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lunedì 9 febbraio 2015

Una scrittrice si racconta: Clara Cerri.



Ho cominciato a scrivere quando me l'hanno insegnato, non un minuto prima. Ricordo una mia compagna che era arrivata in classe in prima elementare piangendo: "Non so leggere e scrivere!". Ma che stupidaggine!, pensai, Ce lo devono ancora insegnare, no? Siamo qui per questo. Sì, ero pedante. Anche piuttosto antipatica, a volte. Ma mi perdonavano perché facevo ridere e scrivevo storie gialle con una formica detective per protagonista. Mai più scritto un giallo in vita mia, peraltro. Poi a quindici anni decisi di scrivere un romanzo comico con una mummia che si risveglia, e quella fu la mia rovina. Devo fare tante ricerche per poterlo scrivere, mi dissi, e presi la cosa talmente sul serio che mi misi a studiare egiziano antico all'Università. Ho passato trent'anni col naso tra libri, dizionari e fotocopie, e quel romanzo non l'ho più finito di scrivere, purtroppo. Il mondo accademico mi ha fatto scrivere e scrivere per anni, poi ha decretato che quello che scrivevo non era noioso abbastanza, quindi non era serio. Sapete come dicevano gli antichi Egizi? 
"Non essere troppo dolce o sarai inghiottito, non essere troppo amaro o sarai sputato". 
Quindi non mi sono amareggiata. Ho fatto un corso di Scrittura creativa con il Fondo sociale europeo e ho ripreso a scrivere seriamente, riuscendo così a pubblicare il mio primo libro di narrativa, "Dodici posti dove non volevo andare" (edizioni Lettere Animate). Com'è? Come una formica detective o una mummia che fa ridere invece che fare paura: una cosa che non ti aspetti. Una raccolta di racconti o un romanzo a capitoli sparsi, una saga familiare dove si raccontano memorie tristi e comiche mescolate assieme, dove l'amore e l'eros vanno a braccetto con l'ironia e il bello della storia si presenta ubriaco. Non vi dirò mai quello che è vero e quello che è inventato. Ho scelto un nome d'arte apposta, del resto. Se riesco a farvi riconoscere in qualcosa che ho scritto, sarà tutto vero. 

STRALCIO.

Sto tremando. Non so da dove tiro fuori tanta rabbia. Sento che mi esploderà qualcosa nel cervello se non interrompo questa corsa. "Scusami. Tu volevi sapere di Elena e Salvatore, se si amavano ancora. Penso di sì, sai. Non è una cosa che puoi fare solo per dovere, senza nessuno che ti ami e ti sostenga. Per me e Giulio è così", sospiro. "Credo. E poi essere un albero, ma chi se ne frega, era un'idea cretina. In un romanzo c'era una che si sentiva un grande albero e voleva dire che ormai era troppo vecchia per pensare al pisello. Io non sono ancora troppo vecchia".
Rita ride suo malgrado. "Basta, dai. Non mi importa niente di Elena e di Salvatore, erano solo un'incarnazione dei miei desideri. Sembravano così forti solo perché so che il tempo non è eterno". 
Scuoto la testa. Non è quello il punto, maledizione! 
"Rita, se tu dovessi chiedere un miracolo, un miracolo solo, cosa chiederesti? Qual è la cosa che ti farebbe strisciare con la lingua a terra fino a un altare? Perché sarebbe una cosa enorme, capisci? Sarebbe concentrare un'energia tremenda sulla tua vita, che ti potrebbe incenerire! Vorresti che Giuseppe ti amasse come tu lo ami, che ti facesse sentire in diritto di vivere? Ma lui è solo quello che è, il frutto del suo destino. Come mio figlio. Non c'è un altro Giovanni sano e intatto sotto la malattia. Non c'è un altro Giuseppe. Sai qual è il mio rimorso peggiore, quando mi guardo indietro? Non aver amato di più mio figlio quando non mi sembrava nemmeno umano".

Clara Cerri

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