Logo blog

Logo blog

mercoledì 1 luglio 2015

"BANANA LATINA" di Nicoletta Marinelli




Vi presento la mia seconda creazione: la parte 2 di "Le avventure della Banana per le strade dell'America Latina" che vi porterá in Colombia, Ecuador e Amazzonia. Buona lettura a quante vogliano viaggiare a bordo di un Volkswagen del "76 e incontrare l'America del Sud!
"Mentre preparo lo zaino penso al fatto che non ho mai viaggiato da sola. Sola ho fatto moltissimi spostamenti alcuni dei quali prevedevano vari giorni, situazioni assurde e complicate. Da sola ho spesso girovagato per metropoli in attesa di qualche volo o treno su cui salire. Da sola ho anche fatto le valigie per raggiungere un posto di lavoro in un altro continente nel quale avrei piano piano costruito una nuova vita; ma non ho mai fatto lo zaino per andare in un posto con il solo obbiettivo di conoscerlo e stare bene senza la compagnia di nessuno.
Lo confesso, ho un po' di paura: Ana e Massi sono i simpatici del gruppo, chi si vorrà avvicinare a un dispenser di tristezza per fare amicizia? Ho spesso sentito dire che chi parte da solo non sta mai da solo. Le persone si avvicinano più facilmente a una persona da sola che a una coppia o a un gruppo. Succederà anche a me finirò per annoiarmi a morte e tornare indietro a gambe levate? Questa non sarebbe neanche la peggiore delle ipotesi. Una donna da sola può essere la facile preda di ladri, stupratori e serial killer. Eppure ci sono molte donne che viaggiano da sole, penso, a partire dalla nostra Ana e tutte dicono che è un'esperienza indimenticabile. Anche io posso farcela. E, di nuovo, non lo saprò mai se non ci provo".

NICOLETTA MARINELLI



"VACANZE AL SOLE DI LUGLIO" di Santina Gullotto



VACANZE AL SOLE DI LUGLIO.

La sabbia rovente dal sole di luglio,
il gelo non scioglie…..
L’azzurro del mare ondeggia, infrange
e tormenta quel bianco scoglio…
Tra i promontori vicino capo D’Orlando.
Il dolore qui dorme…
Tra gente che sembra migliore…
Si culla tra il vento e le onde,
come lo scoglio rotondo al centro del mare,
che come un sasso scagliato da mano gigante,
rimane lì fermo arido e bianco…
Il sole lo brucia dall’alba al tramonto,
non gli darà mai tregua e riposo;
proprio come chi la pace mai ti ridarà,
solo la notte refrigerio ti dà….
Lontano da quel sole che brucia
e torna costante dall’alba al tramonto….
Che tormenta lo scoglio al centro del mare,
che assorto e ormai stanco si piega
alle onde e al mare…..

Santina Gullotto.

"SE NASCESSI OGGI..." di Roberta Manzin



Se nascessi oggi, in un invito d'estate, in una pausa pranzo di preziosa memoria, vorrei sentirmi avvolta in un abbraccio. Uno di quelli che daresti in cambio il fiato, pur di poter seguire, di nuovo, la sagoma impressa sulla pelle. 
E vorrei gli occhi. Immobili sui miei ancora increduli di luce. Barattandoli con il mondo. L'unico. 
Chiederei due mani. Morbide ma precise. Sagge di me. Che sorveglino le mie sensazioni, affinché non si disperdano, in consegne gratuite.
Se le labbra poi si avvicinassero scegliendo le mie guance, quel bacio lo vorrei sincero. Fedele.
Se nascessi oggi, vorrei poter piangere. Urlare. Dimenarmi. Sfogare ogni emozione. Come un vulcano vitale. 
Perché' quando dimora il silenzio e la maschera, si comprime l'anima. E c'è ancora tempo per quell'eta' che li ospita, nel giudizio. Il contratto per il teatrino verrà poi regolarmente rinnovato. Senza più spazio all'arena del poter sentire ed essere.
Se fossi appena nata, vorrei sentire il vortice dell'acqua in cui ho navigato per mesi, e assecondarne le velocità irregolari, per riuscire ad amare il dolore dell'imprinting. 
Saprei viver-mi. 
Intera.

ROBERTA MANZIN

"L'INFANZIA VIOLATA' di Maria Pace



L'INFANZIA VIOLATA

é un brano tratto da "LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses"
che dedico(come promesso) alla nostra insostituibile ospite: EMMA

..............................
"Che cosa volete da questo sbaerbatello?" domandò Marco al più vicino di quelli che circondavano il piccolo.
“E’ uno sporco ebreo-cristiano.” rispose l’interpellato che, come 
quasi tutti, non faceva molta distinzione tra ebrei e cristiani. 
“Imbecille! – replicò Marco - Non vedi che è solo un ragazzo?”
“E’ una piccola chiavica di fogna, signore.- insistette quello - E come tutti i topi di fogna bisognerebbe arderlo come una torcia. Io lo conosco, tribuno. Si chiama Joshua, ma si fa chiamare Aquilinus, per via della velocità con cui ti porta via la borsa.”
“Lo conosco anch’io. - seguì una seconda voce- E’ un ladro.”
“Alle guardie!.- una terza voce - C’è bisogno di delinquenti per l’arena ai prossimi giochi in onore del nuovo Cesare.”
“Non sapete che il nuovo Cesare – interloquì Fabio – ha permesso ad ogni cittadino… e perciò anche ai cristiani, di rendere onore e gloria alle proprie Divinità?”
“Puah!” fece uno di quelli girando le spalle per allontanarsi.
Erano tutti bottegai della borgata: Cleonte il panettiere, Brutus il barbiere, Fidelius il carbonaio e dovevano aver fatto più volte la conoscenza con quell’aquilotto infreddolito.
“Calma! - replicò Fabio - Le prigioni si sono appena svuotate. Vorresti già riempirle?” 
“Macché ebreo, macché cristiano! Gente rammollita, quella. – protestava il piccolo - Io cristiano? State scherzando?”
“Bugiardo! - replicava l’altro - Ti dico, centurione, che questo piccolo manigoldo, cristiano oppure no, era stato colto con le mani nella borsa di una patrizia ed era destinato all’arena. Si vantava di essere già stato in carcere e di non esserci mai restato a lungo.”
“Mai a lungo. Certo! - continuava a protestare il piccolo bandito.- Vi sembra che abbia necessità di camuffarmi da stupido ebreo-cristiano per alleggerire qualche borsa? - ora che aveva la protezione di un tribuno e di un centurione, Aquilinus stava diventando sfrontato ed insolente - Ho detto che non sono mai rimasto a lungo in prigione perché il mio difensore... – e qui, l’impareggiabile monello mise in mostra tutto l’estro che la vita randagia gli aveva insegnato per sottrarsi alle difficoltà - il mio difensore, dicevo, Cleonte Arpaga, il Greco, possiede un’oratoria che eguaglia e supera quella di quel certo Tullio Cicerone che scavò la fossa al povero Catilina... Sapete di che parlo, vero?... Lui convince sempre il Procuratore della mia innocenza – aggiunse tirando su col naso con finta noncuranza – perché io sono innocente come un agnello della Pasqua ebraica. Possa io diventare ottuso come un giudeo, se questo non è vero!”
“Basta! - intervenne Marco - Basta così! Per quest’oggi, piccolo manigoldo, togliti dalla mia vista. E voi. - il tribuno si girò verso gli altri con cipiglio determinato - Andate anche voi! Tutti!... Basta, per ora, gettare gente nell’arena. Via!... Disperdetevi!” 
Ubbidirono. Si allontanarono tutti, manifestando contrarietà e malumore e prendendo a calci sassi e rifiuti. Anche Aquilinus si allontanò, masticando un motivetto in voga, ma, fatti pochi passi:
“Porta alla mia amica Livilla i miei saluti, centurione.- disse, voltandosi - E che non si ficchi ancora nei guai!... Non c’è sempre Aquilinus a tirarvela fuori!”
Fabio ebbe un sorriso, scosse il capo, spronò il cavallo e seguì l’amico, che gli domandava:
“E’ vero quanto hai detto a quella plebaglia… che il nuovo Cesare tollera il culto di questi cristiani… al contrario di Nerone?”
“Ha emesso un proclama. – assentì il centurione – Dietro congrua pecunia, ognuno è libero di…”
“Oh.oh.oh… - lo interruppe il suo tribuno – Volevo ben dire: il nuovo Cesare è un ottimo Praefectus domui… ” rise, sull’onda della voce del piccolo che li seguì per un po’, mentre intonava: 
“Mi compiaccio io delle opere di Dionisio e delle Muse, 
che portano gioia agli uomini...”

Aquilinus s’infilò in uno di quegli stretti itinera, più impraticabile che mai, con la pioggia, girando e rigirando i sassi nelle piccole mani arrossate dal freddo: un mese assai freddo e piovoso, il giugno di quell’anno.
Non voleva darlo a vedere, ma in realtà quell’episodio lo aveva irritato e reso aggressivo. 
“E’’ dolce la stagione della raccolta…” continuava a cantare, in un crescendo sempre più elevato, fino a squarciagola. Svoltato l’angolo si fermò, per consentire, forse, a un’improvvisa idea di farsi avanti nel cervello, poi tornò indietro. Estrasse la fionda da sotto la tunica, vi infilò un sasso e mise a punto un tiro che centrò in pieno Brutus il barbiere, tornato al suo cliente ancora seduto sull’uscio della bottega.
“Prendi, sfilapidocchi!” urlò, dandosi a fuga precipitosa.
“Piccola peste! Se ti prendo…” urlò quello lasciando il posto di lavoro; quando sbucò sulla strada, però, di Aquilinus non c’era traccia. Si guardò intorno: era impossibile scomparire a quel modo su un piazzale aperto su cui si affacciavano solo Templi, Palazzi e grandi statue. C’erano l’immenso vestibolo della Domus Aurea, la Meta Sudans e la statua di Nerone, un colosso di bronzo alto più di trentacinque metri, opera dello scultore Zenodoro.
“Ma dove è finito? - sempre più furente, le mani che gli prudevano, il barbiere si fermò ai piedi del grande pilastro che reggeva la colossale statua. - Dove è finito quella disgrazia del genere umano?... Non può essere svanito nel nulla...”
Se solo fosse riuscito a disciplinare un pò meglio le proprie emozioni, l’irascibile barbiere avrebbe, forse, udito un respiro affannoso proprio sopra la sua testa, provenire dall’interno del colosso: Aquilinus era rannicchiato lassù.
Il barbiere continuò ancora a guardarsi intorno; alzò perfino gli occhi sul colosso, poi si girò per tornare indietro.
Quel monumento grandioso, espressione della perfezione tecnica e della purezza lineare, improntato a una maestosità quasi divina, raffigurava Nerone nelle vesti di Apollo. Altissima, superba e stagliata contro il cielo, quella statua, nell’aspirazione dell’artista e del modello, ambiva eguagliare il colosso di Rodi. E forse qualche somiglianza l’aveva perfino con quella meraviglia dell’estro umano, ma il popolo la degnava appena di qualche sguardo distratto e qualcuno, nell’euforia dell’avvento di un nuovo assetto sociale, già ne auspicava l’abbattimento. 
Anche lo sguardo del barbiere la sfiorò appena, prima di decidersi a tornare alla bottega, sempre imprecando, tra un brivido e l’altro. 
Aveva ripreso a piovere e faceva freddo.
Quel colosso, o più esattamente, il possente torace, era diventata la nuova tana di Aquilinus. L’aveva scoperta quasi per caso e subito adottata. C’era un’apertura sul retro del polpaccio della gamba sinistra: stretta e bassa, ma sufficiente a farvi passare un uomo. Aveva visto un giorno un operaio infilarvisi e scomparire al suo interno e da quel momento, quel simbolo di potere e grandezza imperiale, era diventato la sua nuova “casa”.
Inaspettata utilità della megalomania di un Cesare!
Ne aveva tante altre di tane sparse per la città. Tutte sotterranee, in fornici, cloache e cisterne, ma quella, che si elevava verso il cielo, lo appagava ed inorgogliva più di ogni altra. 
Per il piccolo derelitto quella non era solamente una casa, non era solo il posto ove riporre refurtiva, ripararsi dal freddo, mangiare, dormire e non era neppure il luogo dove smaltire malinconie, sbronze occasionali e qualche lacrimuccia traditrice: quella era la rivincita contro la società che lo aveva ripudiato. Era la conquista. Era l’occupazione: scacciato ed emarginato, rifiutato e allontanato, egli si appropriava della cosa pubblica. 
A Cesare, quell’ammasso armonioso di travi e legno ricoperto da lastroni di bronzo, serviva per realizzare un’idea di grandiosità e immortalità, per il piccolo rifiuto della società era un rifugio contro il freddo, il fango, la neve, la pioggia, la notte, la gente!
“Per le Sacre Bevute di Bacco! - esclamò sentendo allontanarsi i passi del suo occasionale nemico - Ho temuto proprio che quell’impiccione scoprisse il mio rifugio. Ah!.. non è facile seguire le tracce di Aquilinus! Brutto cane rognoso di un cavapidocchi!..”
Un lungo sospiro, poi il ragazzo si mosse. Si arrampicò su per la scala a chiocciola che dall’interno della gamba portava fino al bacino dell’immensa statua. Qualcosa, però, ad ogni gradino che saliva, forse quel sesto senso, il senso della sopravvivenza, così sviluppato in ogni naufrago della vita, lo avvertì di non essere solo, là dentro. Lo mise in guardia.
Qualcuno aveva scoperto il suo segreto: qualcuno, di sopra, che aveva preso a tossire e che respirava così affannosamente da sembrare l’ansimare di un animale ferito. 
Si compiacque con se stesso per aver conservato uno dei sassi e continuò a salire. Lentamente e con circospezione, ma decisamente. La sua faccetta infreddolita e imbronciata, riemerse all’altezza del bacino della possente scultura, sull’orlo del buco tenebroso della gamba. Là sopra non era così buio come di sotto. L’assemblaggio dei lastroni di bronzo permettevano una leggera penombra, sufficiente a vedere di dentro. 
Prima di balzare su dalla botola, Aquilinus guardò a destra poi a sinistra e infine sopra la testa, ma non vide nessuno. 
Sentì ancora un colpo di tosse, nitido e violento.
“Chi c’è qui?” domandò sollevando la mano armata di sasso e cercando con l’altra, con la sicurezza di chi si muove in casa propria, l’asse di legno accostato a una sporgenza.
“Chi c’è qui?” ripeté la domanda. 
Ora che la vista si era assuefatta all’oscurità, vide ben chiare due ombre emergere dall’oscurità.
“Sono io!” una voce timida e spaventata provenne dal fondo dell’antro.
“Io chi?.. Per la Siringa di Pan! Fatti vedere.”
L’inatteso misterioso ospite avanzò di qualche passo.
“Fermo!... Fermo! Fermati! - il padrone di casa lo fermò con un gesto perentorio della mano armata di spranga - Fatti guardare un po’... Fa un po’ vedere a chi appartiene la faccia di questo io!... Marcus!?!” esclamò, quando un flebile raggio di luce, penetrando da una fessura, illuminò la faccetta dell’intruso.
“Sono io!”
“Sempre tu!...- sospirò Aquilinus, lasciando andare spranga e sasso - Cosa ci fai qui? Come hai fatto a scoprire questo nascondiglio?”
“Me lo hai detto tu!”
“Io?... E chi c’è lì con te?”
Qualcuno alle spalle del monello stava schiarendosi la gola.
“C’è Linus con me.”
“Ah! Dovevo immaginarlo! Linus è l’ombra di Marcus. Per la Siringa di Pan! Ti porti dietro anche i clienti?” scherzava Aquilinus e intanto che parlava, si muoveva all’interno dello scheletro di legno e ferro, gigantesco e tondo, come dentro una grossa botte cerchiata e attraversata da assi, spranghe, sostegni, catene, scale, corde. 
Un ennesimo colpo di tosse, più forte e stizzoso ancora, gli fece rizzare nuovamente il capo e aguzzare la vista.
C’era un pagliericcio laggiù. Quattro assi di legno poggiate su due rientranze e un saccone di paglia, una coperta sdrucita e dal dubbio colore: il letto del padrone di casa.
“Altri ospiti? - domandò - Qualche piscialetto tuo amico?”
“Non un piscialetto. - spiegò Marcus con candore – Una ragazza.”
“Una ragazza?...Una ragazza nel mio letto?... Per il Cinto di Venere!… Che cosa ci fa una ragazza nel mio letto? Perché una ragazza è finita dentro il mio letto?”
“Fuori fa freddo!”
“Lo so!”
“Ha ripreso a piovere.”
“Ho visto!”
“Hai sentito come tossisce?”
“Ho sentito!”
“E’ per lei che siamo venuti qui. Per metterla al riparo dal freddo e non aggravare la sua malattia di petto.”
“Perché? Non ha una casa o un padrone?”
“Ma è proprio da lì che la ragazza è scappata e...”
“Scappata? - lo interruppe ancora Aquilinus; il piccolo compagno di Marcus seguiva in silenzio il dialogo - E’ una schiava in fuga?”
“No! - spiegò l’altro - Sua madre, così mi ha raccontato, vuole metterla in un bordello... In una locanda della Suburra e...”
Per la terza volta il piccolo brigante interruppe il suo protetto.
“E allora?... Non mi pare una sistemazione disdicevole. Cibo, abiti e un tetto sopra la testa per ripararsi dal freddo, l’avrebbe! No?”
“No! - l’altro ebbe una scrollatina di spalle - Lei dice che vorrebbe stare con i cristiani!”
“Uhhh!... Buoni quelli! Per colpa loro quasi mi beccavo un sacco di legnate, poco fa!”
“Io pure ho cercato di dissuaderla e le ho fatto...” tentò di spiegare Marcus ma per l’ennesima volta l’altro gli impedì di continuare.
“Avete fame? - domandò - Avete mangiato qualcosa?”
“Io ho fame! - interloquì infine il piccolo Linus, facendo spuntare un visetto sporco e un nasino arrossato, nell’angolo tra il braccio sinistro piegato e il fianco di Marcus - Io ho fame, signore!” ripeté.
L’esile torace del piccolo brigante dei fornici si gonfiò di compiacimento e orgoglio a quell’epiteto: Signore! Lo sguardo acuto da animale da preda si caricò di improvvisa responsabilità!
“Tu resta qui con la ragazza. - ordinò a Marcus, col tono di chi prende le decisioni, poi puntando l’indice verso Linus - Tu invece verrai con me, ma prima proviamo a coprire questa ragazza.” aggiunse all’ennesimo colpo di tosse dell’intrusa.
Aquilinus si tolse il mantello e con quello cercò di coprire la ragazza: troppo piccolo, però, per ripararla tutta.
“Ah!… Forse a Giove piace guardare le nudità di questa ragazza… Giove è fatto così, ma Aquilinus non si dà per vinto.” continuò, mettendosi alla ricerca, fra mucchi di cenci, di qualcosa con cui coprire la ragazza. che, silenziosa e immobile, lo lasciò fare; al petto stringeva un sacchetto legato al collo,
“Che cos’hai in quel sacchetto, Marcella?.. Ti chiami Marcella?” si incuriosì la piccola canaglia; non ebbe risposta.
“Pane! – fu Marcus a spiegare - Pane Sacro… Io credo.”
“Che cosa significa? – Aquilinus aggrottò il ciglio – Si tratta, forse, di pane destinato a qualcuno di quegli Immortali oziosi e con la pancia già piena?”
“No! No! - s’affrettò a spiegare il piccolo – Si tratta di… ostia…”
“E che cosa sarebbe mai?”
“E’ il pane sacro dei cristiani… fatto della carne e del sangue del loro Cristo…”
“Vuoi dire che si tratta di un pazzo di carne sanguinolente?” fece il piccolo ladro dei fornici con profondo disgusto.
“Oh, no! - sempre Brutus, la ragazza continuava a tacere – E’ farina di grano impastato con acqua…”
“… e non si può mangiare!… Ho capito! Sù Andiamo.” disse infine, con un cospiro, lanciando un’ultima occhiata alla ragazza che lo gratificò con lo sguardo più riconoscente del mondo.
“Dove andiamo?” domandò Linus.
“A cercare del cibo, naturalmente. E a procurare qualcosa di caldo alla ragazza. Non ... non vorrai che mi muoia qui! In casa mia! Sù! Andiamo, leprotto! Seguimi!”
Si apprestò ad uscire per procurare da mangiare ad una ragazza di cui non conosceva nemmeno la faccia.

chi volesse acquistare i libro AUTOGRAFATO + omaggio può rivolgersi a
mariapace2010@gmail.com

"LA SABBIA BOLLENTE" di Laura Gismondi



La sabbia bollente
Sotto i piedi
Il vento fra i capelli
L'odore inebriante
Sulla pelle.
Mi lascio corteggiare
dalle onde
in un susseguirsi altalenante.
Pensieri confusi
che si infrangono
sino a perdersi
piccole nostalgie
e rimpianti
di una vita
poco vissuta.
Un brivido
mi accarezza
dietro la schiena.
L'acqua è fredda
avverte
la mia mancanza
Imminente.
Impregno
le mie labbra
Conservandone
il sapore.
Mi lascio cadere
Chiudo gli occhi
Ascolto soave
la sua voce.




LAURA GISMONDI

12 COLPI DI FORBICE di COLOMBI CAROLINA

SINOSSI di 12 COLPI DI FORBICE

di COLOMBI CAROLINA

12 COLPI di FORBICE è un libro di circa 190 pagine, ed è una storia vera. Una storia vera in cui vengono narrati gli eventi che hanno portato alla morte la mamma di mio marito. Ho narrato il libro in prima persona al fine di evidenziare lo stretto legame che mi univa a mia suocera.
E' il primo ottobre 2013 quando mio marito cerca di mettersi in contatto con sua madre, così come è abituato a fare ogni sera. Purtroppo, il telefono squilla a vuoto nel disumano silenzio dell'appartamento che ancora conserva l'odore di morte. Incarica quindi una vicina di raggiungere Giovanna che abita all'ultimo piano di una collinetta da cui si gode di una splendida vista mare. Disgraziatamente, l'amica fa una terribile scoperta: Giovanna è stata uccisa e lasciata morire lì, sul pavimento del suo appartamento. I momenti che seguono al ritrovamento sono concitati e tragici. E io, nuora di Giovanna, ho il difficile compito di chiedere aiuto al 113. Immediatamente partono i primi soccorsi, e noi, familiari della vittima, raggiungiamo la Questura per rilasciare le nostre deposizioni. E' notte quando torniamo alla nostra abitazione, con il cuore gonfio di dolore ma anche di tanta rabbia. Ed è in quelle ore che ha inizio l'indagine per identificare l'assassino di Giovanna fino ad arrivare all'iscrizione di un individuo nel registro degli indagati. Successivamente, le nostre giornate sono attraversate dall'incredulità, ma soprattutto dalla rabbia, una rabbia feroce che non siamo in grado di contenere: non riusciamo a capitarci del dramma, che più grande di noi, ci ha colpito inaspettatamente. Inaspettatamente, perchè Giovanna era una donna amata da tutti gli abitanti del quartiere dove abitava da sessant'anni. Mentre il nostro tormento sembra non avere fine, ecco da qui, nascere il bisogno di dare voce al nostro dolore. Un'urgenza che ha dato vita al libro testimonianza che racconta di un omicidio dai risvolti inquietanti. Nonostante il presunto omicida sia stato processato. 
12 COLPI DI FORBICE è uno scritto di circa 190 pagine, e ogni suo capitolo è composto da tre parti. Nella prima, in modo intenso e realistico, narro l'aspetto emotivo con cui abbiamo affrontato la drammaticità di quei giorni; nella seconda, racconto lo sviluppo dell'indagine, nella terza e ultima parte prendo in considerazione temi di grande attualità: femminicidio e altre forme di violenza perpetrate nei confronti delle donne. Ho parlato poi della violenza e di alcune forme di esercizio della giustizia, quali il patteggiamento e il rito abbreviato. Ho scritto poi, con la maggior obiettività possibile, della giustezza oppure no, di mantenere in piedi la pena detentiva dell'ergastolo, e facendo un breve excursus ho menzionato la pena di morte. Quindi, ho ritenuto utile alternare al racconto della triste vicenda che la sorte ha destinato alla mia famiglia, ad avvenimenti di strettissima attualità. Tutto ciò, affinché il mio testo non fosse una brutale e fredda cronaca del delitto di mia suocera, ma una miscellanea di private considerazioni a esso collegate. Il caso ha avuto un certo rilievo mediatico, tanto che mio marito e io, siamo stati ospiti in alcune trasmissioni televisive trasmesse dalla Rai 1, Rai 2 e Tv locali. Inoltre, nelle mie intenzioni, il resoconto dei fatti ha una sua utilità, se non altro a dimostrazione di quanto con un grave gesto delittuoso si possa distruggere la serenità di una famiglia normale. Concludendo, il libro non è solo un saggio, ma è un testo strutturato in maniera accattivante e coinvolgente, tale che la sua chiave di lettura può essere la stessa con cui si affronta la lettura di un giallo; infatti di giallo si può parlare, in quanto alcuni elementi legati all'omicidio di Giovanna sono tuttora avvolti dal mistero.

UN POSTO NEL MONDO recensione di Sabrina Carli.

Recensione di <<UN POSTO NEL MONDO>> di Fabio Volo.

Un amico un giorno dopo aver letto il mio libro, mi dice che scrivo un po' come i primi libri scritti da Fabio Volo...” leggendo il tuo si sente che è scritto da una donna, leggendo i suoi si sente che sono scritti da un uomo”.Questa frase mi è rimbombata in testa finché qualche giorno fa sono entrata in libreria e ho scelto un titolo a caso, ho scartato il primo, ho scartato l'ultimo e ora eccomi qui a raccontarvi “Un posto nel mondo”.
Scegliere un libro a caso e ritrovarsi a condividere il sogno del protagonista, quello di scrivere un libro, è la prima cosa che mi ha colpito e la frase “...Esprimendomi ho sfidato il percorso e il mio destino. La creatività e il respiro della personalità, ti rivela il tuo mondo” 
Come a Michele, il protagonista, anch'io quando mi sono sentita libera e svuotata da inutili insicurezze, ho ripreso a scrivere come quando ero ragazzina... finalmente ero di nuovo leggera, ero di nuovo me!
Leggendo ho ritrovato nelle parole che l'amico Federico dice al protagonista, la mia storia. Michele è un trentenne insicuro, legato ad una ragazza simile a lui, stanno insieme per darsi a vicenda quella sicurezza che se fossero soli non avrebbero, ma col passare del tempo quello che loro definiscono amore, non è l'amore vero! Federico dice all'amico parlando del rapporto che Michele ha con la sua ragazza Francesca:”se non ti ami tu, perchè dovrei amarti io?”
Questa frase la trovo oggi più che mai forte e vera. Io sono innamorata di me, mi piaccio anche nei difetti, sono io e non mi vorrei diversa né dentro né fuori, e per questo riesco ad amare e vedere gli altri e accettarli per quello che sono. Se accosto questa frase alle nuove generazioni, mi rendo conto, quanto poco i giovani d'oggi si amino e credano in loro stessi; hanno bisogno sempre di qualcuno o di qualche gesto fuori degli schemi per sentirsi importanti, per sentirsi “amati”.
Federico spinge Michele a liberarsi di quel suo accontentarsi, di quel fare tutto sempre allo stesso modo, di aver sempre tutto sotto controllo... gli dice che “è il primo passo il più difficile da compiere!”
Federico questa scelta l'ha fatta tempo fa, e avrebbe solo voluto farla prima, perchè ora si sente un uomo libero, un uomo che sa amare. Come nella nostra vita, noi abbiamo bisogno di qualcosa che ci dia la scossa, anche nella vita del protagonista sarà un episodio a segnare per sempre la vita di Michele, che solo allora seguirà il consiglio dell'amico