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lunedì 1 giugno 2015

"RIFLESSIONE" di Ary Arimondi



RIFLESSIONI

Oggi propongo uno spunto di riflessione. Non centra niente con la lettura, ma è un tema che viene spesso presentato nei libri.
Molti pensatori e filosofi dicono che la felicità deriva da noi e non da altri. Che se noi vogliamo possiamo essere felici solo desiderandolo.
Il punto è: agiamo di impulsi. Certi impulsi ci rendono felici, certi altri ci rendono tristi. La nostra mente genera impulsi interni, a loro volta scatenati da impulsi esterni.
Allora dovrebbe essere semplice essere felici. 
Nei libri spesso si trova il lieto fine, e l'autore ci insegna che si diventa felici se la conclusione è quella di ottenere ciò che desideriamo.
Un po' riduttivo non trovate?
Bisogna insegnare che c'è un lieto fine anche se tutto sembra brutto. Un lieto fine c'è sempre per ogni storia. Come nei libri, c'è un lieto fine anche nella realtà. 
La felicità credo che sia questo: una conclusione di una situazione che ha generato anche un secondo positivo.
Certo la felicità è anche tante altre cose: il canto degli uccelli, il sole dopo la tempesta, il sorriso di un figlio, un buon libro.. ma principalmente credo sia questo: un attimo positivo nella conclusione di una situazione, nella conclusione di un capitolo. 
Se per ogni coclusione si cercasse un solo attimo positivo, nello stesso momento in cui lo si trova, è difficile non sorridere. Non dico che sia facile, anzi in certe situazioni, occorre che passino moltissimi anni per trovarlo. 
Però credo sia così. 
Se si pensa bene, nei libri senza un vero lieto fine, quelli dal finale che strappano le lacrime, è difficile non trovare un attimo positivo. Farei degli esempi ma dovrei fare spoiler.. perciò mi fermo qui. Concludo la riflessione proponendo una similitudine tra lieto fine, e felicità. Quando c'è un finale di un libro, spesso si può notare uno o più attimi positivi. Come lo si cerca nei libri, sarebbe bello provare a cercarlo ogni volta che nella nostra vita chiudiamo un capitolo.

ARY ARIMONDI

"ORNELLA E BASTA" di Maria Francesca Consiglio



RACCONTO

Ornella e basta.
Fui additata alla tribù che usava mascherarsi con le pelli dei suoi simili. Fui incolta e danzai sotto la luna, pensandola come una perla scalfita, pendente nella collana della notte che non ha volto ma collo da giraffa, protesa a spiar il mercato di noi mercenari della vita, di noi brulicanti nullità, vetrai ignari di clessidre già rotte, divoratori di sabbia impastata alle parole inconsuete di chi non ha senno. Io che amai correre allegramente verso il limite, che temetti d’appellare “fine” per masochismo e attaccamento infantile. Io, aborigeno con le dita spellate di paranoie, giocai con il tempo che ha capo di marmo e piedi di cristallo. Da Dei a Dio è veloce il passaggio di chi s’inventa le punizioni per reprimere gli istinti altrui, o forse i propri? Il fato beffardo mi divise dal branco, scorticata via dall’abete della crudeltà; sballottata più di là che di qua. Vidi le tenebre calare sulla non ragione. Aspettai consapevolmente la fine che non giunse per me, frutto dell’errore di Mosè; mi ritrovai al tuo fianco su una zattera e tu, con sorriso che squarcia il petto d’una lamiera, carezzasti le acque scrivendoci con dita i miei tormenti. Fosti il paradiso, spappolato come una meringa sulle labbra del goloso, tenuto a dieta dalla madre pretenziosa, che si dimena nella tentazione dell’impossibile. Che visioni di vite che mi bisbigliarono i quadri con il tuo viola nelle mie pareti. Attraversò il fiume la zattera di carta e m’impregnai delle tue parole di zucchero bollente. Invidiai l’acqua figlia delle tue fantasie fino a che alla foce del fiumiciattolo sussultammo per un sospetto. Mi sembrò dormiente il mare accanto a te, Gilda, Viola, Ornella ma Nettuno c’invidiò l’amore dei nostri silenzi complici e nella tempesta caddi dalla tua zattera. Mi corrose la parola e nuotai lontano, che ancor ho davanti agli occhi senza pupille la tua mancanza. Ornella oro sei nei capelli dell’africano.
© Maria Francesca Consiglio Writer- all rights reserved.

"L'AFFAMATA D'ORO" di Maria Francesca Consiglio


RACCONTO

L'affamata d'oro.

I miei occhi ti son più dentro d'un arpione nel palmo del pescator sbadato che per concupir la preda s'è distratto alla danza della sua supplica, perendo nel fondale dei suoi stessi desideri; acqua che sa di sale, acqua che sa di lacrime, tutto ti risucchia riversandoti sulla battigia dove la sabbia m'è complice. Le punte del mio tridente, che non puoi estrarre senza sfoltir la carne come fosse corona di petali, son le mie penne: scrivo il passato, scarabocchio il presente, tratteggio il futuro sulla carta e sulla tua pelle, ove l'inchiostro arde di fumi e silenzi soffocati. Che donna son io che ti bramo lo zucchero sciolto sulle dita da madre? Batte per le tue carezze il cuor d'una giovane folle che vorrebbe sporcarti di voluttà. Scivolano le labbra sui sogni che non posso esaudire ed è un corteo di figure che ti violano e m'invogliano il peccato di profanarti le grazie. Prego di risvegliarti il fuoco sulla torcia guida del mio labirinto che s'apre sulla tua schiena divisa come l'acque di Mosè, salmastre da dissetarmi l'amaro sulla lingua. Voltati e schiudi le tue paure come l'ali d'una falena morente nella mia oscurità. Danzami, indossami e lascia che t'insegni l'ignoranza del mio mondo. Rubami la passione e scorticala via dalla mia pelle per farti Arlecchino di me e d'ogni mio peccato. Che amica son io che violo ogni regola perchè ingorda d'una dolcezza da metter sotto campana, la tua, che mi disegna il piano per dissacrarti? Voglio incastonar rubini sporchi di passione sull'oro dei tuoi capelli. M'appartieni: sei palcoscenico ove batto i piedi come una bimba capricciosa che nessuno sente. Solo tu m'ascolti perchè ti cammino dentro, ti corro sul palco legnoso dell'animo tuo ed i miei respiri, i miei affanni, son sinfonie che scrostano le tue pareti dimenticate. Voglio custodirti il cuore pulito di razionalità. Il tuo cuore guarda il mio come un frate col mendicante, come il bimbo con il cucciolo che la madre non vuole dentro casa sua. Ahime nulla posso contro l'educazione d'una società di sapienti ignoranti che t'hanno addomesticato le pulsioni rendendo il leone un micio da salotto.

© Maria Francesca Consiglio - all rights reserved.

"SEGREGATI" di Roberta Manzin



Segregati
i segreti
soffocano
l'istinto vitale

ROBERTA MANZIN

"CHIAMASI BELLEZZA" di Edmond Dantes



Chiamasi bellezza
ciò che riempie occhi
ma non cuore.
Velluti chimici
che irritano contorni.
Nella sostanza la ricchezza,
metamorfosi di un io
ricoperto di muschio
esistenziale.

EDMOND DANTES

"NUANCE RIVELATRICI" di Roberta Manzin



Nuance rivelatrici
potrebbero spaccare
un cuore fedele
Nel segreto si autorizzano
coccole vietate e gratuite
Ossigeno indispensabile
per chi lo mantiene

ROBERTA MANZIN

"VOLAVO SU CIELI IMMENSI" di Monica Carraresi



Volavo su cieli immensi
ero io l'uragano
tu eri il mare

Ora cammino sola
sull'asfalto di una città
ingrigita,
schiacciata dalle mie ali

Libera anche se non volo

MONICA CARRARESI