domenica 5 aprile 2015

"Sesto Vento" di Silvia Tortiglione.


Stralcio.

Quando rientrai in cabina, vidi Geselle e Demetrio impegnati nel continuare un’accesa discussione. Demetrio era fermo ad un lato della piccola finestra, mentre Geselle sedeva dinanzi a lui. Le loro diatribe non potevano essere considerate certo una novità, ma i toni mi parvero più alti del solito. Azzardai un saluto che fu completamente ignorato. 
«Non è come dici, Demetrio, stai sbagliando.»
«Ma tu cosa ne sai della vita? Tu che prendi ogni attimo al pari di un gioco e zittisci il dolore tra le corde del tuo violino.»
Il discorso doveva vertere su grandi temi e preferii non interrompere. Ascoltare, io volevo solo ascoltare e capire dove risiede mai la voce dell’ira e dove quella dell’esperienza. 
«Magari è vero,» continuò Geselle «magari non so nulla di quella che tu chiami vita. Eppure, io conosco l’arte e questo tu non puoi accettarlo. Non ti rendi conto della gioia che balza dal tocco di un suono leggero. Tu non comprendi la musica
«Io non comprendo la musica? Sei pazzo. Credi che girare per le strade melodiando ora qui, ora là, sia musica? Credi che la gente ti porga attenzione? »
Mi resi conto che il dibattito era nato in seguito all'ultima trovata di Geselle: girovagare per le strade con la fiamma del suo spirito. Io non ci trovavo nulla di strano,anzi, mi veniva da sorridere al pensiero di una folla interdetta a passo di musica. Ma Demetrio, così orgoglioso e preciso nelle sue scelte, di sicuro lo giudicava un capriccio.
Se Demetrio era la terra, le radici e i minerali ivi nascosti, Geselle rappresentava l’aria e il piacere di una notte d’illusione. Geselle viveva di speranze assurde; era convinto che qualcuno si sarebbe fermato al taglio del suo strumento, era certo che danzare e sentire la povere sotto i piedi ci avrebbe sciolti dalla noia, ci avrebbe donato nuove vite. Sì, vite, al plurale. Quando impugnava il violino, Geselle mutava nel sentimento della romanza o ancora finiva per divenire pura essenza. Quasi dimenticavi il suo nome, tanta la forza che metteva nel comporre. 
«La gente mi ascolta e sorride. Abbiamo tutti bisogno di un colpo, Demetrio. Il tuo parlare non può reggere il precipizio e la cima dell’orchestra. E non intendo come unica orchestra quella dei teatri. Tu osservi un gruppo di persone e vedi un uomo, una donna, un bambino. Io porto gli occhi alla stessa comitiva e sento una tromba, una viola e un flauto. Questa è speranza e al solo pronunciarla mi viene in mente un capolavoro di pause e tensioni.»
Demetrio si voltò verso di me con un aspro sorriso e soggiunse: «Fermalo! ora inizia a vaneggiare. Non so neanche cosa rispondere. “Sento i flauti”, quanti anni hai, Geselle? Dodici?»
«Posso sapere che fastidio ti da quello faccio?»
«Tu getti la musica ai piedi di chiunque e vieni deriso. Mi dispiace per l’arte che subisce lo scherzo, non per te.»
«E dunque,» Geselle si alzò «tu mi stai dicendo che l’arte, la musica, non va portata in piazza all'anima di tutti? Demetrio, io voglio condividere ciò che mi rende vivo con i morti che ci camminano intorno. Tu non sei me, tu non puoi entrare nelle mie vene. Tanto meno, puoi essere consapevole della forza del teatro. Ad ogni passo che compievo su quelle scale s’alzava il vento dell’arte e, sui volti del pubblico durante gli intervalli, io vedevo il bello e una missione.»
«Una missione.» 
La voce di Demetrio assunse quel suo caratteristico timbro deciso. Avrei dovuto fermarli, la tempesta era vicina e mi trovavo tra due forze opposte e di pari dignità. Feci alcuni gesti di silenzio a Demetrio, con il risultato che si ostinò ancora di più. 
«Una missione. Geselle, nessuno sa il tuo nome come ignora il mio. Ho accettato questa conclusione, fallo anche tu. Torna con il cuore sul mondo.»
«La musica aveva un tale fremito, era fuoco. E lo era anche il mio corpo strozzato dalle balaustre della loggia. Vivi come vuoi, ma non giudicare le mie azioni. Ho mai giudicato i tuoi lavori? Piuttosto, dimmi, cosa sono per te le tue opere? Se mai ne hai realizzata una.»
Si guardarono con ferocia, simili agli eroi dei poemi che vengono alla disputa in campo aperto, la sabbia sul volto e le braccia tese. Con mio stupore, il primo a sospirare fu Demetrio. 
«Sapevo quello che volevo,» disse «sogni di un giovane studente. Fine, Geselle. Io ho preso coscienza che i posti sono terminati, che li occupa il denaro e che a causa di persone come te nulla si conclude.»
Il musicista non rispose e si avvicinò al letto del nostro amico, cercando la valigia di quest’ultimo. Una volta trovata e aperta ne trasse fuori una manciata di fogli.
«Cosa stai facendo?» Demetrio rimase stupito «Dammi quei fogli, Geselle.»
«Tu sei un architetto giusto? E cosa abbiamo qui?» Geselle sventolò uno di quei pezzi di carta. Li scrutò con attenzione, ponendoli alla luce e riportandoli all'ombra. Lesse il titolo di uno schizzo raffigurante una sorta di museo alla cui base si diramava un giardino. 
«Niente male, Demetrio, niente male. »
«Geselle, avanti, lascialo stare. Smettetela.» 
Dovevo intervenire, nonostante amassi la sincerità delle due posizioni. Entrambi ti rendevano consapevole del cammino, figurarsi poi l’effetto che le loro attitudini avevano su di una persona in costante dubbio come me. L’uno si esprimeva a paragrafi, l’altro a sentenze; chi feriva con un tocco di lancia, chi attendeva l’esito delle frecce. 
Geselle si avvicinò alla finestra. 
«Hai detto tu che sono utopie, creazioni troppo alte per essere condivise. Ma guarda, anche un teatro! Caro Demetrio, non trovi sia giusto che il mare abbia la sua dose d’arte? Il mare che l’arte ci dona e non chiede.»
Li guardai indietreggiando di qualche centimetro.
«Non ci provare.» mugugnò Demetrio con voce contrita. 
A quel punto, Geselle spalancò la finestra e con un solo movimento lasciò cadere i fogli che si tinsero del sereno azzurro delle acque. Restammo alcuni minuti senza parlare e senza chiedere nulla. Demetrio si avvicinò piano all'apertura e strinse i bordi delle imposte. Mi sarei aspettato un cenno di assenso e una rapida uscita. Da quando ci eravamo incontrati, Demetrio aveva sempre agito con brevi moti. Sentivo invece il corso furente del suo sangue e la cosa mi lasciò atterrito. 
«Io ti uccido.» 
Bisbigliò voltandosi verso Geselle che rimase impassibile. Fu un secondo di gelido dolore; ricordo soltanto il diffondersi di un gusto acre nella mia bocca. 
«Perché ti sei intromesso?» 
«Almeno la finite con queste stupide scaramucce!»
Demetrio abbassò la mano e si allontanò, lasciando la stanza.
Non avrei mai potuto decidere a chi dar ragione. Se era vero quello che Demetrio provava, se era vero che il sogno muore una volta risalita la superficie del reale, se era vero che il grande sentire e il placido sognare erano perdite di tempo allo sguardo vigile del sole; era anche giusta la purezza di Geselle, il suo creare e distruggere, l’antico impeto che lo animava. 
Se qualcuno avesse assistito all'intero litigio, si sarebbe accorto che noi eravamo la peggior specie di uomini e anche la più comune. Eravamo giovani uomini consapevoli del fuoco e dell’alba; avevamo gioito per l’esito di un amore e forse gridato allo svanire del giorno.
«Tanto lo sa che ho ragione
«Sì, Geselle, lo sa.»

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