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mercoledì 20 gennaio 2016

"SUICIDIO" di Marcella Arría

SUICIDIO

Luisa voleva farla finita. Si sentiva esausta; la vita non era altro che un susseguirsi insensato di giorni uno uguale all’altro. Uno di quei maledetti strizzacervelli le avrebbe detto che era depressa e che doveva curarsi. Come no. Ingoiare quintali di stupide pillole colorate, ingrassare come una botte. E poi? Tutto sarebbe tornato come prima. La depressione non esiste, diceva tra sé, è solo un parto del mio cervello e io ne posso uscire da sola. Togliendomi la vita. E quello era il giorno giusto. 
Una estate da schifo aveva appena lasciato il posto a un autunno caldissimo seguito dal brusco arrivo dell’inverno. Le temperature erano scese di dieci o quindici gradi e Luisa rabbrividiva nel golfino di mezza stagione. Ma non le importava nulla, seguiva a testa bassa la striscia bianca del bordo stradale. Aspettava di vedere il guard-rail che delimitava il fiume e quando lo vide mormorò “Eccolo”, a mezza voce. Al di là della striscia di metallo sbiadita dal sole e dalla pioggia vorticava la roggia comunale. 
Si guardò intorno circospetta per sincerarsi che nessuno la vedesse. La strada era deserta e la donna si mise agilmente a cavalcioni del metallo per poi lasciarsi scivolare giù. L’impatto le tolse il respiro. L’acqua era gelida. Agitò le mani verso l’alto cercando istintivamente di rimanere a galla mentre la corrente la spingeva a valle. Si sentiva la testa confusa e il sangue le pulsava nelle tempie. 
La corrente la trasportò velocemente a valle tenendola inesorabilmente a galla. Avrebbe dovuto mettersi dei pesi nelle tasche, pietre o altro, ma non ci aveva pensato. Credeva che bastava buttarsi nell’acqua e poi il resto sarebbe venuto da sé. Chiuse gli occhi assaporando il torpore delle membra. Il freddo le stava arrivando alle viscere privandole di ogni sensibilità.
All’improvviso si sentì strattonare. Riaprì gli occhi e vide una galleria oscura tappezzata di filamenti vegetali. Intorno a lei galleggiavano bottiglie di plastica pezzi di legno e altre immondizie buttate da chissà chi. Il golf le si era agganciato ad una grossa griglia metallica destinata a filtrare le acque. Si lasciò andare. Forse era giunta la sua ora perché le mancava il respiro e la corrente la schiacciava contro il metallo. Pregò Dio mentalmente chiedendogli perdono. Il suicidio dicono che è un peccato punibile con la dannazione eterna. Chissenefrega pensò.
Quando la tirarono su lei non era più. Morte per arresto cardiaco scrissero nel referto autoptico.

Marcella Arrìa

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