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martedì 6 settembre 2016

"QUANDO ERAVAMO TUTTI UGUALI" AMARCORD di Annamaria Bortolan



QUANDO ERAVAMO TUTTI UGUALI

I ricordi importanti affiorano sempre all'improvviso. Un colore, un profumo, basta poco per suscitarli. Settembre è per me il mese della memoria e dei progetti. Inizia un nuovo anno scolastico e si pensa al nuovo ma la mente sa andare indietro negli anni. Le elementari, le medie e poi il liceo classico, gli studi universitari e la gavetta in un giornale locale e poi ancora quel che venne dopo... Non so, non so perchè ma il ricordo più bello è quello delle scuole elementari. Ci vestivano con un grembiule nero, fiocco rosso per le bimbe, blu per i maschi. Serviva a proteggere i vestiti dai grandi pasticci che molti di noi combinavano con la penna stilografica e le tempere ma era anche uno scudo nei confronti della diversità sociale ed economica. Così, almeno nella forma, eravamo tutti uguali. La maestra ci teneva molto a formare i suoi alunni sulla base di valori sociali importanti.
Un giorno uno dei miei compagni di classe le chiese:
"Perché quel barbone fuori del cortile sta sempre lì e non va a lavorare?"
"Ha perso il lavoro e non riesce a trovarne un altro", rispose la maestra.
"Perché non riesce a trovarne uno nuovo?"
"Perché è vecchio. Il lavoro è per i giovani."
"Da grande lavorerò come mio papà, sarò a capo di una ditta e gli farò fare un lavoro da vecchio, così non si sentirà più diverso dagli altri", concluse l'alunno.
La maestra sorrise. I primi semi dell'uguaglianza erano stati gettati.

ANNAMARIA BORTOLAN

"LA PREDA" di Franca Berardi



La preda. 

Lui la seguiva...lei lo sapeva e ne era compiaciuta ma faceva finta di nulla.
Lui camminava a passo veloce , ma lei era più lesta; si dileguava dispettosa tra le calde vie di Bari, tra i colori intensi di qulla città, tra le persone quanto mai animose e incazzuse di Bari.
Lui, nella corsa, si scontrava con qualche vaffa elargito generosamente ma non rispondeva; la voleva e lei lo sapeva ma continuava con il suo passo veloce.
Lui, ormai dopo qualche minuto, iniziava ad ansimare; probabilmente non era molto ben allenato, mentre lei sembrava la parente stretta di Mennea.
Ma sì… la figlia del vento lo voleva, lo… voleva forse morto. 
L'inseguimento era iniziato dall'Università, lei era riuscita a blissare il traffico con la agilità di una gazzella, lui era stato inesorabilmente bloccato da tre pulman,a loro volta bloccati da macchine, a loro volta bloccate da motorini roboanti e biciclette...
Una casbah! 
“Maldizione, non ce la farò mai- pensava-, mentre finalmente, all’improvviso un pulman gli era passato sotto il naso liberando l’ingorgo che si era formato.
Lui attraversò prontamente e arrivò ai giardini.
La intravide;era molto più lontana ma l'avrebbe raggiunta e finalmente sarebbe stata sua.
Così pensava, ed intanto, nella foga della corsa,confusi ed accaldati, finirono ineluttabilmente tra le stradine bianche della Città vecchia ove le urla e le parolacce di uomini corpulenti e dalle ugole possenti si sprecano a dismisura.
Furono investiti da un profumo intenso di ragù che si mescolava con altri odori: di pipì, di varechina, di fiori provenienti da balconcini zeppi di piante, di cozze appena sgusciate, di melanzane fritte, di panzerotti caldi che si sciolgono in bocca.
Ci poteva scappare anche una coltellata, ma lui la seguiva ormai…, madido di sudore, ma imperterrito, stoico, non mollava.
Si infilarono in altre stradine sempre più strette, anzi talmente anguste, che non lasciavano nè spazio nè respiro. 
Il viso di lui era cotratto; una smorfia di dolore si palesava imbarazzante sul viso del guerriero.
Lei sembrava fresca come una rosa e sorrideva , la ” fetentella” mentre, con la coda dell'occhio, controllava se lui c'era ancora.
C'era, c'era.
Lui, seppur sfinito, non disperava di averla e anche lei lo voleva.
In men che non si dica entrambi finirono in un localino angusto e tetro; assomigliava lontanamente ad una trattoria...
Una vecchia signora li invitò ad entrare con l'eleganza di un ippopotamo.
Sfiniti si sedettero davanti ad un tavolaccio scuro…
Sopra, buttata quasi per caso, una tovaglia a quadretti; olio, sale, aceto ed una bottiglia di vino che chiedeva solo di essere bevuta.
L'anziana si accostò incalzandoli, impaziente e quasi scocciata.
Si sentiva nell'aria un forte odore di cipolla... o di sudore… meglio non indagare.
“Due panzarotti”- sussurrò lui a stento- sopraffatto dall'affanno.
“E due supplì”- aggiunse lei-.
Erano a due passi da lungomare oramai.
Si scambiarono uno sguardo di intesa, le loro mani erano vicine, molto vicine.
Sopra li aspettava una cameretta.
Continuavano a lanciarsi sguardi nell'attesa , ormai sapevano quello che volevano.
Davanti a quel tavolaccio,l'anziana signora li osservava incupita.
L'esosa e golosa chiese anche degli antipasti...
Niente panzerotti, nè antipasti fu la sua risposta secca: ci sono solo patate,riso e cozze… c'è quello che c'è …bisogna accontentarsi.
Iniziarono a mangiare quel piatto unico.
Era sublime! Quella donna c'aveva messo l'anima e loro, mentre soddisfavano i palati, si mangiavano con gli occhi.
Lei, impudica e provocante quanto mai, addentò vogliosa una patata. Sublime- esclamò-!
Lui si sentiva invaso da un piacere erotico inusitato, ma mentre la guardava, alla vecchia signora, venne in mente di accendere le luci di quel locale così strano e buio.
E così lui si avvide che lei sembrava meno bella di prima.
Forse era stato colpito dai suoi meravigliosi capelli lunghi, biondi mossi dal vento e, ancor più bella, gli era apparsa allorquando era uscita dall'Università con quell'aria sicura con la falcata della spendida irrangiungibile.
Ora quell'immagine che lui aveva scolpita nella mente, aveva lasciato il posto a quella di una ragazza magra, dai piccoli seni adolescenziali, dal visino smorto, slavato, quasi del tutto inespressivo.
Ma anche lei si accorse, or che lo vedeva bene, che non era un granchè: viso squadrato, ma corpo per nulla scolpito; naso imperante, occhi piccoli da miope.
Ma come aveva fatto a non accorgesene prima? 
Eppure, mentre la rincorreva, le sembrava tanto carino anzi ancor di più: come un fiero guerriero pronto ad un corpo a corpo deciso a ghermirla con forza ed ad averla lì all'istante magari contro un muro di tufo.
Il dialogo tra loro, si fece man mano minimale, così come il loro entusiasmo; giusto qualche frase convenzionale del tipo: che fai? lavori? ah sì? sei sola? ma và?studi? ma dai?
Dopo aver mangiato quasi sempre in silenzio, lui pagò infastidito e, deluso , uscì da quel maledetto locale.
Anche lei lo fece, affranta.
Presero strade diverse come se mai si fossero incontrati nè mai visti.
Lui tornò a tuffarsi, come risucchiato,tra le stradine bianche della città vecchia.
Fu nuovamente invaso dai profumi intensi di quei posti , ma erano più attenuati.
Sopra un muretto, c’erano dei pomodori messi lì ad essiccare ed un grosso polipo probabilmente appena pescato.
Comunque sia, ormai passato a miglior vita; accanto, troneggiava un cesto ricolmo di frutti di mare.
Più in là due donne dalle morbidissime curve, erano affacciate ad un balconcino; fumavano e parlavano in un dialetto stretto: le loro abbondanze , straripavano dalle balaustre.
Sotto, in una stradina senza uscita, una vecchina secca e rugosa, sistemava su un tavolo di legno orecchiette e strascinati.
Le sue mani erano veloci, esperte…si muovevano leggiadre,come quelle di un pianista.
L’uomo si soffermò ancora un po’, si guardò intorno…il biancore accecante dei muri di tufo, colpivano gli occhi fino quasi a far male ed ecco quindi che in un attimo, riuscì a raggiungere lo splendido corso Vittorio Emanuele e, poi, ancora di nuovo si diresse verso l’Università da dove era partito.
Intorno a lui non c’era quasi più nessuno; erano le ore quattordici.
Ma ecco che all’improvviso, vide una splendida ragazza uscire dall’ateneo.
Aveva lunghi capelli biondi, mossi dal vento, la falcata della donna bella e vincente…il suo passo veloce e sicuro.
Lui iniziò a seguirla…già sentiva che la voleva e l’avrebbe avuta…

"ADOLESCENZIAL LETTERARIO" AMARCORD di Paola Caramadre

Dean Moriarty entrò a far parte della mia vita relativamente presto. Avevo 14 anni, era inverno, il mondo non mi sembrava il migliore dei posti possibili e avevo appena incontrato quella che sarebbe diventata la mia amica del cuore. Andiamo con ordine. Da qualche mese frequentavo il liceo in una cittadina piuttosto distante dal mio paese. Non conoscevo molte persone e non avevo nemmeno tanta voglia di integrarmi. Viaggiavo in autobus, piccola pendolare della pubblica istruzione, e nel tragitto leggevo libri. Dopo i classici di fine '800, non so esattamente come, mi ritrovai tra le mani un romanzo che mi avrebbe accompagnato per tutta l'adolescenza. Lo comprai, addirittura, io che prendevo tutto a prestito. Venivo da un piccolo paese, ero confinata in piccole nicchie provinciali, e forse per questo il romanzo "On the road" di Jack Kerouac mi colpì così tanto. E Dean Moriarty divenne molto più che un personaggio letterario. Proprio in quei giorni di letture appassionate incontrai una ragazza molto alta, con i capelli corti e una strana voce nasale. Ci capimmo subito, senza bisogno di starci a raccontare troppe cose. Le nostre vite si intrecciarono per molti anni e anche le nostre letture. A volte, ci capitava di citare a memoria intere pagine di quel romanzo. Leggemmo tutto sulla beat generation, ma proprio tutto. L'ultima volta che ci siamo viste, come amiche intendo, è stato molti anni fa. Ci salutammo sul pianerottolo di una casa in cui ho abitato, ci veniva da piangere, ci siamo dette arrivederci. Entrambe sapevamo che sarebbe stato un addio. Eravamo cambiate, e molto, mi vennero in mente le ultime pagine di "On the road", ormai avevo cambiato genere e interessi letterari. Lei era il mio Dean Moriarty e stava andando via dalla mia vita. Dopo quella parentesi adolescenziale la letteratura americana ha smesso di interessarmi del tutto. E così ho iniziato a leggere le poesie di Majakovskij.

PAOLA CARAMADRE

lunedì 5 settembre 2016

"NON SERVE ASCOLTARE LE TUE PAROLE ASPRE..." di Lina Mazzotti

Non serve ascoltare
le tue parole aspre
mentre scoperchi
rabbioso
il pozzo di insicurezze
non voglio provare
il sapore antico
di delusione
corro nel vento
del mio respiro
mi immergo nel fiume
delle lacrime calde
che mi avvolgono
accompagnandomi
con suono sottile
rinverdendo
i bei ricordi.

LINA MAZZOTTI

domenica 4 settembre 2016

"UNA GIORNATA DI SOLE GENTILMENTE RABBIOSO" di Ilaria Biondi

Una giornata di sole gentilmente rabbioso.
Uno squarcio di cielo trasparente.
Le foglie delle querce che si sventolano pigre.
Gli arbusti di ginestra arroventati dall'arsura e dalla stagione ormai avanzata.
Grappoli di cornacchie a raccogliere, avide, gli ultimi chicchi di grano nei campi.
Qualche nuvola che si strappa il velo candido, quasi insofferente al cospetto di ore così testardamente estive. 
Ho camminato per quasi due ore.
In perfetta, magica solitudine.
O meglio, non sola.
Avvolta e accolta dalla carezza ora morbida, ora ruvida, di tutta questa bellezza.
Dimessa, umile, mite, eppur potente.
Corrono, i passi.
E i pensieri li inseguono, li intrecciano, li cullano.
A volte si fanno lo sgambetto, reciprocamente.
Ma poi tornano sempre a riconciliarsi.
Non possono fare a meno gli uni degli altri.
Parole che volano, e se non le afferri lesta svaporano come polvere di farfalla.
Giungo a casa. Quaderno. Penna.
Ora, parole, siete mie. Non potete più perdervi nell'aria.
O forse sì...
E allora sarà bello rincorrervi ancora, passo dopo passo, pensiero dopo pensiero. 
Fra i saltelli dei grilli sulla terra secca e assetata, nel ronzio generoso di un'ape golosa.

ILARIA BIONDI

"DI QUELL'ADDIO CONSERVO IL SAPORE..." di Edmond Dantes



Di quell"addio conservo il sapore
che lasciò il posto ad un languore.
Mi sedetti nello spazio che lasciasti
e seppi fagocitarmi la mia metà
in un mare di rimpianti.
Si vive di attimi,
separati dal vissuto onesto,
che ignaro e cieco non vede oltre.
Persi un pezzo importante di me
sbriciolando sensazioni
che non ritroverò mai più,
perché tue, perché nostre.
Quando si rimane soli si torna lucidi.


Marina Roncaglio/ EdmondDantes

venerdì 2 settembre 2016

"TERREMOTATO" di Valentina Carinato



Terremotato

Era di notte
ed ero in sogno
sereno
con le mura attorno
di casa mia
piccola
di grandi sacrifici
sgretolati
in un batter d'occhio
dal terremoto
un' incubo tramutato
nell'immediato
nuovo giorno.

VALENTINA CARINATO