e non trovando un posto dove nascondersi, sperava di scappare scavalcando il cancello…
Il mistero era svelato e quando si seppe la verità, il malato guarì e ritornò nei campi a lavorare.

Questa storia è vera e a Mompiano chi ha una certa età la ricorda ancora e ogni volta che qualcuno racconta della cavra del zambel, senza oss e senza pel…, non può che pensare alla macabra visione che ridusse quasi in fin di vita il mio povero fratello. 

Qualcuno asserisce che non bisogna fidarsi dei guardiani del cimitero, sono persone strane, parlano di più coi morti che con i vivi…
un abbraccio.

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