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martedì 3 maggio 2016

"IL CERCHIO" di Anna Fresu

IL CERCHIO

Lo so, ci sono giorni in cui mi dimentico, ci sono giorni, ore, che dimentico. Non oggi. Oggi sto qui seduta sul balcone di una casa, la mia. Forse. Sento la voce di un uomo, la voce di una donna. Quell’uomo è mio marito. Da ieri? Da trenta, quarant’anni? Ho perso il tempo. O è il tempo che ha perso me. Non mi è mai importato il tempo. Non l’ho mai contato. So che una volta perdevo il sangue per qualche giorno, una volta al mese, mi dicevano. So che lo sapevo, che lo ricordavo. Ci sono stati mesi in cui non l’ho più perso. Nove, dieci? Mesi in cui il mio corpo cambiava, diventava più morbido. La mia pancia cresceva. Poi più. C’era un bambino, una bambina, attaccato al mio seno grande pieno di latte. C’era un calore strano, come una dolce malattia. Poi c’era una faccina buffa, occhi pieni di risa, occhi pieni di lacrime, mani piccole lisce lisce che cercano che stringono.
C’è uno sguardo serio, preoccupato, mani sottili che pettinano lentamente i miei capelli lunghi. Voce di donna che sussurra, la voce che parla con l’uomo. Voce di bambina che dice “ Non tagliarti i capelli, mamma, voglio pettinarteli, farti la treccia quando saranno bianchi”.
C’è una donna seduta davanti a me, ha una treccia bianca avvolta intorno alla testa, gli occhi celesti quasi due fessure che mi guardano. Non mi chiedono nulla. Mi accolgono. Vorrei muovere la testa, lo sguardo. E se poi se ne va? È già successo altre volte. Forse. Sorrido, lo so che non c’è, là fuori. Ma c’è, per me. È mia madre. Viene spesso a trovarmi di questi tempi. Se lo dico a voce alta mi guardano strana, si scambiano strani sguardi. “È morta” mi dicono dolcemente “Tanto tempo fa”. “Lo so” rispondo. Ed è vero. Ma mi piace che venga a trovarmi.
Mi piace questo sole leggero che mi bagna il viso. Com’è che me lo ricordo, il sole?
Parlano basso intorno. Perché? Per non disturbarmi? Mi piace sentire la voce di quest’uomo, di questa donna.
Michela non parla, mi guarda, sorride. Non parla. C’è. Michela, mia madre. C’è sempre stata. Non ricordo cos’è sempre. Che importa.
Queste foglie gialle c’erano ieri? C’era ieri? No, non dormo. Ascolto. Mi ascolto. Non conosco (non ricordo?) questi suoni. Non conosco le parole per dire questi suoni. Ma mi piacciono. Sto qui ferma, seduta. Da quanto? Importa? Questa mano leggera su di me mi piace. Mi piace il suo profumo. Sì, sto bene. Ci sono.
Questa è una poltrona? È la mia poltrona. Davanti alla finestra. Piove. Ripeto il rumore dell’acqua sui vetri. Ballare. Perché resto seduta?
Tu mi dici che questa donna della foto la conosco. Mi dici il suo nome. Cerco il suo viso, il suo nome. Perché non lo trovo?
A volte – per quanto tempo? – sto lì, e galleggio nel vuoto. È d’acqua il mio vuoto, trasparente, con lampi verdi e azzurri. Sta lì, mi avvolge, mi sommerge, mi accoglie. Non mi fa paura.
Me ne sto buona, aspettando il silenzio. L’acqua che sale.
Rinascerò, nel grembo di mia madre.

ANNA FRESU

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