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lunedì 29 dicembre 2014

"Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci. Recensione di Domizia Moramarco.


Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci: la grande responsabilità regalata alla donna di scegliere, consapevolmente, di dare la vita.


Sentire una vita cominciare a palpitare nelle più intime cavità profonde del proprio ventre e riconoscere che la decisione di darla al mondo possa essere o un torto o un regalo … chiedersi se sia giusto cominciare a spiegare a un essere che non ha ancora consapevolezza di esistere che il mondo è fatto di brutture e di malinconie … Sono queste le domande che si pone Oriana Fallaci all’inizio della missiva toccante e allo stesso tempo provocatoria di Lettera a un bambino mai nato, dalle pagine caratterizzate da uno stile altalenante che raggiunge ora momenti di crudo realismo, ora di alto lirismo.
Le critiche sono rivolte a sé stessa in prima persona, a una donna che vede sconvolgere la propria esistenza fatta di una libertà da conquistare con le unghie sul lavoro, nella vita privata e nel mondo degli ideali scevri dalle costrizioni morali di un Paese, l’Italia degli anni ’70 alle prese con le prime ribellioni femministe, dalla tradizione bigotta e conformista.

Il tono con cui la lettera inizia è riflessivo ed esistenzialistico. Oriana Fallaci si dice

Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.

Alla futura madre preme infatti capire se scegliere di mettere al mondo una vita possa giovare al nascituro. “ … e se nascere non ti piacesse” si chiede nella prima pagina “E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando – Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?”

La scelta della vita intesa come la preferenza al niente, “perché il nulla è peggiore del nulla” si impone con forza sin dall’inizio e le riflessioni strettamente personali si allargano presto a una dimensione che va al di là dell’intimità del singolo. La protagonista, di cui non si conoscono nome, volto o età, non si limita infatti a parlare della sua condizione di donna single che decide di allevare un figlio senza l’appoggio di un uomo accanto, sposta invece sin da subito l’attenzione su questioni più esistenziali, prima fra tutte, la differenza fra i sessi.
In una società in cui il genere maschile per secoli ha imposto la sua volontà, nascere donna può rivelarsi un’avventura affascinante


che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna […] avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E’ solo un diritto fra tanti diritti.

A differenza della donna, l’uomo è infatti più agevolato dalla società nel poter imporre le sue idee, meno soggetto al giudizio e agli insulti. Tuttavia Oriana Fallaci riconosce che nascere uomo è pur sempre una fatica in una realtà in cui i sentimenti devono essere nascosti e la forza deve essere sempre ostentata. Se il bambino che nascerà dovesse essere un uomo, l’autrice si augura sia dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuole bene, spietato con chi ti comanda.

Così come l’esserino che giace e si fa spazio in lei schiude i suoi petali alla vita settimana dopo settimana, così l’autrice si rinchiude nel suo io più interiore per fare chiarezza su profonde verità. Con lucida razionalità realizza che l’amore è un concetto a cui non si può attribuire un significato chiaro, che la libertà è un’ingannevole illusione, la famiglia una menzogna, la sopravvivenza una violenza, il domani un imbroglio senza fine.

Il lungo e drammatico monologo si fa realistica confessione di una donna spaventata e sconvolta di fronte alla scoperta di essere madre, il lettore non si aspetti perciò di leggere pagine condite da zucchero e miele, si prepari piuttosto a immergersi in un mondo fatto di incubi, angosce e amare considerazioni, come solo l’esistenza umana può essere, con tutte le sue ambiguità e che nonostante tutto, nell’amaro epilogo, dopo il tormentato processo interiore in cui viene giudicata ora colpevole ora innocente, si disvela in tutta la sua prorompente verità: l’amore per la vita.

Le cento pagine che compongono Lettera a una bambino mai nato sono dunque il grido di una donna che legge, scava e rivanga dentro sé stessa, alla ricerca di una risposta sentita di fronte alla scoperta della maternità, un’esperienza che viene guardata in faccia nella sua crudeltà, in maniera sincera, lontana da ogni sdolcinatezza a cui siamo abituati a pensare quando associamo l’idea di madre a un figlio. Le pagine di cronaca pullulano di eventi drammatici, di tragedie consumate fra le quattro mura di una famiglia definita modello agli occhi di tutti. Forse viene da chiedersi se tutti, prima di decidere di mettere al mondo un figlio, si interroghino coscienziosamente su quello che li aspetta e se davvero coloro che stanno accanto a donne all’apparenza così forti e indipendenti, siano in grado di percepire lo stato di disagio esistenziale che le assale quando cominciano a misurarsi con un ruolo così importante e spesso devastante, qual è quello della maternità.

Un libro da leggere solo se davvero si pensa che la maternità sia un diritto a cui tutte le donne non vogliono e non possono sottrarsi non perché una qualsivoglia Legge superiore lo imponga, ma perché si decide di realizzarlo volontariamente e con assoluta consapevolezza, nella speranza che la società possa fungere da supporto a una decisione così importante.
Per concludere, mi sorge il dubbio che dato che la questione della maternità nel nostro Paese, nonostante si siano fatti passi avanti, non sia ancora del tutto dispiegata nella sua coerenza ed efficienza, Lettera a un bambino mai nato possa suscitare ancora sdegno e polemiche da parte di una comunità che resta vittima di atavici preconcetti sulla questione. Spero vivamente che i lettori che decideranno di intraprendere questo viaggio “libresco” si imbarchino nell’impresa ben equipaggiati di un’ampia apertura mentale.

Domizia Moramarco

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