AMARCORD:
MIA NONNA
Le dolci mani di mia nonna mi accarezzavano il viso. Erano ruvide, rugose, segnate da una vita di lavoro. Ma io non potevo saperlo, ero troppo piccola: facevo una espressione corrucciata, infastidita.
« Nonna, mi pizzichi!» esclamavo.
Lei sorrideva e mi riempiva di baci. Il suo profumo di fresco mi ha sempre ricordato l’odore delle lavande, mi faceva sentire protetta. Mi voleva bene e anche io gliene volevo. Durante le assolate giornate estive del nostro Abruzzo giocavamo alle ricche signore: ci mettevamo forcine colorate nei capelli, indossavamo braccialetti di perline di plastica fatte da me. Bastava questo per sentirci unite, vicine. Lei mi assecondava, mi capiva, mi lasciava fare. Vorrei tornare indietro e poter rivivere quei momenti che da bambina non ho saputo apprezzare appieno.
Le nostre estati insieme erano un tripudio di fantasia e idee. Quando preparava da mangiare per tutta la famiglia mi spiegava cosa stesse facendo e mi lasciava giocare con acqua e farina. Io mi sentivo una cuoca.
« Guarda che bel pasticcio che hai fatto!» mi diceva, sorridendo.
Per noi Pasticcio voleva dire semplicemente sostanza informe. E i miei giochi a base di acqua e farina lo erano. Non mi scoraggiava mai. Da lei ho imparato l’ordine e in un certo senso il rigore. Quando è iniziata la sua malattia, mi voleva nascondere il suo dolore, il fatto che stesse soffrendo. La porta della sua camera a volte era chiusa, quando magari dentro vi erano l’infermiera o mia mamma la stava accudendo. Io mi chiedevo perché, avevo paura che non mi volesse: invece mi amava. Quando invece la porta era aperta, correvo dentro e mi mettevo nel letto con lei. Avevo un taccuino di Barbie e mentre imparavo a scrivere, lei firmava gli angoli del foglio con la sua scrittura tremolante ed insicura, come quella di chi per colpa della Guerra e di una mentalità desueta ha potuto studiare solo fino alla quarta elementare.
Piccoli momenti, rapidi ricordi che guizzano nella mia mente fin troppo spesso, soprattutto quando torno in Abruzzo, in estate. Ora non c’è più lei a cui raccontare le mie cose, con cui confidarmi. Purtroppo mi ha lasciato quando avevo solo otto anni. Credo che avrebbe potuto darmi ancora tanti insegnamenti, avremmo potuto fare discorsi più maturi. Da ragazzina non riuscivo a darmi pace per questo.
Ora ho capito che invece dietro ogni momento passato con lei era nascosto il suo modo di essere, il suo credo, i suoi valori. Mia nonna era una donna forte, sicura, incredibile. Non è più qui con me, ma grazie ai nostri momenti insieme e a quei consigli nascosti sotto una apparenza infantile, ora so cosa voleva dirmi. Nonna, lo so.
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