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lunedì 2 novembre 2015

"IN MORTEM (LETTERA) di Maria Francesca Consiglio



In mortem ( Lettera)

Livido perenne,
questi fantasmi, che soltanto adesso si palesano come la causa della mia nuova insonnia, invero son più vivi dei mortali; con dita di frusta trattano le mie sicurezze. Essi portano la maledizione su questo amore narrandomi del tuo passato con risate spettrali e sadiche; così la tua santità si macchia di un colore che adorna un tetro abisso dove le anime serene vanno a morire. L'odore delle tue colpe passate è come un morbo mortale che si propaga ed uccide gli abitanti della mia mente: lazzaretti e pianti di orfani, mani sudice e bianco pallido di luna sgretolata, ratti che banchettano sbriciolando carne sulla bellezza felina. Mi osservo: sono una straniera che cammina dentro sè stessa, una viaggiatrice stanca, esiliata dai suoi stessi natali, testimone prima della decadenza. Il mio volto è replicato su quello di ogni abitante morente, sfigurato, deturpato. Eppure in tutto questo orrore soltanto la tua bellezza mi salva da una morte che non cerco ma che si mostra ai miei occhi come una terra che tutto contiene tranne il dolore. Con la speranza del condannato al patibolo, ho atteso che qualcuno portasse dei fiori sul mio petto, prato incolto senza ruscello, ponte levatoio senza castello, madre isterica senza figlio. E' stato questo settembre a soffiarmi la tua voce sulla nuca; nella notte ho udito i tuoi passi felini e guardato i tuoi occhi che, come stelle dimenticate, brucianti di fiamme fioche, hanno acceso tutti i lumini del cimitero mio. Occhi di Medusa tu m'hai pietrificato vizi ma non i tormenti. Tu risvegli in me la rabbia primordiale della pretesa di possederti in esclusiva. Tu carezzi con dita di Circe la mia mano che sanguinante stringe un pugnale con il quale scriverei lettere ad ogni tua amante passata. Se queste donne ti hanno promesso il mondo poco importa; io non ti prometto nulla poichè la promessa può essere invalidata. Io già ti appartengo; ti concedo di colonizzare ogni mio pensiero, ogni mia vena pulsante, ogni brandello di carne e tragedia, ogni mio palcoscenico privato, ogni mia fobia, ogni ossessione che trovi compulsione nel tuo sangue. Vi è stato un tempo nel quale ho narrato l'amore senza esserne travolta, come a gustar il vino senza ubriacarsi o bagnarsi le caviglie senza essere posseduta dal mare. Forse, amore maledetto mio, una veggente s'era impadronita della mia penna perchè soltanto oggi comprendo il significato di quelle parole suadenti, che si traducono in un sol puro pensiero: non v'è più consolazione per me lontana dai dolori che mi dai. Per lunghi anni ho danzato sola, stringendo a me l'aria. Il tuo giungere a me mi ha svelato il segreto di quel rituale: tu eri l'essenza del mio vuoto che non voglio colmare bensì m'inventerò le ali per farmi trascinare via dalle tue correnti. Non mi curo di perdere le piume nella bufera di questo tormento; lascerò che io sia neve di cigno sul tuo cuore serrato ai molti. Queste nostre anime, che hanno donato più dolori che gioie, si sono impigliate tra loro, invischiate con pece di follia, mescolando odio ed orrore; puoi allentare questo nodo di cianuro o stringerlo fino a farci asfissiare di noi. Sai bene che che confido nel disegno del fato, quel gran burlone sadico capace d'inventarsi l'arcobaleno negli inferi. Egli ha tracciato il nostro disegno con sague sulla pelle di Eros. In qualsiasi istante puoi decidere di soffiare sui lumini che hai acceso come fossero candela di una torta senza compleanno, lasciandomi nuovamente fuori alla porta, dentro all'oscurità. Puoi tutto e sei il tutto. Il tuo sguardo alberga vita e morte che coesistono senza che l'una possa annullare l'altra. Son sirena senza canto, tu oceano di vino bianco.
Mai da nessun'altra avrai in dono un cuore nero come il mio.

© Maria Francesca Consiglio Writer - all rights reserved.

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